lunedì 29 dicembre 2008

MASSACRO A GAZA… UNO SGUARDO SULLE GUERRE URBANE FUTURE




Le centinaia di morti e feriti a Gaza City di queste ultime ore(28 dicembre 2008)non sono solo il risultato dell’ennesima dimostrazione di forza dello Stato d’Israele contro Hamas , ma anche l’effetto della sperimentazione su campo delle tecnologie militari d’avanguardia delle industrie israeliane ed occidentali nel campo della guerra in contesti urbanizzati.


L’attacco massiccio, in una delle zone più densamente popolate del pianeta quando avrà termine diverrà oggetto di studio di arte militare per gli strateghi del complesso militar-industriale mondiale.


I morti e i feriti di Gaza e le distruzioni di infrastrutture civili e militari, ben presto diverranno asettiche cifre catalogate in obbiettivi strategici e tattici raggiunti e danni collaterali, come lo sono divenuti quelle di Mogadiscio, Grozny, Fallujha, Bint Jbeil e tante altre stragi.

Li ritroveremo così nei manuali degli eserciti di tutto il mondo nel capitolo:-“ Guerre Urbane future, come affrontarle?”-

Un capitolo che ogni giorno diventa sempre più voluminoso con l’aumentare della crisi del sogno del Nuovo ordine Mondiale in nome della Globalizzazione Capitalistica, un capitolo su quale esperti o sedicenti tali scrivono col sangue di innocenti la ricetta che dovrebbe fermare la rabbia incontenibile dell’umanità futura dinanzi al baratro in cui il Capitale globalizzatore l’ha gettata.











Negli studi sull’operazione”Gaza dicembre 2008” verrà analizzata l’efficacia degli UAV ( gli aerei senza pilota) nell’acquisizione e distruzione dei bersagli , nell’uso di missili guidati da telecamere capaci di funzionare fino all’impatto sui bersagli o guidati da illuminatori laser trasportati da agenti infiltrati israeliani o da mini robot UAV capaci di appollaiarsi su alberi, davanzali o pali telefonici.


Necessariamente all’offensiva aerea seguirà quella terrestre con carri armati e mezzi degni di guerre da fantascienza. Carri che sembrano fortini medioevali, con torrette telecomandate e blindati capaci di resistere non solo agli RPG ma anche ad esplosioni di mine terrestri.

I carri israeliani Achzarit son divenuti i battistrada per le linee guida delle industrie militari mondiali che si stanno adeguando nel produrre le armi per le prossime Guerre Urbane, quelle che si combatteranno negli anni futuri nelle banlieu delle Megalopoli sovrappopolate dell’Impero.

Dopo le lezioni apprese in Iraq , Afghanistan ed in Libano è un proliferare di soluzioni: quelle occidentali propendono a Kit modulari da aggiungere ai carri armati di serie, mentre gli israeliani si sono orientati nel blindato NAMER equipaggiato con il nuovo motore della Continental Motors o dell’azienda tedesca MTU.












Ma in questo campo anche le industrie italiane stanno facendo progressi grazie alla collaborazione con le omologhe israeliane (ed anch’esse riceveranno un utile contributo dal fiume di sangue che sgorga oggi da Gaza) ma che già adesso hanno sfornato i loro prodotti d’avanguardia come le protezioni aggiuntive e le torrette telecomandate montate sulle autoblinde Puma ed inviate in Afghanistan ma anche , primi al mondo, a far rifornire in volo un velivolo non pilotato a getto come lo Sky-X dell’Alenia Aeronautica: un ottimo passo per le guerre robotiche future , quelle in cui le macchine opportunamente programmate decideranno chi è il nemico del giorno e come e quando colpirlo in qualunque ora del giorno e della notte.



