sabato 11 aprile 2009

il nuovo fucile che spara dietro i muri

IL NEMICO E’ ALLE PORTE!

Presentato il nuovo fucile hi-tech Beretta ARX160 che può sparare dietro i muri.

Un’approfondimento di Antonio Camuso dell’Osservatorio sui Balcani di Brindisi



La notizia della presentazione ufficiale del nuovo fucile Beretta ARX160 che verrà utilizzato in fase sperimentale da reparti speciali dell’esercito italiano, è di questi giorni.

Che la Beretta lavorasse allo studio e al collaudo di questo fucile lo si sapeva da tempo e che esso facesse parte di quel progetto Soldato Futuro portato avanti con orgoglio dallo Stato Maggiore Difesa e dalle industrie del settore, lo si leggeva in tutte le riviste militari da almeno dieci anni. L’attesa per la prima uscita in pubblico era divenuta negli ultimi tempi spasmodica poiché c’era il rischio, a seguito delle elezioni americane, di assistere al ritiro delle truppe italiane dall’unico fronte di “guerra calda” e con relativa mancata messa in linea “operativa”e sperimentazione sul campo dell’ultimo gioiello Beretta.

Un vero peccato, se così fosse stato, poichè da tempo le nostre forze Armate, nelle loro missioni “di pace “ all’estero son divenute il miglior spot pubblicitario per i venditori di armi made in Italy.

L’annuncio, il 31 marzo 2009, della benedizione ufficiale nel poligono di Nettuno di quello che dovrebbe divenire il sistema d’arma standard dei soldati italiani, impiegati nella Guerra infinita globale, è giunto a poche ore di anticipo dalla riunione NATO che sanciva l’aumento di truppe e logistica di tutti i partecipanti alle operazioni in Afghanistan , compresa l’Italia e relativa previsione che il nuovo ARX160 possa in quel contesto farsi presto onore e pubblicità.



Il nemico è alle porte!

Oltre alle sue innovazioni di carattere meccanico ( utilizzo di materiali ultraleggeri, compositi e la possibilità di cambiare calibro e caratteristiche ergonomiche), il pezzo forte,sono i sistemi ottici grazie ai quali questo fucile permetterà al soldato di poter sparare mantenendo il corpo nascosto dalla linea di tiro, il cosiddetto tiro defilato. Una opzione miracolosa come l’hanno definita gli entusiastici commentatori dei media , ma che ci riporta lugubremente ad altri tempi, quando la necessità di sparare da dietro i muri divenne l’assillo pressante per l’esercito nazista assediato e costretto a combattere casa per casa nella stessa Germania, sotto l’incalzare delle truppe dell’Armata Rossa.

Ci provò l’inventiva degli scienziati tedeschi a far quadrare il cerchio o meglio a curvare la traiettoria dei proiettili dei fucili onde far sparare i fantaccini tedeschi stando nascosti dietro gli angoli delle strade

Si giunse così al fucile Stg.44 più, come accessorio, un Krummerlauf con canna ad angolo da 30°C (quella considerata migliore sia per la precisione che per lo stress sul proiettile e la durata della canna stessa) dotato di sistema ottico Zeiss di cui negli ultimi mesi ne furono prodotti 100.000 esemplari e che caddero in seguito nelle mani degli alleati.

Anche oggi il nemico è alle porte, come confermano coloro che pubblicizzano il futuro campo d’uso di questo sistema d’arma: la guerra ormai si combatte nelle città,per adesso del Sud del Mondo ma potrebbe dilagare sotto la spinta della crisi capitalistica globale e su una probabile caduta di stabilità sociale, anche nelle nostre metropoli, coinvolgendo gli strati sociali più deboli e numerosi, moltiplicando i nemici sino a farli divenire quella massa sterminata identica a quella , in divisa con la stella rossa, che i soldati della Whermacht si ritrovarono a cercare di arginare negli ultimi mesi del 45


L’arma ideale per scenari non convenzionali

Oggi (e ancor più in futuro) gli eserciti sono in guerra contro civili in armi che si ribellano per i motivi più disparati e che comunque , accomunati all’epiteto di terroristi internazionali , devono essere ricacciati fuori dalle linee rosse delle città, dalle banlieu delle megalopoli, dalle caverne o dagli altipiani desertici.

Contro questo nemico che aumenta di numero, man mano che la crisi del sistema capitalistico diviene sempre più grave, non basteranno droni o bombardieri invisibili e per ricacciarlo dai quartieri alti o dalle piattaforme petrolifere bisognerà respingerlo strada per strada , e un fucile come l’ARX160 sembra che sia proprio l’ideale. Ma basterà?

Per le operazioni di rastrellamento nei quartieri proletari, per sfondare porte e muri e cancelli si è opportunamente progettato il lanciagranate GLX160, un piccolo ed efficace cannoncino capace di tirare granate da 40 e 46 mm, inseribile sotto la canna del ARX 160 e che fa di esso un mezzo antiguerriglia altamente versatile e di potenza devastante.


Il GLX160

E’ un gioiellino dell’antiguerriglia urbana, che nella versione per fucile non è dotato di apposito manico, mentre nella versione single , per forze di polizia e antisommossa è una vera e propria lupara antidimostrante e che purtroppo vedremo molto presto in azione da noi e in altre piazze in rivolta del Pianeta.

Se questi mezzi possano a fermare il corso della Storia bisognerà soltanto attendere gli eventi e scoprire se, come lo è stato nel passato, le armi dell’oppressore cadendo in quelle dell’oppresso ne determinino la sua liberazione.

E’ successo già a Little Big Horn dove i cavalli e i Winchester caduti in mano degli indiani divennero l’arma che sconfisse Custer o in Vietnam, nel 1957 dove le armi dell’esercito giapponese cadute in mano dei Vietcong, sconfissero i francesi a Dien Bien Phu


L’arma ideale del terrorista guerrigliero

La facilità di smontaggio ( esso si disassembla senza nessun attrezzo ma semplicemente facendo leva su appositi ganci con la punta di un proiettile) , il ridotto numero di componenti, la mancanza di sicurezze elettroniche ( ovvero blocchi con password sulle sicure) ,fanno di esso l’arma che in pochi secondi strappata dalle mani del nemico diviene parte integrante del guerrigliero

La possibilità di cambiare velocemente canna, otturatore e senso di espulsione del proiettile, determinano una difficoltà nella tracciabilità dell’arma se fosse usata in attentati, poiché il proiettile ogni volta che si cambia canna modica la sua impronta e il i segni lasciati sul bossolo espulso cambiano cambiando otturatore e modo ( destra /sinistra) di espulsione.

La stessa capacità di poter esser usato, modificandolo con tiro destro o sinistro, lo fanno più facilmente accessibile a combattenti irregolari in cui si mescolano mancini , destrorsi o ambidestri. Infine, la quasi mancanza di manutenzione , la leggerezza e il cambio di calibro sono proprio ideali per un esercito irregolare in cui i calibri delle armi in uso non sono mai standardizzati: in questo caso basterà procurarsi un po’ di canne ed otturatori di ricambio e in mancanza di proiettili NATO e USA da 5,56 si potrà utilizzare il caro vecchio 7,62 o viceversa.


Non tutto oro è quel che luccica

Nei blog di discussione dei militari italiani che lo hanno testato si scopre che proprio quello che è il piatto forte dell’ARX160, ovvero il sistema ottico di puntamento, è in pratica un problema in teatro operativo: se va in tilt o semplicemente nella concitazione dell’azione diviene poco pratico, per passare al mirino ottico convenzionale non è semplice, poiché ha bisogno di un riallineamento e a questo punto i nostri “ amici consiglieri Rambo ” consigliano di aver sottomano il caro vecchio AK47 che non ti lascia mai in mutande e che quando spara fa un casino del diavolo. Se lo dicono i nostri consiglieri in divisa dobbiamo proprio crederli, tenendo conto che essi, giunti in Iraq, messe le mani sui kalashinov, ne furono tanto entusiasti che ne fecero una scorpacciata portandosene clandestinamente in Italia un bell’assortimento.

Peccato che furono “cuccati” dai CC e dalla Finanza ma, l’inchiesta finì a tarallucci e vino e i militari amanti di souvenir ebbero solo una tirata di orecchie invece di una bella incriminazione di traffico internazionale di armi da guerra…



Antonio Camuso

osservatoriobrindisi@libero.it

Brindisi 5 aprile 2009

STRASBURGO BRUCIA?



Alcune considerazioni sulle giornate anti NATO nella capitale della UE scritte dalla delegazione della Rete nazionale Disarmiamoli! al controvertice del 3 – 4 aprile 2009

Spenti i fuochi alla periferia di Strasburgo, la “grandeur” francese si misurerà da ora in poi all’interno di una alleanza che appare sin da subito poco incline a compiacere il piccolo De Gaulle di turno, Nicolas Sarkozy.

Lo scontro con gli Stati Uniti sull’ingresso della Turchia è solo una delle tante contraddizioni che rischiano di aumentare, anziché risolvere, i gravi problemi di gestione di una alleanza malata sempre di più di elefantiasi, incapace di risolvere sul campo il conflitto afgano, in empasse sul progetto di “scudo antimissile”, bloccata dalla Russia nell’offensiva georgiana contro l’Ossezia del Sud.

Il sofferto allargamento della NATO ad Est, il tentativo di integrazione con le strutture militari della UE, le ipotesi di proiezione di potenza ben oltre l’area eurasiatica e mediorientale indicano però una tendenza alla “soluzione militare” per affrontare la gravissima crisi economica attraversata dal sistema capitalistico.

Montare sul treno della guerra è di vitale importanza. Chi ne rimane escluso rischia di esserne schiacciato. Ecco quindi il feroce sgomitare di Stati e classi dirigenti: Tutti sui vagoni, possibilmente in prima classe, con il rischio di far deragliare l’intero convoglio. Al momento il contributo del movimento altermondialista all’auspicato incidente ferroviario è, alla luce dei fatti di Strasburgo, abbastanza debole.

I padroni di casa del vertice dovevano garantire, nel momento del “grande rientro” nell’alleanza, una assoluta calma nel cuore della City, intorno ai palazzi del potere militare occidentale. Così è stato.

Per tenere a debita distanza i militanti anti NATO dai luoghi di incontro dei “grandi” sono stati impiegati oltre 10.000 poliziotti, in cielo, in terra ed anche in acqua, con decine di motovedette e gommoni distribuiti intorno ai ponti che attraversano l’Ill.

Strasburgo si è trasformata in pochi giorni in una città sotto assedio, con i cittadini delle zone arancione e rossa ridotti ad una condizione di vigilati speciali. Ognuno con un pass del colore della zona di residenza, rivelatosi poi inutile nei momenti topici del vertice, la mattina ed il pomeriggio di sabato 4 aprile, quando neppure quello è servito per spostarsi da una zona all’altra.

Abbiamo assistito a proteste individuali di alcuni cittadini, ma nel complesso il corpo sociale di una città che prospera intorno alle istituzioni europee non si è organizzato contro lo stato d’assedio imposto dalla NATO. La “democrazia occidentale” ha i suoi costi, che i sudditi più fortunati sono evidentemente disposti a pagare.

Il variegato movimento contro la guerra affluito nella città francese non ha trovato mai un momento di vera sintesi politica, sia rispetto alle strategie attuali e future contro l’alleanza di guerra, che per la gestione della piazza negli stessi giorni del vertice.

Abbiamo osservato all’opera le molte anime del movimento, o di ciò che ne rimane, nelle forme storiche del Forum Sociale Europeo, attraverso le varie espressioni politiche, culturali, sindacali.

Durante il contro-summit di venerdì 3 aprile, svoltosi all’interno del centro sportivo di Illkirch Lixenbhul (all’estrema periferia della città), di fronte a circa 800 – 1.000 partecipanti si sono confrontati gli esponenti delle varie forze presenti, PCF, CGT francese, NPA (Nuovo Partito Anticapitalista francese), Socialist Workers (inglesi), la Linke tedesca, i greci del comitato internazionale per la pace (Greek Committee for International Détente and Peace - EEDYE), alcuni parlamentari del GUE, Attac France, donne in nero ed altri piccoli gruppi politici eminentemente tedeschi, polacchi, spagnoli. La presenza italiana è stata molto ridotta, con la presenza di circa 30 attivisti del Patto contro la guerra e delle donne in nero.

Il contro-summit organizzato dal Forum sociale è stato, a nostro giudizio, sostanzialmente edulcorato nei contenuti e debolissimo nei referenti politici.

Nessun riferimento diretto al ruolo imperialista dell’Europa, non una parola sulla guerra “costituente” della nuova NATO, ovvero il bombardamento sulla ex Jugoslavia, tema costato ai greci del EEDYE l’estromissione dal comitato organizzatore. Nonostante questo, è stato grazie a loro che l’aggressione nei Balcani è stata denunciata e discussa, attraverso una intera sessione del contro vertice.

Inviti a dir poco discutibili per i dibattiti finali (ai quali non abbiamo partecipato) del 5 aprile, con una rediviva Lidia Menapace tra i relatori. Si, proprio quella anziana signora che durante il governo Prodi, per giustificare il suo voto a favore dell'occupazione e dei bombardamenti della NATO sull’Afghanistan inventò l’agghiacciante teoria della “riduzione del danno”.

Una debolezza rivelatasi con ulteriore chiarezza durante la riunione organizzativa per la manifestazione anti NATO del 4 aprile, con gli esponenti francesi del Forum sociale a proporre l’accettazione dell’itinerario indicato all’ultimo momento dalle autorità: un percorso a 8 – 10 km dal centro storico, praticamente tra gli hangar della zona industriale e commerciale.

Il dibattito sul tema ha evidenziato una profonda e sostanziale divergenza nella gestione della piazza, tra chi accettava la rappresentazione in periferia e chi intendeva mantenere il tragitto iniziale dell’attraversamento del ponte d’Europa, verso la zona del summit.

Gli eventi di piazza determinatisi il giorno dopo evidenzieranno la sostanziale inconsistenza ed inutilità fattuale di quel confronto. Ma di questo accenneremo in seguito.

Nessuna sorpresa quindi se alcune espressioni più radicali del movimento contro la guerra si siano agglutinate in altri luoghi e con altre modalità, come il centro sociale “Molodoi”, in rue du Ban del la Roche ed il campeggio internazionale di Rue de Ganzau, nel quartiere di Neuhof, confinato a 7 chilometri dal centro storico. In questi luoghi altri i temi, altri gli interlocutori e gli obiettivi in discussione.

Sorprende invece che alcune forze politiche, espressione nei vari paesi di contenuti e lotte conseguenti contro il militarismo imperialista, continuino a frequentare ambiti oramai rivelatisi asfittici ed inadeguati ad affrontare le nuove sfide imposte all’umanità da un capitalismo in profonda crisi e per questo particolarmente aggressivo.

Sabato 4 aprile . Alla periferia di Strasburgo

Inutile descrivere la dinamica concreta degli avvenimenti della giornata clou del vertice e del contro vertice, degli scontri tra manifestanti e forze dell’ordine ( sugli eventi stiamo preparando un video molto circostanziato). Di questo hanno parlato abbondantemente le prezzolate agenzie di regime, con infiniti fermo immagine sugli incendi e sui redivivi e “feroci” black block.

La gestione della piazza da parte del sistema di controllo e di repressione degli Stati interessati (Francia e Germania in primis) è stata quasi impeccabile.

Dopo una intera giornata di scontri, un albergo di 8 piani dato completamente alle fiamme insieme alle grandi strutture che contenevano gli uffici frontalieri in prossimità del ponte d’Europa, i feriti e i fermati si contavano sulle dita di poche mani.

Osservando all’opera i poliziotti franco/tedeschi abbiamo capito ancora di più quanto sia l’odio che guida ed informa la mano dei “nostri”, così come egregiamente dimostrato a Genova nel 2001.

La manifestazione è stata incanalata dentro il recinto predefinito, all’estrema periferia di Strasburgo, abitata eminentemente da lavoratori, immigrati, precari, così come tante altre banlieue europee. Dalle case e dalle finestre di questo spicchio di città poche bandiere della pace e ancor meno espressioni di solidarietà e partecipazione al corteo. Alcune tensioni, invece, tra giovani simil banlieusards e settori di corteo poco propensi ad accettare una interlocuzione che possiamo eufemisticamente definire “rude”.

Nei fatti i vari tessuti sociali di questa metropoli di oltre 450.000 abitanti – dal centro alla periferia – sono apparsi sostanzialmente impermeabili alla mobilitazione contro la NATO.

Il diniego assoluto di attraversare il ponte d’Europa, così come era stato concordato nei giorni precedenti, la divisione della città in zone off limits e l’impressionante militarizzazione del territorio hanno evidenziato nel contempo il fallimento della cosiddetta “democrazia occidentale” e la sostanziale inutilità di contro /vertici che tentano in contemporanea di imporre un altro punto di vista politico rispetto alle determinanti prestabilite dai cosiddetti “grandi della terra”.

In queste condizioni accettare la logica del recinto – come proposto da alcuni leader del forum sociale - avrebbe significato divenire parte integrante del meccanismo “democratico”, funzionali alla sua legittimazione.

Ecco allora la legittima reazione all’impedimento fisico di un esercizio elementare come quello di manifestare. Alcune migliaia di manifestanti hanno ripetutamente - e legittimamente - tentato di forzare i blocchi della polizia. Tra essi i più organizzati sono stati quelli che vengono sbrigativamente definiti "black block", fenomeno giovanile ancora tutto da indagare, ma che poco ha a che vedere con una espressione politica definita. Moltissima tattica e mobilità para militare, nessuna idea oltre quella di distruggere tutti i simboli della civiltà, dalle cabine telefoniche agli alberghi.

Non siamo tra quelli che si stracciano le vesti di fronte ad incendi o devastazioni. Di ben altra natura e pesantezza sono le “operazioni chirurgiche “ dei bombardieri della NATO sui villaggi afgani.

Il problema, come sempre, è politico, ed attiene alla capacità dei futuri movimenti di rafforzare la propria presenza nel tessuto sociale delle metropoli. Se e quando le banlieu diverranno un retroterra strategico della lotta contro la guerra imperialista saremo in grado di risolvere anche la “contraddizione” black block.