ANTONIO CAMUSO

OSSERVATORIO SUI BALCANI DI BRINDISI

osservatoriobrindisi@libero.it

Brindisi 28 dicembre 2008

domenica 28 dicembre 2008

Fermiamo il massacro di Gaza



DOMANI LUNEDI' 29 DICEMBRE ALLE ORE 17,30
PRESIDIO A LECCE

a sostegno dei diritti del popolo palestinese,
per la sospensione immediata dell'intervento armato israeliano
FERMIAMO IL MASSACRO DEL POPOLO PALESTINESE A GAZA.
ESPRIMIAMO LA PIU' FERMA CONDANNA AL GOVERNO ISRAELIANO.
TROVIAMOCI DOMANI TUTTI IN PIAZZETTA DE PACE
(Via Trinchese angolo con Via F.Cavallotti di fronte
alla scuola elementare Cesare Battisti).


invitiamo TUTTI ad ADERIRE E PARTECIPARE

Cobas
Circolo Iqbal Masiq
Comitato Internaz."Dino Frisullo"
SALENTO NOWAR
Sinistra Critica - Lecce



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CONTRO LA PULIZIA ETNICA E IL TERRORISMO DI STATO ISRAELIANO
FERMIAMO IL MASSACRO DI GAZA!

E´ partito sabato mattina l´attacco dell´esercito di occupazione israeliano sulla inerme popolazione civile palestinese già stremata da un lungo embargo che ha reso insufficienti e privi di strumenti adeguati gli ospedali della Striscia di Gaza. A poche ore dai primi raid aerei israeliani sulla Striscia si contano già 155 morti e 270 feriti gravissimi, un bilancio destinato purtroppo a crescere. Tra le vittime, dicono i mezzi d´informazione ufficiale, tante donne e tanti bambini, i cui corpi stanno arrivando a brandelli negli ospedali; secondo le fonti sanitarie di Gaza occorrerà trasferire i feriti più gravi in Egitto e non c´è un sufficiente numero di elicotteri per trasportarli.

I morti e i feriti di Gaza sono l´ennesima testimonianza della pulizia etnica che lo Stato israeliano da 60 anni sta portando avanti attraverso una guerra di occupazione, di apartheid, di violenza militare sull´intera popolazione palestinese. Il pretesto dell´attacco "difensivo" dai missili qassam, che il primo ministro Olmert si è affrettato a propinare questa mattina ai ministri degli esteri di tutto il mondo, vuole distogliere l´attenzione dell´opinione pubblica mondiale dal fatto che a Gaza un milione e mezzo di persone sta rischiando la morte da quasi due anni di embargo, che ogni giorno produce vittime.

Complici del terrorismo di Stato israeliano, l´appoggio militare statunitense e il silenzio dei governi europei, che lasciano che in Medio Oriente prosegua a compiersi indisturbato il tentativo di cancellare la Palestina dalle cartine geografiche, e con essa il suo popolo. E´ ormai evidente come alla condanna da parte della comunità internazionale dei crimini del nazifascismo non si accompagni ugualmente la condanna della storia e dell´attualità del progetto aberrante di cancellare il popolo palestinese.

NON C´E´ TEMPO DA PERDERE!!! FERMATE IL MASSACRO DI GAZA!!!

CLICCA QUI per leggere l'appello direttamente sul sito
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E' aggressione genocida, ma i giornali la chiamano offensiva



di Giulietto Chiesa – Megachip

Il Golia israeliano ha dimostrato ancor una volta come intende trattare il Davide palestinese: massacrandolo. Bilancio dell'aggressione: oltre 400 morti tra la popolazione civile, oltre mille feriti. Caccia e missili contro kalashnikov. Raffinatezze tecnologiche contro povera gente inerme. Adesso si sentirà il solito coro: ma Hamas tirava i razzi su Israele. Probabile, anzi vero. Bilancio dei razzi palestinesi: un morto. Si dirà che la contabilità dei morti è cosa miserabile. Ma andatelo a spiegare alle mamme che hanno perso i loro figli nel bombardamento del Golia aggressore. Andatelo a spiegare ai palestinesi che si sono visti portare vie le loro terre e che adesso non possono neanche più vederle perchè sono dietro a un muro. Ma, per noi europei, civilizzati e (ancora per poco) vincitori, esiste solo un muro, quello di Berlino, da ricordare fino alla nausea. Si dirà che Hamas è organizzazione terrorista. Ma aveva vinto le elezioni. Bisogna spiegarselo. Si dirà - per spiegarselo - che i palestinesi sono cattivi e antidemocratici, mentre gli israeliani sono buoni e democratici. Cioè si fara del razzismo. Dello sporco, intollerabile razzismo.

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Un'aggressione premeditata

di Gilbert Achcar*

Il micidiale assalto compiuto da Israele contro Gaza era talmente premeditato da esser stato annunciato in anticipo ieri mattina su diversi quotidiani arabi. L'informazione più precisa è stata fornita dal giornale nazionalista palestinese e arabo al-Quds al-Arabi (Gerusalemme araba), pubblicato a Londra. Scrivendo a partire da Ramallah, in Cisgiordania, Walid Awad, corrispondente del quotidiano a Ramallah, in Cisgiordania, riferiva di aver appreso «da un'attendibile fonte diplomatica araba che il generale Omar Suleiman, capo dei servizi segreti egiziani, ha informato certe capitali arabe che Israele avrebbe lanciato un'offensiva limitata contro la Striscia di Gaza». Un'offensiva per far pressione sul movimento Hamas e obbligarlo a accettare una tregua senza condizioni. La fonte ha aggiunto che il generale Suleiman ha insistito presso la ministra israeliana degli affari esteri, Tzipi Livni, sulla necessità di non provocare vittime fra i civili durante l'operazione militare per evitare che foto di innocenti non vengano utilizzate per eccitare la piazza araba».

Questo scenario allestito in anticipo è stato messo in atto il giorno stesso della comparsa dell'articolo: accampando il solito pretesto - i lanci di razzi a partire da Gaza, che sono essi stessi tiri di rappresaglia, e così via - l'aviazione israeliana ha ferocemente attaccato Gaza, concentrando il fuoco sulle forze di sicurezza interne dirette dal governo di Hamas, conformemente alla domanda del capo dei servizi segreti egiziani, più desideroso di attenuare la reazione dell'opinione pubblica nel suo paese che di salvare vite umane palestinesi.

La collusione con Israele da parte degli «Arabi dell'America», come li chiama «la piazza araba», cioè le monarchie petrolifere del Golfo, la monarchia giordana e l'Egitto, è così venuta alla luce.

Il generale egiziano mette a punto insieme a Tzipi Livni lo scenario della carneficina offerto da Israele ai palestinesi in questo periodo di feste e di regali, mentre a Washington si fa il bilancio dei doni offerti dalle monarchie arabe al suo omologo americano, Condoleezza Rice: gioielli per diverse centinaia di milioni di dollari, fra cui una collana del costo stimato a 170.000 dollari, una parure di rubini e diamanti di 165.000 dollari da parte del re saudita Abdallah e una parure di smeraldi e diamanti del costo stimato a 147.000 dollari da parte del re giordano Abdallah II (Associated Press, 22 décembre). Dei regali tanto più stravaganti - scandalosi per le popolazioni dei paesi in questione - in quanto quei sovrani sapevano bene che Condoleezza Rice avrebbe potuto sfoggiarli solo durante il suo mandato di segretaria di Stato e che, conformemente alla legge americana, sono proprietà pubblica, e verranno riposti in un deposito del governo alla fine del mandato dell'amministrazione uscente.












Se gli «Arabi dell'America» si comportano in maniera così poco discreta nelle loro servili effusioni verso Washington mentre l'amministrazione Bush è la più odiata della storia dalla «piazza araba» - le popolazioni arabe non sognano altro che offrire un solo tipo di regalo a George Bush e ai membri della sua squadra aborrita: scarpe in faccia, seguendo l'esempio del giornalista iracheno Muntazar al-Zeidi diventato eroe nazionale di tutte le popolazioni arabe - si può immaginare in che modo si comporteranno dopo l'investitura di Barack Hussein Obama: senza ritegno alcuno, con molta probabilità.

Il cambiamento d'amministrazione a Washington, benché non faccia presagire un cambiamento sostanziale della politica statunitense in Medioriente, a giudicare dalla composizione della nuova squadra, porterà sicuramente una ripulitura di facciata: un passaggio dall'imperialismo dal volto orrendo e islamofobo all'imperialismo dal volto umano, nero e islamofilo. È il senso del gran discorso che Obama ha previsto di pronunciare, in direzione del mondo musulmano, dopo essere entrato in carica. L'America, i cui interessi in Medioriente sono stati messi in pericolo dalla goffaggine dell'amministrazione Bush, ha bisogno di ridorare il suo blasone presso i musulmani, per rafforzare il suo dominio militare attraverso una egemonia politica. È una delle ragioni principali per le quali il grande capitale americano ha sostenuto Obama, mentre gli elettori e le elettrici si mobilitavano per lui per tutt'altre ragioni.