La lezione di Strasburgo deve servire per affinare la riflessione sui metodi di azione nella nuova fase politica che abbiamo di fronte. Non è più tempo di contro vertici, ma di radicamento delle idee forza antimilitariste ed antimperialiste all’interno dell’impetuoso flusso di lotte che la crisi capitalistica determinerà in tutto il continente europeo e ancora più in là.

a cura della Rete "Disarmiamoli"
www.disarmiamoli.org
3384014989 3381028120

martedì 17 marzo 2009

TARGET - MEETING INTERNAZIONALE



Meeting internazionale nel X Anniversario dei bombardamenti della NATO
sulla Repubblica Federale di Jugoslavia


VICENZA 21-22 MARZO 2009
SALA DELLA CIRCOSCRIZIONE IV
Via Turra 70 (presso il Parco Città - zona nordest, fra viale Trieste e via Quadri
autobus nn.3 e 5 dalla Stazione FFSS)

promuovono:
Rete Disarmiamoli!
RdB CUB
Coord. Naz. per la Jugoslavia ONLUS / Italijanska Koordinacija za Jugoslaviju
Forum di Belgrado Italia / Beogradski Forum u Italiji
Rete Semprecontrolaguerra

Il 24 marzo 1999 la NATO scatenava, ininterrottamente per 78 giorni, la sua potenza di fuoco contro il territorio della allora R.F. di Jugoslavia - un paese già amputato con le secessioni iniziate nel 1991, e oggi ulteriormente smembrato tra Serbia, Montenegro e Kosovo. Per i suoi bombardamenti la NATO utilizzava armi vietate dalle convenzioni internazionali (es. bombe a frammentazione), armi di grave nocumento alle generazioni presenti e future (es. all'uranio impoverito), e mirava contro industrie chimiche, infrastrutture civili, mezzi di trasporto in servizio, ambasciate di paesi teri.
Quei bombardamenti rappresentarono l'apice in un processo di attacco a quel paese, multinazionale e sovrano, per il quale era stata programmata la disgregazione e la svendita al capitalismo straniero. Negli anni successivi, tutti i settori-chiave dell'economia e del sistema finanziario jugoslavo venivano ceduti. Le piccole repubbliche sorte dalla disgregazione erano gradualmente assorbite nelle alleanze militari euro-atlantiche, e piegate agli obiettivi di queste.

A sua volta, l'intera vicenda della crisi jugoslava, che dal 1991 non può dirsi conclusa ancora oggi, è paradigmatica della fase apertasi con l'abbattimento del Muro di Berlino: una fase che, lungi dal garantire pace e libertà, è stata caratterizzata da guerre e devastazioni, "vendute" alle opinioni pubbliche attraverso pelose retoriche dei "diritti" e disoneste campagne di disinformazione. Cosicché ad esempio l'Italia, dopo avere reiteratamente violato la propria Costituzione fungendo da base di lancio per i bombardamenti e partecipando a numerose missioni di guerra in paesi vicini e lontani, si ritrova ancora ad impiegare fette crescenti del proprio bilancio statale per finanziare la macchina militare, nonostante la crisi economica e sociale che incalza... e deve ospitare ulteriori basi militari straniere sul proprio territorio!

E' in una città nevralgica nell'ambito di questi processi come Vicenza che, in occasione del X Anniversario dell'inizio di quei bombardamenti, promuoviamo una grande iniziativa nazionale ed internazionale per raccontare che cosa hanno essi rappresentato, al di là della cortina fumogena creata dai media, e per discutere con gli occhi rivolti al futuro di attività e prospettive nel campo della solidarietà internazionalista tra i lavoratori e per il movimento che in tutta Europa si batte contro la guerra e contro le basi militari.


Hanno aderito: Rete dei Comunisti - Beogradski Forum / Forum di Belgrado per un mondo di eguali - G.A.MA.DI. – SOS Yugoslavia / SOS Kosovo Metohija - Most za Beograd / Un ponte per Belgrado in terra di Bari - Federazione di Vicenza del Partito della Rifondazione Comunista - Sinistra Critica Vicenza.






PROGRAMMA

sabato 21/3 - INIZIO ore 14.45

I sessione PROPAGANDA DI GUERRA: tra disinformazione strategica e deriva politico culturale
introduce: Andrea Martocchia (CNJ Onlus)
Giulietto Chiesa (in collegamento audio)
Juergen Elsaesser (giornalista): Come è stata costruita l'"emergenza Kosovo" (documentazione video)
II sessione (ore 16:00) LE NUOVE CROCIATE: crisi macroeconomica e politiche militari
introduce: Andrea Catone (CS CNJ Onlus e Ass. Most za Beograd)
Diana Johnstone (saggista): Le "crociate dei pazzi"
Luciano Vasapollo (Cestes-Proteo, CS CNJ Onlus): Dal Welfare al Warfare
Videointervento di Manlio Dinucci (documentazione video)
III sessione (ore 17:30) ECOCIDIO: gli effetti della guerra
introduce: Cinzia Della Porta (Disarmiamoli!)
Alberto Tarozzi (Università del Molise): Le conseguenze sociali, ambientali e sanitarie dei bombardamenti sulle industrie chimiche nel 1999 in Jugoslavia
Valerio Gennaro (medico epidemiologo): Alcune proposte di medici ed epidemiologi contro la guerra
Documentazione video
Interventi a tema (ore 18:45)
Domenico Gallo (magistrato, CS CNJ Onlus): Delitto senza castigo: i crimini di guerra della NATO
Enrico Vigna (Forum di Belgrado Italia): Kosovo ieri e oggi
Documentazione video

ore 20.30-23.00
cena bio-equo-solidale a cura del servizio catering “Maninpasta” di FILEO onlus (www.fileonlus.org)
serata musicale-teatrale con I giovani strumentisti Milenkovich - Orchestra serba di Vicenza - NeMaPrObLeMa! Orkestar
- Scene dallo spettacolo "Target - Belgrado 1999" di e con Mario Mantilli


domenica 22/3 - INIZIO ore 9.30

ROVESCIARE IL TARGET - E' POSSIBILE?

- La condizione dei lavoratori nei Balcani, in Italia, in Europa
introduce: Germano Raniero (RdB-CUB)
Zoran Mihajlovic (presidente del Samostalni Sindikat, Zastava Auto, Kragujevac, e vicepresidente del settore metalmeccanici Samostalni Sindikat della Serbia): La condizione del lavoro in Serbia
Nereo Turati (RdB-CUB Migranti Vicenza): Gli immigrati jugoslavi sul territorio
Giorgio Cremaschi (FIOM-CGIL): Delocalizzazioni e sfruttamento
- Dai bombardamenti sulla Zastava al grande movimento di solidarietà
introduce: Gilberto Vlaic (CS CNJ Onlus e Ass. Non Bombe ma Solo Caramelle)
Alessandro Di Meo (Un Ponte per...) - Riccardo Pilato (Ass. Zastava Brescia) - Enrico Vigna (SOS Yugoslavia - SOS Kosovo Metohija) - Rajka Veljovic (Samostalni Sindikat, Zastava, Kragujevac) - Slobodanka Ciric (autrice di un libro sulle esperienze di una jugoslava in Italia)
Documentazione video

ore 12.30-14.30 Incontro-dibattito: Il movimento contro la guerra, le
basi militari e la NATO
interventi di Nella Ginatempo (rete Semprecontrolaguerr a) - Vladimir
Kapuralin (resp. Relaz. internaz. Partito Socialista Operaio
-SRP-Croazia) - Paolo Consolaro (Disarmiamoli! Vicenza) – Valter Lorenzi
(comitato No Camp Darby) …

e poi... a Belgrado per ricordare l'anniversario dell’aggressione NATO
(su http://www.cnj. it/24MARZO99/ 2009/ tutte le iniziative in programma)

Aderite! Partecipate! Contattateci:
disarmiamoli@ libero.it oppure jugocoord@tiscali. it

Tutte le informazioni ai siti:
www.cnj. it

www.disarmiamoli.org

Per contribuire all'organizzazione dell'iniziativa invitiamo a
sottoscrivere utilizzando il:
Conto Bancoposta n. 88411681 intestato a JUGOCOORD ONLUS, Roma
IBAN: IT 40 U 07601 03200 000088411681 - causale: INIZIATIVE VICENZA 2009

domenica 1 marzo 2009

Testo uscito dall'assemblea antiNato di Strasburgo

Il programma della mobilitazione contro il vertice NATO del 3-5 aprile a Strasburgo
/Baden Baden










No alla guerra – No alla NATO




Cinquecento persone provenienti da 19 paesi hanno partecipato all’incontro del 14 e 15 febbraio 2009 presso la Marc Bloch University di Strasburgo, organizzato dal Comitato di Coordinamento Internazionale “No alla guerra-no alla NATO” e ospitati dal “Collettivo anti Nato di Strasburgo”, il tutto in preparazione delle attività dell’anti vertice per il 60° anniversario della NATO che si terrà a Strasburgo tra l'1 e il 5 aprile.

60 anni sono troppi – questo il punto unificante tra i partecipanti appartenenti ai movimenti pacifisti e no global, ai partiti e alle organizzazioni di sinistra, ai sindacati e ai gruppi studenteschi. Sono tutti contrari alla politica di guerra della NATO, sono contro le guerre in corso, in Afghanistan e in Medio Oriente, contro la strategia di intervento e ripetono con forza il loro “No alla NATO”. Rifiutano di accettare i legami dell’Unione Europea con la NATO e chiedono una drastica riduzione delle spese militari: “non vogliamo pagare la vostra crisi, non per le vostre guerre”.

Nel contesto delle celebrazioni ufficiali per il 50° anniversario della NATO, che si terranno a Strasburgo e Baden-Baden il 3 e 4 aprile, i partecipanti all’incontro hanno stilato un elenco di azioni e mobilitazioni:

1. campo internazionale di resistenza 1-5 aprile a Strasburgo, con punti di informazione a Kehl e Baden-Baden;
2. manifestazione e azioni di disobbedienza civile il 3 aprile a Baden-Baden in occasione dell’incontro dei Ministri degli Esteri e del pranzo di gala dei Capi di Stato;
3. convegno internazionale a Strasburgo il 3 e 5 aprile con plenarie, gruppi di lavoro ed una “Peace Assembly” conclusiva;
4. punto culminante sarà la manifestazione internazionale “No alla guerra! No alla NATO” che si terrà nel centro di Strasburgo il 4 aprile;
5. per il 4 aprile, sempre a Strasburgo, diverse organizzazioni stanno preparando azioni di disubbidienza civile.