Il timing dell'operazione israeliana è stato scelto tenendo conto di queste considerazioni: bisognava colpire duro Gaza prima dell'investitura di Obama, per non compromettere immediatamente la sua operazione di relazioni pubbliche. Il successo di questo attacco dovrebbe rendere più agevoli in futuro simili brutali aggressioni contro un nemico che sarà tanto più facile da demonizzare quanto il presidente americano sarà angelicato.

* Analista politico, autore di Scontro tra barbarie e La guerra dei 33 giorni (edizioni Alegre)

Pubblicato su il Manifesto del 28 dicembre 2008

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Incriminate Barak, Livni e Olmert di crimini di guerra![*]






di Michel Warschawski

Lo Stato di Israele deve essere sospeso dalle istituzioni internazionali fino a quando Gaza sarà sotto assedio e l’aviazione e l’artiglieria israeliana continueranno a massacrare la sua popolazione!

140 morti dopo la prima ora dell’attacco criminale israeliano contro la popolazione civile Gaza[†]. «Non è che l’inizio» hanno affermato gli alti responsabili israeliani, ripromettendosi di continuare i bombardamenti della città più popolata per metro quadrato del mondo!



Eravamo una dozzina di militanti palestinesi e israeliani nella sede dell’AIC a Beit Sahour (Cisgiordania), per discutere della crisi dei partiti laici palestinesi quando abbiamo appreso le notizie. Dopo qualche minuto di vero e proprio shock, siamo partiti verso i nostri compiti in una simile situazione di emergenza: Ahmad J. ha contattato i suoi amici di Gaza per avere le ultime novità, Connie e John sono andati nell’ufficio di Gerusalemme per lanciare un appello all’azione al movimento sociale internazionale, Sergio e Guila hanno contattato i mass media internazionali, Ahmad A. è andato a una riunione urgente dei movimenti popolari della zona di Betlemme, Nassar ha convocato le fazioni palestinesi per una riunione d’emergenza; tornando a Gerusalemme, io ho contattato le forze progressiste per organizzare per questa sera una protesta comune delle forze israeliane progressiste davanti alla casa del primo ministro, ma la Coalizione delle Donne per la pace aveva già preso l’iniziativa: ci si ritroverà a Tel Aviv alle 18.00.

Dopo aver organizzato il trasporto dei potenziali manifestanti da Gerusalemme, mi restano due ore prima di partire per Tel Aviv. Le impiego per chiedervi, amici e compagni del movimento sociale internazionale di solidarietà con il popolo palestinese, di reagire immediatamente contro questo nuovo crimine di guerra commesso dal mio governo e dal mio esercito: più che mai il popolo palestinese ha bisogno della vostra mobilitazione, della vostra solidarietà e dei vostri sforzi. Più che mai dovete fare pressione sui vostri governi per imporre sanzioni a Israele e perché sia chiaro che uno Stato che vìola le regole più elementari della legge internazionale deve essere escluso dalla comunità delle nazioni civili.

I dirigenti politici e militari israeliani devono essere trascinati in giudizio in un tribunale internazionale per crimini di guerra! Seguiamo l’esempio dei nostri compagni britannici e diciamo chiaramente che ovunque vogliano andare: Barak, Ashkenazi, Olmert o Livni saranno accolti da un’accusa per i crimini di guerra che hanno commesso nei territori palestinesi occupati!

No all’impunità per i criminali di guerra israeliani!



Michel Warschawski,
Alternative Information Center, Beit Sahour/Gerusalemme

27 dicembre 2008

[*] Tradotto dal francese e tratto dal sito internet dell’AFPS

[†] Ad ora i morti hanno raggiunto il numero di 400.

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Rapporto del Segretario generale ONU sulla situazione in Palestina


L'Assemblea generale dell'ONU ha esaminato il 24 e 25 novembre 2008 il rapporto del Segretario generale sulla situazione in Palestina.

Il Presidente dell'Assemblea, Miguel d'Escoto Brockmann (Nicaragua), ha fatto di questo dibattito una questione di principio. Aprendo la seduta, ha dichiarato: « Io invito la comunità internazionale ad alzare la sua voce contro la punizione collettiva della popolazione di Gaza, una politica che non possiamo tollerare. Noi esigiamo la fine delle violazioni di massa dei Diritti dell'uomo e facciamo appello ad Israele, la Potenza occupante, affinché lasci entrare immediatamente gli aiuti umanitari nella Striscia di Gaza. Questa mattina ho parlato dell'apartheid e di come il comportamento della polizia israeliana nei Territori palestinesi occupati sembri così simile a quello dell'apartheid, ad un'epoca passata, un continente più lontano. Io credo che sia importante che noi, all'ONU, impieghiamo questo termine. Non dobbiamo avere paura di chiamare le cose con il loro nome. Dopotutto, sono le Nazioni Unite che hanno elaborato la Convenzione internazionale contro il crimine dell'apartheid, esplicitando al mondo intero che tali pratiche di discriminazione istituzionale devono essere bandite ogni volta che siano praticate.
Abbiamo ascoltato oggi un rappresentante della società civile sudafricana. Sappiamo che in tutto il mondo organizzazioni della società civile lavorano per difendere i diritti dei Palestinesi e tentano di proteggere la popolazione palestinese che noi, Nazioni Unite, non siamo riusciti a proteggere. Più di 20 anni fa noi, le Nazioni Unite, abbiamo raccolto il testimone della società civile quando abbiamo convenuto che le sanzioni erano necessarie per esercitare una pressione non violenta sul Sud Africa. Oggi, forse, noi, le Nazioni Unite, dobbiamo considerare di seguire l'esempio di una nuova generazione della società civile che fa appello per una analoga campagna di boicottaggio, di disinvestimento e di sanzioni per fare pressione su Israele. Ho assistito a numerose riunioni sui Diritti del popolo palestinese. Sono stupefatto che si continui ad insistere sulla pazienza mentre i nostri fratelli e le nostre sorelle palestinesi sono crocifissi. La pazienza è una virtù nella quale io credo. Ma non c'è alcuna virtù nell'essere pazienti con la sofferenza degli altri. Noi dobbiamo agire con tutto il nostro cuore per mettere fine alle sofferenze del popolo palestinese (.) Tengo ugualmente a ricordare ai miei fratelli e sorelle israeliani che, anche se hanno lo scudo protettore degli Stati Uniti al Consiglio di Sicurezza, nessun atto di intimidazione cambierà la Risoluzione 181, adottata 61 anni fa, che invita alla creazione di due Stati. Vergognosamente, oggi non c'è uno Stato palestinese che noi possiamo celebrare e questa prospettiva appare più lontana che mai. Qualunque siano le spiegazioni, questo fatto centrale porta derisione all'ONU e nuoce gravemente alla sua immagine ed al suo prestigio. Come possiamo continuare così?».

L'ambasciatore Miguel d'Escoto Brockmann è un sacerdote cattolico, teologo della liberazione e membro del Comitato politico del Fronte Sandinista di Liberazione Nazionale (FSLN). Personalità morale riconosciuta, è stato eletto per acclamazione, il 4 giugno 2008, Presidente dell'Assemblea Generale dell'Organizzazione delle Nazioni Unite.

L'Anti-Defamation League (ADL) è stata la prima organizzazione sionista a reagire, chiedendo al Segretario Generale dell'ONU, Ban Ki Moon, di mettere fine a questo « circo » così come alla « cosiddetta giornata di solidarietà con il popolo palestinese ». Infine, ha denunciato il carattere a suo dire « antisemita » delle proposte del Presidente Miguel d'Escoto Brockmann che essa ritiene ispirate da un secolare antigiudaismo cattolico.


altri link
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infopal

domenica 7 dicembre 2008

L’Italia per Africom



da nigrizia.it 04/12/2008
Luciano Bertozzi


Lanciato nell'ottobre 2007, è operativo dal 1 ottobre 2008

Le basi statunitensi di Vicenza e Napoli saranno sede di Africom, anche se il comando generale resta a Stoccarda. Italia sempre più allineata con Washington. Nessun paese africano ha accettato di ospitare il comando, accusato di voler controllare le risorse africane.