Nonostante le autorità di Strasburgo abbiano annunciato che non autorizzeranno le azioni non violente nel centro della città, i partecipanti hanno riaffermato il fondamentale diritto democratico di assemblea, manifestazione e libertà di espressione. Hanno sottolineato che esprimeranno la loro protesta e la loro richiesta di libertà, nel centro della città. Hanno approvato una campagna internazionale di protesta per una Strasburgo libera, città di pace e democrazia. Per il sostegno alla delegazione per i negoziati, il Comitato di Coordinamento Internazionale ha costituito un gruppo di supporto internazionale e un gruppo di appoggio.

I diritti democratici fondamentali potranno essere difesi grazie alla forza dei movimenti extraparlamentari internazionali ed ai parlamentari dell’Unione Europea.

Il seguente appello è stato approvato dai partecipanti alla conferenza.




Appello per sostenere il diritto democratico a manifestare contro la NATO nel centro storico di Strasburgo il 4 aprile



La NATO celebrerà il suo 60° anniversario a Strasburgo alla presenza dei Capi di Stato, compreso il nuovo Presidente degli Stati Uniti.

I firmatari rifiutano le politiche della NATO che significano guerre, interventi militari, uso di basi militari e nuove installazioni missilistiche, ampliamento di un armamento permanente. Lavoriamo sulla base dell’appello “No alla NATO, No alla guerra”.

Rifiutiamo:

- l’intervento militare della NATO in Afghanistan;

- la logica di guerra e iper-armamento, in particolare l’armamento nucleare praticato dalla NATO;

- la reintegrazione della Francia nel comando militare NATO.

Vogliamo esprimere il nostro rifiuto nei confronti di queste politiche, vogliamo dare, sia ai cittadini di Strasburgo sia ai movimenti sociali, la possibilità di rendere pubblico il loro rifiuto.

Sono queste le richieste fatte alla prefettura che ha rifiutato la proposta del Comitato di manifestare contro la NATO nel centro storico di Strasburgo il 4 aprile.

Lo svolgimento del summit della NATO farà di Strasburgo una fortezza; questo non è giusto né per i suoi cittadini né per le migliaia di manifestanti pacifisti provenienti da tutto il mondo.

Saranno messe in atto misure straordinarie di sicurezza: sarà definita una zona rossa, sarà stilato un elenco dei cittadini, sarà organizzato un nuovo sistema di video sorveglianza.



Questa passerella di Capi di Stato nel centro storico di Strasburgo, e nelle sue vicinanze, significherà per i suoi abitanti l’impossibilità di mantenere la propria vita quotidiana, non avere libertà di movimento; tutto questo per noi è intollerabile e ci impedisce di far conoscere il vero volto della NATO. Mentre i cittadini pagheranno il summit e la glorificazione della NATO, chi dissente sarà marginalizzato.

La mobilitazione contro il summit della NATO è partita a livello mondiale con grande successo. Il 4 aprile i cittadini del mondo verranno a Strasburgo ad esprimere, con spirito nonviolento, il loro “desiderio di Pace” e il loro “No alla NATO”.

La nostra mobilitazione chiede la redistribuzione dei mezzi finanziari, spostandoli dalla guerra ad una politica che si occupi delle sfide che devono affrontare i popoli del pianeta in campo sociale, economico, democratico e ambientale.

Viene spontanea la domanda, quale sarà a livello globale l’immagine di Strasburgo?

Una città trasformata in fortezza al servizio della NATO o una città che celebra i valori di democrazia e pace?

Vogliamo il diritto di manifestare nel centro storico. La richiesta che rivolgiamo al governo francese ed alle autorità locali è di garantire il diritto democratico di una libera, indipendente e pacifica manifestazione.

International Activity Conference, composta da più di 500 partecipanti, Strasburgo 14-15 febbraio.

La Conferenza ha significato un passo importante nella costruzione della mobilitazione internazionale contro la NATO e il summit per il 60° anniversario, mobilitazione iniziata 6 mesi fa con l’appello internazionale di Stoccarda. Molte forze, da tutto il mondo, stanno convergendo per esprimere il loro desiderio di un pianeta più giusto e pacifico. Dal 1 al 5 aprile facciamo di Strasburgo una capitale di pace!
www.disarmiamoli.org


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Appunti sul 60° anniversario della NATO, Strasburgo aprile del 2009.
26 gennaio 2009 - Rossana De Simone da Peacelink


Per il 60° anniversario della NATO è prevista una mobilitazione europea contro il vertice che si terrà a Strasburgo www.nato.int/60years/

Anche in Italia il Patto Permanente contro la guerra sta preparando la sua partecipazione all’appuntamento con convegni a Vicenza in occasione del decimo anniversario dei bombardamenti della NATO contro la Jugoslavia, per lo smantellamento delle basi militari e contro la cooperazione tra NATO e Italia in particolare, con Israele.
www.dissent.fr

Per avere una idea chiara circa i cambiamenti interni alla NATO e come si presenta al suo 60° anniversario si può guardare la cartina “NATO 60 anni dopo. Da organizzazione di difesa a organizzazione di sicurezza” e tenere presente che l’Italia viene usata come trampolino naturale sia verso la regione balcanica sia verso il Nordafrica e il Medio Oriente. Il potenziamento della base di Aviano insieme a quella di Sigonella, l’elevazione della forza di paracadutisti della Setaf di Vicenza da livello di battaglione al rango di brigata, l’apertura a Napoli e sempre a Vicenza del comando Africom, ne costituiscono alcuni esempi.

http://docenti.luiss.it/sciso/files/2008/11/la-nato-60-anni-dopo1.ppt

In generale si può affermare che con la guerra nei Balcani, il probabile reintegro della Francia nel comando militare integrato della Nato e la decisione di appoggiare la costruzione di un sistema di difesa contro i missili balistici (BMD), l’Europa ha rafforzato la sua cooperazione con la Nato.
Stando al rapporto compilato da una commissione speciale incaricata dal ministro della Difesa Usa, Robert Gates, gli Stati Uniti non dovrebbero smantellare gli arsenali nucleari di cui dispongono in territorio europeo: anzi, farebbero bene ad ammodernarli in modo da mantenere la credibilità nei confronti dei loro alleati..

Nata nel 1949 in risposta alla minaccia sovietica, la NATO si è sempre retta sul principio della difesa collettiva sancito dall’Articolo 5 che prevede vincoli di difesa comune in caso di attacco contro uno dei partecipanti al Trattato. Nel quindicennio seguito alla fine della guerra fredda l’Alleanza Atlantica ha definito i nuovi compiti sulla base dell’evoluzione del nuovo concetto strategico (vertice di Washington del 1999), cioè la possibilità di operare in modo preventivo per gestire le crisi al loro insorgere senza attendere che vengano attaccati gli interessi delle Nazioni dell’Alleanza. Da qui la graduale ridefinizione delle missioni, capacità militari, composizione interna e partner esterni.

I problemi sollevati dalla minaccia terroristica dopo l’attacco alle Torri Gemelle, l’impegno politico ed economico in missioni come quella in Afghanistan e i cambiamenti nel sistema internazionale seguiti dalla fine della guerra fredda, hanno aperto discussioni circa il suo ruolo teorico-strategico e pratico-operativo. Per comprendere l’insieme dei processi in atto bisogna aggiungere la trasformazione delle capacità militari (capacità di schierare forze armate in poco tempo in teatri esterni all’alleanza), l’allargamento a Stati dell’Europa centro-orientale e le missioni extra articolo 5 (Bosnia, Kosovo-Serbia, Afghanistan, Iraq, Sudan).
Mutamenti geopolitici e trasformazioni sono da collegarsi alla decisione presa nel 1994 di avviare diversi tipi di partenariati con paesi ritenuti strategicamente importanti per la gestione della sicurezza e per una proiezione globale dell’alleanza (esempio la prima esercitazione navale congiunta Israele-NATO si è svolta nel marzo 2005. Dopo due mesi Israele è diventata membro dell’Assemblea parlamentare della NATO).



Nel 2003 vi è stata l’adozione della politica europea di sicurezza e di difesa (PESD) per cui l’UE ha dovuto stabilire con gli accordi “Berlin Plus” le modalità con cui l’Unione può utilizzare i mezzi e le capacità di pianificazione dell’alleanza per condurre delle proprie missioni di gestione delle crisi.
La creazione dei battlegroup (contingenti di reazione rapida di circa 1.500 persone per missioni di peace-keeping e di peace-enforcing) costituisce una analogia con la forza armata di reazione rapida Nato Responce Force (Nrf) con effetti di duplicazione delle spese militari.
Il rapporto difficile fra NATO ed Unione Europea ha come emblema la Francia. La PESD è stata vista dalla Francia come opportunità di conquistarsi maggiore autonomia dalle politiche americane sulle questioni di sicurezza internazionale. Se il 1966 ha sancito per volontà di De Grulle l’uscita della Francia dalla NATO, il cambiamento delle priorità politiche dell’Alleanza hanno visto il ritorno della Francia alle missioni NATO in maniera crescente in Afghanistan.
Sarkozy nel 2007 aveva chiesto agli americani di accettare che l’Unione Europea si doti di capacità militari autonome, e ai paesi europei di rafforzare le proprie capacità nazionali. Nella stessa Europa la NATO viene percepita differentemente o come forum nel quale discutere i problemi della sicurezza collettiva insieme agli Stati Uniti, e questa è la posizione dei paesi dell’Europa occidentale, o come garanzia americana contro la Russia, posizione dei paesi dell’ex patto di Varsavia. L’allargamento ad est, parallelo a quello dell’Unione Europea, non è stata l’unica azione intrapresa dalla NATO per divenire una NATO allargata. Durante il vertice di Riga da parte degli Stati Uniti e Gran Bretagna vi è stata la proposta di considerare un nuovo tipo di partenariato per una NATO globale.
Per NATO globale si deve intendere un tipo di partenariato non più basato su criteri geografici ma di carattere globale che preveder un forum permanente di coordinamento. Non tutti i membri dell’alleanza sono favorevoli ad un simile sviluppo in quanto metterebbe in discussione la sua dimensione prettamente atlantica e potrebbe essere percepita come minaccia da potenze come Russia e Cina o da paesi del mondo musulmano.
Partenariati sono stati avviati con stati di regioni vicine al perimetro dell’alleanza - Asia centrale, Nord Africa e Medio Oriente – , quelli attuali sono 4: Partenariato per la Pace, Dialogo mediterraneo, Consiglio Nato-Ucraina, Consiglio Nato-Russia e Istanbul Cooperation Iniziative.
Il vertice di Bucarest del 2008 ha nuovamente sollevato tutti i problemi relativi al rapporto dell’alleanza con la Russia.non solo per la porta aperta lasciata alla Georgia e all’Ucraina e la procedura di adesione (MAP – Membership Action Plan) che ha il duplice obiettivo di mettere in grado il paese candidato all’adesione di rispettare i requisiti dell’alleanza (Albania, Croazia e Macedonia), ma per la decisione storica di appoggiare la costruzione di un sistema di difesa contro i missili balistici.
Nulla è stato deciso in merito al processo decisionale (principio della maggioranza qualificata o la regola dell’unanimità), gestione delle missioni (solo le nazioni che partecipano alle missioni possono influire sulla loro gestione), caveat nazionali (i paesi che partecipano alle missioni devono prima accordarsi sulle regole di ingaggio), finanziamento delle missioni (i costi devono ricadere solo sugli stati che partecipano alle missioni o deve esserci un bilancio comune), strategia della comunicazione (intensificare e mantenere il consenso dell’opinione pubblica alle sue attività nei paesi alleati e contrastare le strategie di comunicazione del nemico nelle zone in cui opera) e intelligence (adeguare le capacità alle nuove minacce).
Quanto alle linee guida per il rafforzamento delle capacità militari, queste sono quelle stabilite nel CPG (Comprehensive Political Guidance) in cui si chiede di dotare la NATO di capacità adatte alla stabilizzazione e sostegno al “nation building”: la NATO Response Force come strumento interforze, l’Alliance Groung Surveillance con la capacità nel campo della ricognizione, il fronteggiamento della minaccia NBCR contro attacchi asimmetrici che potrebbero far uso di armi di distruzione di massa e le capacità network-centriche, il progetto che rende interoperabili digitalmente e connessi fra di loro grazie al sistema di rete, tutti gli elementi operativi. Per finire, il già citato sistema di difesa anti-missile.
Nulla viene deciso circa le armi nucleari presenti in Europa anche se il Terzo Sito è strettamente inserito nel sistema BMD americano e il suo funzionamento dipende eslusivamente dal sistema di allarme americano.

http://www.comitatoatlantico.it/articolo/198/comprehensive_political_guidance
http://www.nato.int/docu/pr/2007/p07-141.pdf
http://www.nukestrat.com/us/afn/NATOissue021805.pdf
http://www.defenselink.mil/news/nuclearweaponspolicy.pdf

60° anniversario della NATO e nuovo presidente degli Stati Uniti.

Il nuovo presidente degli Stati Uniti Barack Obama dovrà indicare le nuove linee guida della NATO circa l’identificazione delle minacce comuni, la politica delle porte aperte senza che la Russia possa imporre il suo veto, il processo decisionale, il ruolo della UE e quello della NATO, le regole che definiscano la ripartizione degli oneri. Nella lettera mandata al Segretario Generale della NATO ha espresso piena fiducia alla NATO e auspicato un suo rinnovamento e il rinforzo delle sue capacità.

http://www.nato.int/docu/speech/2009/s090120a.html
http://www.dw-world.de/dw/article/0,,3933770,00.html

sabato 31 gennaio 2009

Base Vicenza, centinaia occupano Dal Molin contro ampliamento

MAPPA DELL'OCCUPAZIONE






ROMA (Reuters) - Alcune centinaia di persone stamattina hanno occupato delle palazzine all'interno dell'aeroporto Dal Molin di Vicenza, dove stanno protestando contro il progetto di ampliamento della base Usa. E' quanto si legge in un comunicato del comitato "No Dal Molin!".
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"L'ingresso all'interno dell'area nella quale gli statunitensi vorrebbero realizzare la nuova installazione è la risposta di quanti si oppongono all'annuncio dell'imminente avvio dei cantieri", dice la nota.

Il comitato ricorda che lo scorso ottobre diverse migliaia di vicentini si espressero in una consultazione popolare contro il progetto di ampliamento della base, chiedendo che quel territorio fosse destinato a usi civili.

"Perseverare nel voler realizzare il progetto significa calpestare la democrazia. Un progetto, tra l'altro, illegittimo e illegale, perché i proponenti si sono rifiutati di accettare la redazione di una rigorosa valutazione di impatto ambientale, strumento di tutela della salute e del territorio imprescindibile".

Nella consultazione "non istituzionale" del 5 ottobre, votarono oltre 17.400 persone, più del 20% degli aventi diritto.

"L'occupazione - continua la nota - proseguirà ad oltranza. Invitiamo tutti coloro che si oppongono alla base a raggiungerci in via S. Antonino; abbiamo rimosso il filo spinato, l'ingresso è libero e, finalmente, questo grande prato verde è parte integrante della città del Palladio. Il futuro è nelle nostre mani: fermarli tocca a noi".






Difendere Vicenza? Yes, we can


[...] L'area che gli statunitensi vorrebbero occupare e militarizzare, dunque, è stata liberata e da oggi, per la prima volta, è accessibile a tutti i cittadini. Nei giorni scorsi, del resto, i No Dal Molin erano stati chiari: se partiranno i lavori non staremo a guardare [...]

Quando le forze dell'ordine si sono ritirate dall'aeroporto, tra i 400 No Dal Molin è partito, spontaneo, l'applauso; una prima, precaria vittoria per la città che, con il cuore prima ancora che con le unghie e con i denti sta difendendo il proprio territorio da quanti vogliono imporle una nuova base militare.

Era iniziato tutto alle 10 di questa mattina; una lunga colonna di auto in Via S. Antonino, donne e uomini che scendono dagli autoveicoli, tagliano le reti e prendono possesso di un'area dell'aeroporto; alcuni vanno sui tetti, altri appendono striscioni e cartelloni. La polizia, in pochi minuti si schiera e intima lo sgombero. Ma non ne hanno il diritto: l'Enac, per bocca della società incaricata della liquidazione, non lo ritiene utile. Le forze dell'ordine si ritirano, mentre i vicentini restano dentro al Dal Molin.

L'area che gli statunitensi vorrebbero occupare e militarizzare, dunque, è stata liberata e da oggi, per la prima volta, è accessibile a tutti i cittadini. Nei giorni scorsi, del resto, i No Dal Molin erano stati chiari: se partiranno i lavori non staremo a guardare. E così è stato: qualche giorno fa Cmc e Ccc, le ditte che hanno vinto l'appalto per il cantiere, avevano iniziato a demolire le strutture esistenti per far posto alle nuove caserme statunitensi; un avvio del cantiere illegale, innanzitutto perché la maggioranza della comunità locale è contraria a questo insediamento, poi perché nessuna Valutazione d'Impatto Ambientale è stata ancora realizzata nonostante la particolarità geologica e idrica dell'area.

Da oggi si apre una nuova fase della mobilitazione contro la nuova base militare statunitense; è quella della determinazione dei vicentini che, ingannati e trattati come sudditi dal commissario Costa e dal Governo, si riprendono la propria terra per difendere il proprio diritto alla parola e, soprattutto, il proprio diritto a costruirsi il futuro della città.

Questa sera all'interno del Dal Molin – ore 18.00 – si terrà la prima assemblea pubblica dei cittadini; domani verrà aperto il parco della pace e realizzato l'ufficio dell'Altrocomune per la Valutazione d'impatto ambientale. Abbiamo messo i piedi all'interno del Dal Molin, simbolo di coloro che vogliono difendere la democrazia e la terra per impedire la costruzione di una nuova base di guerra. Abbiamo riaperto la vicenda dopo che in tanti l'avevano frettolosamente dichiarata chiusa. Difendere Vicenza? Si può fare; perché il futuro è nelle nostre mani: ci hanno impedito di decidere attraverso la consultazione popolare, non potranno impedirci di difendere la nostra città

martedì 13 gennaio 2009

Zanotelli: fermiamo Africom


Appello del missionario comboniano
09/01/2009 18.00.00

Zanotelli: fermiamo Africom

Napoli e Vicenza ospiteranno truppe Usa per l’Africa. Perché il governo italiano non ha informato il parlamento? Perché il mondo cattolico, e in particolare quello missionario, è silente? Bombardiamo di e-mail i ministri Frattini e La Russa.