Napoli e Vicenza saranno due delle quattro basi che ospiteranno Africom, il comando militare USA che ha giurisdizione sull’Africa. Lo ha affermato il Ministro degli esteri Frattini nel corso di una conferenza stampa con l’ambasciatore statunitense, Spogli. Il nostro paese diverrà quindi una pedina sempre più importante per gli scenari strategici statunitensi.

Nella città partenopea vi sarà il comando navale, a Vicenza quello delle forze di terra. Secondo il Ministro le due componenti di Africom “operano nel quadro della NATO”, affermazioni poco credibili: il comando americano è una struttura interamente del Pentagono. Secondo quanto spiegato da Frattini, pur operando all'interno delle basi statunitense "la componente civile della missione Africom" (non si tratterebbe quindi di militari) lavorerà nel settore NATO.
Africom, la nuova struttura militare nordamericana creata a fine 2007, attualmente ha il quartiere generale a Stoccarda, in Germania: Bush non è riuscito a convincere nessun paese africano ad ospitare le basi. Gli ultimi rifiuti sono arrivati da Libia, Sudafrica e Nigeria, che temono di vedere i paesi del continente coinvolti in terreno di battaglia nella lotta al terrorismo.

Per molti inoltre la creazione di Africom è dovuta al crescente peso del petrolio africano che copre ormai circa un quarto del fabbisogno di Washington, con la prevalenza dei paesi che si affacciano sul golfo di Guinea (Nigeria fra tutti). Il rinnovato interesse di Washington per l’Africa è dovuto anche alla volontà di controllo delle altre risorse naturali che il continente possiede (finora sfruttate solo in parte) e per contrastare la Cina, che sta soppiantando le vecchie potenze coloniali e gli Stati Uniti stessi.


Gli obiettivi dichiarati dal Pentagono

Africom è divenuto operativo dal primo ottobre scorso, la sua area di attività copre tutto il continente ad eccezione dell’Egitto. Il suo compito principale consiste nel “promuovere la stabilità e la sicurezza sul continente, ed aiutare gli eserciti africani a fronteggiare le calamità naturali. Secondo il Pentagono l’obiettivo finale è la promozione di una buona Governance: Africom aiuterà le autorità civili africane nella lotta alla povertà. L’ambasciatore Spogli ha comunque affermato che”gli obiettivi di Africom vertono su prevenzione dei conflitti, promozione della crescita economica controllo dei flussi migratori e prevenzione del terrorismo”. Quest’ultimo è un aspetto preoccupante, viste le violazioni delle libertà fondamentali compiute da Washington in virtù di tale lotta : da Guantanamo alle extraordinary rendition (i sequestri di presunti terroristi inviati in Paesi terzi spesso mediorientali), alla pratica del waterboarding (considerata una tortura) durante gli interrogatori. Le operazioni militari statunitensi in Africa alcune segrete e le esercitazioni sono su base unilaterale e non su base NATO.
Il Congresso di Washington ha stanziato 266 milioni di dollari, 123 milioni in meno di quanto richiesto da Bush. Tale riduzione è stata motivata dalla mancanza di una presenza effettiva in Africa.


AFRICOM Commander General William E. Ward

Il ruolo dell’Italia

Il nostro paese sarà sempre più la punta di lancia del formidabile strumento bellico di Washington, grazie alla sua posizione strategica rispetto all’Africa. L’uso della contestatissima base di Vicenza non tiene conto dell’orientamento della popolazione locale, che, in prevalenza, non vuole una presenza muscolare così ingombrante. Difficilmente le due basi saranno utilizzate per rafforzare i diritti umani e le libertà fondamentali, ma di sicuro aumenteranno l’esposizione italiana nella guerra al terrorismo. Roma si allinea alla politica di Washington, senza tutelare i propri interessi: la decisione di ospitare Africom rischia di creare problemi nei rapporti politici ed economici fra il nostro paese e quelli africani, proprio mentre l’Italia ha ridotto al lumicino i fondi della cooperazione allo sviluppo ed è fra gli ultimi contribuenti alle spese per realizzare gli Obiettivi del Millennio.
Il messaggio del governo Berlusconi è quello di ribadire che la sicurezza è data dalla militarizzazione, e non dal garantire dignità umana alle persone. E’ da sottolineare che una scelta così importante non è stata sottoposta ad alcun vaglio parlamentare ed al Consiglio dei Ministri.