Le comunità cristiane in Italia hanno appena celebrato il Natale, una festa così carica di messaggi di pace. La stessa Giornata Mondiale della Pace (1 gennaio) è venuta ad accentuare questo tema per i credenti. Ma noi cristiani ci accorgiamo di quello che stiamo celebrando? Come facciamo a proclamare la pace in chiesa mentre non ci accorgiamo che la neghiamo con le scelte violente sia nostre che dei nostri governi?

Come possiamo celebrare il Natale, la festa della vita ,con il massacro dei bimbi palestinesi,vera strage degli innocenti? Come possiamo celebrare il Natale senza che questo “urlo” di sofferenza umana, dei palestinesi come anche di tanti altri popoli (dai congolesi ai ceceni),non venga a disturbare le nostre coscienze addormentate di cristiani di Occidente?Ci rendiamo conto che tanta di questa sofferenza è dovuta alle scelte militaristiche dei nostri governi?

Un esempio incredibile è l’annuncio fatto poco prima di Natale dal nostro ministro degli esteri Franco Frattini: Africom, il supremo comando Usa per le truppe di terra e di mare per l’Africa, troverà posto a Napoli e a Vicenza. Africom, creato nel 2007 dal presidente Bush e inaugurato il primo ottobre 2008 a Stoccarda (Germania), è guidato oggi dal generale afro-americano William “Kid” Ward. Il generale ha speso il 2008 a cercare una base per questo Comando in Africa. Ma la forte azione diplomatica del Sudafrica contro la presenza di Africom nel continente, ha impedito agli Usa di trovarla.
Come ultima chance gli americani hanno pensato di trovarla nel paese più vicino all’Africa, la Spagna ed esattamente a Rota (Cadice), ma Zapatero si è opposto. Non rimaneva che l’Italia! E il governo Berlusconi è stato ben felice di dare il benvenuto ad Africom a Vicenza e a Napoli. (Nel 2008 il comitato campano Pace e Disarmo aveva scritto un libro dal titolo profetico, Napoli chiama Vicenza, che descrive la pesante militarizzazione del territorio campano dotato di sette basi militari: Usa e Nato!).

Il ministro Frattini ha anche detto che si tratta di «strutture di comando che operano nel quadro Nato». Bugia! Il comando Africom è uno dei sei comandi unificati del Pentagono. Frattini ha anche dichiarato che non ci sono truppe da combattimento, ma solo componenti civili. Altra bugia! Africom è il comando unificato militare statunitense che ha come scopo la lotta al terrorismo e l’addestramento dei militari africani, oltre alla protezione degli enormi interessi americani in Africa .

E proprio per potenziare Africom, gli Usa hanno costituito due nuovi corpi: i Marines per l’Africa (Maforaf) e il Diciassettesimo Stormo dell’aeronautica militare Usa con il nome di Afafrica. Quest’ultimo opererà soprattutto da Vicenza e Sigonella, oggi la più grande base aerea nel Mediterraneo. Le forze armate Usa hanno fatto già sapere che 750 militari verranno assegnati a Napoli e a Vicenza. Frattini ha anche detto che la scelta del governo è stata presa dopo aver informato i paesi africani che hanno espresso grande supporto per questa decisione! Strana democrazia quella del governo Berlusconi che tiene nascosta una tale decisione al parlamento e consulta invece i governi africani!

Il nostro governo dando il suo consenso a Washington contribuisce alla nuova operazione di stampo coloniale mirante al controllo delle aree strategiche dell’Africa.

Le domande che sorgono sono molte e inquietanti sia per il nostro governo e parlamento, sia per le amministrazioni della Campania e di Napoli, sia per la chiesa italiana.

Governo e parlamento
In quali sedi e con quali procedure è stata presa questa decisione di grande importanza strategica?
Perché il parlamento italiano non è stato informato e non c’è stato nessun dibattito parlamentare? Il Pd ha qualcosa da dire a riguardo? Oppure c’è un accordo bipartisan su tutto questo?

Regione Campania e Comune di Napoli
La Regione campana, nella persona del suo presidente Bassolino, è stata almeno consultata?
E la sindaca di Napoli, Rosa Iervolino, è stata almeno interpellata, dato che Africom sarà posizionato a Napoli?

Chiesa italiana
Come mai che la Cei non ha alcuna parola da dire su scelte militaristiche così scellerate?
Come mai gli istituti missionari e le realtà missionarie laicali come la Focsiv non reagiscono a decisioni militaristiche così gravi? Come facciamo ad inviare missionari, suore, laici in Africa se non denunciamo scelte come queste che rendono l’Africa sempre più schiava e sfruttata? Se, come missionari, vogliamo proclamare Buona Novella ai poveri, dobbiamo avere il coraggio di denunciare con forza queste virate militaristiche del nostro governo. Non è questa la missione globale a cui come missionari siamo chiamati?

Mi aspetto una presa di posizione pubblica da parte degli istituti missionari operanti in Africa.
A tutti chiedo di inviare una e-mail al ministro degli esteri Franco Frattini e al ministro della difesa Ignazio La Russa, protestando per la scelta di Africom a Vicenza e a Napoli.

lunedì 12 gennaio 2009

La furia sacrificale di Israele e le sue vittime a Gaza

Scritto da Ilan Pappe*




La mia visita di ritorno a casa in Galilea è coincisa con l’attacco genocida israeliano contro Gaza. Lo stato, attraverso i suoi media e con l’aiuto del mondo accademico, ha diffuso una voce unanime - persino più forte di quella udita durante l’attacco criminale contro il Libano nell’estate del 2006. Israele è ancora una volta divorata da una furia sacrificale che traduce in politiche distruttive nella Striscia di Gaza.

Questa autogiustificazione spaventosa per l’inumanità e l’impunità non è soltanto sconcertante, ma è un argomento sul quale soffermarsi se si vuole comprendere l’immunità internazionale per il massacro che infuria a Gaza. E’ anzitutto fondata su bugie pure e semplici trasmesse con una neolingua che ricorda i giorni più bui dell’Europa del 1930. Ogni mezz’ora un bollettino d’informazioni su radio e televisione descrive le vittime di Gaza come terroristi e le uccisioni di centinaia di persone come un atto di autodifesa. Israele presenta sé stessa al suo popolo come la vittima sacrificale che si difende contro un grande demonio.

Il mondo accademico è reclutato per spiegare quanto demoniaca e mostruosa è la lotta palestinese, se è condotta da Hamas. Questi sono gli stessi studiosi che demonizzarono l’ultimo leader palestinese Yasser Arafat nel primo periodo e delegittimarono il suo movimento Fatah durante la seconda intifada palestinese. Ma le bugie e le rappresentazioni distorte non sono la parte peggiore di tutto questo.

Quello che indigna di più è l’attacco diretto alle ultime tracce di umanità e dignità del popolo palestinese. I palestinesi di Israele hanno mostrato la loro solidarietà con il popolo di Gaza e ora sono bollati come una quinta colonna nello stato ebraico; il loro diritto a restare nella loro patria viene rimesso in dubbio data la loro mancanza di sostegno all’aggressione israeliana.

Coloro che hanno accettato - sbagliando, secondo la mia opinione, di apparire nei media locali sono interrogati e non intervistati, come se fossero detenuti nelle prigioni dello Shin Bet. La loro apparizione è preceduta e seguita da umilianti rilievi razzisti e sono sottoposti all’accusa di essere una quinta colonna, un popolo fanatico e irrazionale. E ancora questa non è la pratica più vile. Ci sono alcuni bambini palestinesi dei Territori Occupati curati per cancro negli ospedali israeliani. Dio sa quale prezzo devono pagare le loro famiglie per poterli ricoverare. La radio israeliana va ogni giorno negli ospedali per chiedere ai poveri genitori di dire agli ascoltatori israeliani quanto è nel suo diritto Israele nel suo attacco e quanto demoniaco sia Hamas nella sua difesa.

Non ci sono confini all’ipocrisia che una furia sacrificale produce. I discorsi dei generali e dei politici si muovono in modo erratico tra gli autocompiacimenti da un lato sull’umanità che l’esercito mostra nelle sue operazioni “chirurgiche” e dall’altro sulla necessità di distruggere Gaza una volta per tutte, naturalmente in un modo umano. Questa furia sacrificale è un fenomeno costante nella espropriazione israeliana, e prima ancora sionista, della Palestina. Ogni azione, sia essa la pulizia etnica, l’occupazione, il massacro o la distruzione è stata sempre rappresentata come moralmente giusta e come semplice atto di autodifesa commesso da Israele suo malgrado nella guerra contro la peggior specie di esseri umani. Nel suo eccellente volume “I risultati del sionismo: miti, politiche e cultura in Israele”, Gabi Piterberg esamina le origini ideologiche e la progressione storica di questa furia. sacrificale.

Oggi in Israele, dalla destra alla sinistra, dal Likud a Kadima, dall’accademia ai media, si può ascoltare questa furia sacrificale di uno stato che è molto più indaffarato di qualsiasi altro stato al mondo nel distruggere e nell’espropriare una popolazione nativa. E’ molto importante esaminare le origini ideologiche di questo modo di comportarsi e derivare, dalla sua larga diffusione, le conclusioni politiche necessarie. Questa furia sacrificale costituisce uno scudo per la società e per i politici in Israele da ogni biasimo o critica esterna. Ma ancora peggio, si traduce sempre in politiche di distruzione contro i palestinesi. Senza nessun meccanismo interno di critica e senza nessuna pressione esterna, ogni palestinese diventa un obiettivo potenziale di questa furia. Data la potenza di fuoco dello stato ebraico può soltanto finire in più massicce uccisioni, massacri e pulizia etnica.

L’assenza di una qualsiasi moralità è un potente atto di auto-negazione e di giustificazione. Ciò spiega perché la società israeliana non può essere modificata da parole di saggezza, di persuasione logica o di dialogo diplomatico.

E se non si vuole usare la violenza come mezzo di opposizione, c’è soltanto un modo per andare avanti: sfidare frontalmente questa assenza di moralità come una ideologia diabolica tesa a nascondere atrocità umane. Un altro nome per questa ideologia è Sionismo e l’unico modo di contrastare questa assenza di moralità è il biasimo a livello internazionale del sionismo, non solo di particolari politiche israeliane.

Dobbiamo cercare di spiegare non solo al mondo, ma anche agli stessi israeliani che il sionismo è un’ideologia che comporta la pulizia etnica, l’occupazione e ora massicci massacri.

Ciò che occorre ora non è tanto una condanna del presente massacro. ma anche la delegittimazione dell’ideologia che ha prodotto tale politica e la giustifica moralmente e politicamente. Speriamo che importanti voci nel mondo possano dire allo stato ebraico che questa ideologia e il comportamento complessivo dello stato sono intollerabili e inaccettabili e che, sino a quando persisteranno, Israele sarà boicottato e soggetto a sanzioni. Ma non sono ingenuo. So che anche il massacro di centinaia di innocenti palestinesi non sarà sufficiente per produrre questa modificazione nella pubblica opinione occidentale; è anche più improbabile che i crimini commessi a Gaza muovano i governo europei a mutare la loro politica nei confronti della Palestina.

Ma noi non possiamo permettere che il 2009 sia un altro anno, meno significativo del 2008, l’anno di commemorazione della Nakba, che non sia riuscito a realizzare le grandi speranze che noi tutti avevamo, per la sua potenzialità, di trasformare il comportamento del mondo occidentale verso la Palestina e i palestinesi. Pare che persino il più orrendo dei crimini, come il genocidio a Gaza, sia trattato come un evento separato, non connesso con nulla di ciò che è già avvenuto nel passato e non associato ad una ideologia o a un sistema.

In questo nuovo anno, noi dobbiamo tentare di riposizionare l’opinione pubblica nei confronti della storia della Palestina e dei mali dell’ideologia sionista come i mezzi migliori sia per spiegare le operazioni genocide come quella in corso a Gaza sia per prevenire cose peggiori nel futuro.

Questo è già stato fatto, a livello accademico. La nostra sfida maggiore è quella di trovare un modo efficace di spiegare le connessioni tra l’ideologia sionista e le politiche di distruzione del passato con la crisi presente. Può essere più facile farlo mentre, in queste terribili circostanze, l’attenzione mondiale è diretta ancora una volta verso la Palestina.

Potrebbe essere ancora più difficile quando la situazione sembra essere “più calma” e meno drammatica.

Nei momenti “di quiete”, l’attenzione di breve durata dei media occidentali metterebbe ai margini ancora una volta la tragedia palestinese e la dimenticherebbe sia per gli orribili genocidi in Africa o per la crisi economica e per gli scenari ecologici apocalittici nel resto del mondo.

Mentre i media occidentali non sembrano molto interessati alla dimensione storica, soltanto attraverso una valutazione storica si può mostrare la dimensione dei crimini commessi contro i palestinesi nei sessanta anni trascorsi. Perciò il ruolo degli studiosi attivisti e dei media alternativi sta proprio nell’insistere su questi contesti storici. Questi attori non dovrebbero smettere di educare l’opinione pubblica e, si spera, di influenzare qualche politico più onesto a guardare ai fatti in una prospettiva storica più ampia.

Allo stesso modo, noi possiamo essere in grado di trovare un modo più adeguato alla gente comune, distinto dal livello accademico degli intellettuali, per spiegare chiaramente che la politica di Israele - nei sessanta anni trascorsi - deriva da un’ideologia egemonica razzista chiamata sionismo, difesa da infiniti strati di furia sacrificale.

Nonostante l’accusa scontata di antisemitismo e cose del genere, è tempo di mettere in relazione nell’opinione pubblica l’ideologia sionista con il punto di riferimento storico e ormai familiare della terra: la pulizia etnica del 1948, l’oppressione dei palestinesi in Israele durante i giorni del governo militare, la brutale occupazione della Cisgiordania e ora il massacro di Gaza. Come l’ideologia dell’apartheid ha spiegato benissimo le politiche di oppressione del governo del Sud-Africa, questa ideologia – nella sua variante più semplicistica e riflessa, ha permesso a tutti i governi israeliani, nel passato e nel presente, di disumanizzare i palestinesi ovunque essi fossero e di combattere per distruggerli.

I mezzi sono mutati da un periodo all’altro, da un luogo all’altro, come ha fatto la narrazione che ha nascosto queste atrocità. Ma c’è un disegno chiaro che non può essere solo fatto oggetto di discussione nelle torri d’avorio accademiche, ma deve diventare parte del discorso politico nella realtà contemporanea della Palestina di oggi. Alcuni di noi, in particolare quelli che si dedicano alla giustizia e alla pace in Palestina, inconsciamente evitano questo dibattito, concentrandosi, e questo è comprensibile, sui Territori Palestinesi Occupati (OPT) - la Cisgiordania e la Striscia di Gaza. Lottare contro le politiche criminali è una missione urgente.

Ma questo non dovrebbe trasmettere il messaggio che le potenze occidentali hanno adottato volentieri su suggerimento israeliano, che la Palestina è soltanto la cisgiordania e la Striscia di Gaza e che i palestinesi sono solo la popolazione che vive in quei territori. Dovremmo estendere la rappresentazione della Palestina geograficamente e demograficamente raccontando la narrazione storica dei fatti dal 1948 in poi e richiedere diritti civili e umani eguali per tutte le persone che vivono, o che erano abituati a vivere, in quella che oggi è Israele e i Territori Occupati.

Ponendo in relazione l’ideologia sionista e le politiche del passato con le atrocità del presente, noi saremo in grado di dare una spiegazione chiara e logica per la campagna di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni. Sfidare con mezzi non violenti uno stato ideologico che si autogiustifica moralmente, che si permette, con l’aiuto di un mondo silenzioso, di espropriare e distruggere la popolazione nativa di Palestina, è una causa giusta e morale.

E’ anche un modo efficace di stimolare l’opinione pubblica non soltanto contro le attuali politiche genocidarie a Gaza, ma, si spera, anche a prevenire future atrocità. Ancora più importante di ogni altra cosa ciò dovrebbe far sfiatare la furia sacrificale che soffoca i palestinesi ogni volta che si gonfia. Ciò aiuterà a porre fine alla immunità dell’occidente a fronte dell’impunità di Israele. Senza questa immunità, si spera che sempre più la gente in Israele cominci a vedere la natura reale dei crimini commessi in loro nome e la loro furia potrebbe essere diretta contro coloro che hanno intrappolato loro e i palestinesi in questo ciclo non necessario di massacri e violenza.

*Ilan Pappe (http://ilanpappe.com http://electronicintifada.net) insegna nel Dipartimento di storia dell’Università di Exeter, Inghilterra

"Righteous fury" è stato tradotto in furia sacrificale al posto della traduzione letterale furia giusta o furia santa o furia giustificabile - ndt). ISM-Italia - info@ism-italia.itIndirizzo e-mail protetto dal bots spam , deve abilitare Javascript per vederlo - www.ism-italia.it

Che diremmo se Hamas avesse ucciso 600 israeliani?


di Robert Fisk

su Liberazione del 08/01/2009

E così ancora una volta Israele ha aperto le porte dell'inferno ai
palestinesi. 40 civili che cercavano rifugio sono morti in una scuola
dell'Onu, altri tre in un altra. Non male per una notte di lavoro a Gaza
da parte di un esercito che crede nella "purezza delle armi". Ma perchè
questo dovrebbe sorprenderci?

Abbiamo dimenticato i 17.500 morti, quasi tutti civili, molti dei quali
donne e bambini, dell'invasione israeliana del Libano nel 1982; i 1700
civili palestinesi morti nel massacro di Sabra e Chatila; la strage di
Qana presso la base Onu dove trovarono la morte 106 civili libanesi,
metà dei quali bambini; l'assassinio dei profughi di Marwahin a cui
venne ordinato di lasciare le loro case per poi essere falciati da un
elicottero israeliano; i 1000 morti, quasi tutti civili, provocati
sempre nel 2006 nel corso dell'invasione, sempre in Libano?

Quello che veramente sorprende è che molti leader occidentali, tanti
presidenti e primi ministri, e, io temo, molti editori e giornalisti,
hanno accettato la solita vecchia bugia: gli israeliani hanno fatto
molta attenzione per evitare vittime innocenti. «Israele ha fatto il
possibile per evitare vittime civili», è quanto ha dichiarato poche ore
prima del massacro di Gaza un ambasciatore israeliano. E ogni presidente
e primo ministro che ha ripetuto questa falsità come scusa per non
chiedere un cessate il fuoco, ha sulle sue mani il sangue del macello
che si è compiuto la scorsa notte. Se George Bush avesse avuto il
coraggio di chiedere un immmediato cessate il fuoco 48 ore prima di quel
fatto, quei vecchi, quelle donne e bambini sarebbero vivi.

Quanto accaduto non è solo vergognoso. Usare il termine crimini di
guerra per descrivere quanto accaduto è troppo? Perchè questo è il
termine che avremmo usato per questa atrocità se fosse stata commessa da
Hamas. Quindi temo che era un crimine di guerra. Dopo aver scritto di
così tanti massacri avvenuti in Medio Oriente, da parte delle truppe
siriane, irachene, iraniane e israeliane, suppongo che avrei dovuto
avere una reazione più cinica.

Ma Israele sostiene di combattere una guerra per noi contro il
"terrorismo internazionale"

. Gli israeliani sostengono di combattere a Gaza per noi, per i nostri
ideali occidentali, per la nostra sicurezza, per i nostri standard di
vita. Quindi anche noi siamo complici della barbaria che oggi invade Gaza.
Ho riportato varie volte le scuse dell'esercito israeliano per questi
oltraggi nel passato. Siccome potrebbero essere ripetute nelle prossime
ore ve le ripropongo. Israele dice che i palestinesi hanno ucciso i loro
profughi, che hanno disotterrato i cadaveri dai cimiteri e sparso i
corpi tra le rovine, che alla fine i veri responsabili sono i
palestinesi in quanto sostenitori di un fazione armata, oppure che gli
stessi palestinesi armati hanno usato i rifugiati come scudi umani.

Il massacro di Sabra e Chatyila fu commesso dai falangisti libanesi di
destra mentre le truppe di Israele, come ha rivelato la stessa
commissione israeliana, rimasero a guardare per 48 ore senza fare nulla.
Quando Israele fu accusata, il governo di Menacham Begin accusò il mondo
di diffamazione. Dopo che l'artiglieria israeliana sparò contro il
comprensorio Onu di Qana, nel 1996, Israele sostenne che gli stessi
Hezbollah stavano bombardando la base. Era una bugia. I più di mille
morti del 2006, una guerra iniziata dopo che Hezbollah aveva catturato
due soldati isreaeliani al confine, furono derubricati come
responsabiltà di Hezbollah. Israele sostenne che i cadaveri dei bambini
nel secondo massacro di Qana erano stati presi da un cimitero. Era
un'altra bugia. Il massacro di Marwahin non venne mai giustificato. Alla
gente del villaggio venne ordinato di lasciare le loro case, obbedirono
agli ordini degli israeliani e furono attaccati da un elicottero. I
profughi presero i loro bambini e si misero vicino ai camion sui quali
viaggiavano per permettere ai piloti di vedere che erano civili. Poi
l'elicottero israeliano li falciò, da vicino. Sopravissero solo in due
fingendosi morti. Israele non chiese neppure scusa.
Dodici anni prima un'altro elicottero attaccò una ambulanza che
trasportava civili, anche a loro era stato ordinato di abbandonare il
loro villaggio, morirono tre bambini e due donne. Israele sostenne che
un combattente di Hezbollah era sull'ambulanza. Non era vero. Ho seguito
e scritto tutte queste atrocità, le ho indagate, parlato con i
sopravissuti. Così hanno fatto molti miei colleghi. Come risposta
ottenemmo degli scritti diffamatori: fummo accusati di essere antisemiti.

E scrivo quanto segue senza alcun dubbio: sentiremo di nuovo queste
scandalose ricostruzioni. Sentiremo la scusa-bugia di Hamas - e dio solo
lo sa che ce n'è abbastanza contro di loro senza bisogno di inventarsi
crimini - sentiremo di nuovo dei cadaveri dai cimiteri, e che Hamas era
nella scuola dell'Onu. Tutte bugie. E che noi siamo antisemiti. E avremo
i nostri leader che sbuffando e balbettando ricorderanno al mondo che è
stata Hamas a rompere il cessate il fuoco. Non lo ha fatto. Israele lo
ha fatto per prima, il 4 novembre, quando con i suoi bombardamenti
uccise 6 palestinesi a Gaza e ancora il 17 novembre quando in un altro
bombardamento morirono altri quattro palestinesi.

Sì, Israele merita sicurezza. Venti israeliani uccisi in 10 anni attorno
a Gaza è un dato tragico. Ma 600 palestinesi morti in una sola
settimana, e migliaia nel corso degli anni dal 1948, è sicuramente un
differente scala. Questo ci ricorda che non siamo di fronte a un
"normale" massacro del Medio Oriente, ma ad una atrocità che ricorda la
guerra dei Balcani degli anni '90. E naturalmente quando un arabo
scatenerà tutta la sua furia incontenibile e scaricherà la sua rabbia
cieca contro l'occidente, diremo che questo non ha nulla a che fare con
noi. Ci chiederemo, perchè ci odiano? Ma non facciamo finta che non
conosciamo la risposta.

sabato 3 gennaio 2009

Emergenza GAZA


La situazione a Gaza diventa sempre più drammatica.
Gli ospedali sono al collasso, i medicinali scarseggiano e le vittime civili sono destinate ad aumentare sempre di più per l’impossibilità di ricevere cure e trattamenti sanitari adeguati.
L’Associazione Amici della Mezza Luna Rossa Palestinese lancia una campagna di raccolta di fondi per l’acquisto dei materiali necessari in questo stato d’emergenza ( non è possibile donare o raccogliere generi alimentari o medicinali, perché Israele non lascia passare niente ).

Le vostre offerte possono essere versate sul Conto Corrente dell’Associazione, specificando nella causale “SOS GAZA”:

D 07601 03200 62237201
cin abi cab n. conto

Codice IBAN: IT69 D076 0103 2000 0006 2237 201
Codice BIC/SWIFT: BPPIITRRXXX


Ringrazio il Presidente, Dott. Domenico Gallo, la Vice-Presidente, Prof.ssa Marcella Delle Donne, la Responsabile dell'Ufficio Stampa, Dott.ssa Silvia Rizzello e tutti i membri del Direttivo
dell'Associazione, per tutto quello che stanno facendo in questi tempi difficili per la causa palestinese e particolarmente per il lavoro svolto per il progetto " Adotta un/a bambino/a palestinese
Orfano/a o Ferito/a ", e invito TUTTI a compiere un gesto di generosità e di concreta solidarietà con un popolo che veramente ne ha bisogno.
Chiedo a tutti la massima pubblicazione e diffusione.
Cordiali saluti.

Dr. Yousef Salman
Delegato della Mezza Luna Rossa Palestinese in Italia
Cell.: 347 9013013

giovedì 1 gennaio 2009

appello per una manifestazione regionale a Bari



SABATO 3 GENNAIO 2009

MANIFESTAZIONE REGIONALE PUGLISE. CONCENTRAMENTO ORE 17.00 IN PIAZZA
PREFETTURA A BARI

CONTRO LA PULIZIA ETNICA E IL TERRORISMO DI STATO ISRAELIANO

FERMIAMO IL MASSACRO DI GAZA!

E' partito sabato mattina l'attacco dell'esercito di occupazione israeliano sulla inerme popolazione civile palestinese già stremata da un lungo embargo che ha reso insufficienti e privi di strumenti adeguati gli ospedali della Striscia di Gaza. A pochi giorni dai primi raid aerei israeliani sulla Striscia si contano già quasi 440 morti e 3000 feriti, di cui molti gravissimi, un bilancio destinato purtroppo a crescere. Tra le vittime, dicono i mezzi d'informazione ufficiale, tante donne e tanti bambini, i cui corpi stanno arrivando a brandelli negli ospedali. Al momento ci sono 80 bambini morti e più di 700 feriti

I morti e i feriti di Gaza sono l'ennesima testimonianza della pulizia etnica che lo Stato israeliano da 60 anni sta portando avanti attraverso una guerra di occupazione, di apartheid, di violenza militare sull'intera popolazione palestinese. Il pretesto dell'attacco "difensivo" dai missili qassam, vuole distogliere l'attenzione dell'opinione pubblica mondiale dal fatto che a Gaza un milione e mezzo di persone sta rischiando la morte da quasi due anni di embargo, che ogni giorno produce vittime.

NON C'E' TEMPO DA PERDERE!!! FERMATE IL MASSACRO DI GAZA!!!

SABATO 3 GENNAIO 2009
MANIFESTAZIONE REGIONALE PUGLISE. CONCENTRAMENTO ORE 17.00 IN PIAZZA
PREFETTURA A BARI
PER

- L'IMMEDIATO STOP ALL'ATTACCO MILITARE SULLA STRISCIA DI GAZA

- LA FINE DELL'EMBARGO CONTRO LA POPOLAZIONE PALESTINESE DI GAZA

- IL CONGELAMENTO DI TUTTI GLI ACCORDI POLITICI ECONOMICI E MILITARI TRA
L'ITALIA E ISRAELE

- LA FINE DELL'OCCUPAZIONE ISRAELIANA DELLA PALESTINA


VITA, TERRA E LIBERTA' PER IL POPOLO PALESTINESE

Comunità Palestinese - Puglia
UDAP
P.D. Regionale - Puglia
Rifondazione Comunista - Puglia
Partito dei Comunisti Italiani - Puglia
Verdi - Puglia
Alternativa Comunista - Puglia
Sinistra Alternativa - Puglia
RDB/CUB- Puglia
ARCI - Puglia
Confederazione Cobas
Comitato di Quartiere Paolo Sesto Taranto
Comitato di Quartiere Città vecchia Taranto
Network per i diritti globali Barletta
Centro di documentazione filorosso Foggia
Slai Cobas per il sindacato di classe Taranto
Most za Beograd di Bari
Coop. Soc. Il Nuovo Fantarca onlus
"Godwin Club Italia" (XIV anno)
Sindacato dei Lavoratori Intercategoriale "SdL"
(Confederazione Italiana di Base) C.I.B. UNICOBAS di Bari
Servizio Civile Internazionale SCI - Bari
Rete per la legalita' ed i diritti negati
Salento Nowar, Coordinamento Salentino contro la guerra e contro le basi militari

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LECCE - CAPODANNO DEI POPOLI- MANIFESTAZIONE PER LA PALESTINA