L’esclusione dal Parlamento dei partiti di sinistra ha eliminato la lotta alla militarizzazione della nostra politica estera dall’agenda politica. Del resto, come si è visto nelle Camere in occasione dell’iter della legge di bilancio, entrambi gli schieramenti hanno stigmatizzato la politica di tagli, seppure assai limitati, operata alle spese militari.
Popolo delle Libertà e Partito Democratico schierano ex generali e ribadiscono in ogni occasione la necessità di aumentare la spesa per le forze armate. La crisi economica, invece, dovrebbe dare impulso proprio alla ridiscussione dello strumento militare italiano. La riduzione degli stanziamenti per la difesa e soprattutto per nuovi armamenti potrebbe garantire le risorse per tutelare le famiglie in crisi, per erogare sussidi di disoccupazione di livello europeo. Appare quindi difficile che le Camere contrastino la decisione di Frattini.

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AFRICOM: ALTRI MILLE MILITARI USA IN ITALIA
da disarmiamoli.org
Con Africom giungono in Italia altri 1.000 militari USA

E il Pentagono sbugiarda Franco Frattini. Due giorni fa il ministro degli esteri italiano aveva annunciato la concessione agli Stati Uniti dell’utilizzo delle basi di Napoli e Vicenza per l’installazione di due nuovi comandi per le operazioni nel continente africano (Africom), “senza che ciò comporterà l’aumento su base permanente delle truppe Usa in Italia”. Le forze armate statunitensi fanno invece sapere che l’istituzione dei due quartieri generali è già attiva con l’assegnazione a Napoli e Vicenza di 750 militari, a cui se ne affiancheranno presto degli altri.

Intervistato dal quotidiano delle forze armate Usa “Stars and Stripes”, il colonnello Marcus de Oliveira, portavoce del comando dell’esercito statunitense SETAF (Southern European Task Force) con base a Vicenza, ha dichiarato che il personale di stanza nella città veneta “potrebbe aumentare di circa 50 unità, portando così il numero del personale militare operante a 300”.

A Napoli, invece, la Naval Forces Europe è stata ampliata per includere la componente navale di Africom che ha preso il nome di “NAVEUR NAVAF”. “Con uno staff di circa 500 uomini – scrive Stars and Stripes - questo comando potrebbe crescere entro i prossimi due anni di circa 140 unità”. Le finalità del nuovo quartier generale delle forze navali per l’Africa sono state sintetizzate dall’ammiraglio Mark Fitzgerald, comandante di NAVEUR NAVAF. “Focalizzeremo i nostri interventi in Africa costruendo la cooperazione regionale per la sicurezza nel continente”, ha dichiarato Fitzgerald. “Il modello a cui guardiamo è quello che vede attualmente gli stati della regione del Golfo di Guinea operare congiuntamente contro il traffico di droga, l’immigrazione illegale e il traffico di essere umani. La lotta alla pirateria continuerà ad essere un punto centrale per la Us Navy e per Africom”.

Con l’istituzione di NAVEUR NAVAF a Napoli, l’Africa Partnership Station (APS), la forza multinazionale che la Marina degli Stati Uniti ha promosso con i paesi dell’Africa occidentale e centrale, passa sotto il controllo del comando di Napoli. Buona parte delle operazioni di rifornimento munizioni, carburante e materiali logistici delle unità impegnate in esercitazioni in ambito APS continueranno però ad essere coordinate dal “Fleet and Industrial Supply Center” (FISC), il centro logistico delle forze navali degli Stati Uniti istituito a Sigonella il 3 marzo 2005. Nella base siciliana è pure presente uno dei reparti di punta della nuova strategia di penetrazione militare nel continente africano, la “Joint Task Force JTF Aztec Silence”, una forza speciale dotata di aerei P-3c Orion per la conduzione di missioni d’intelligence, sorveglianza terrestre, aerea e navale in Africa settentrionale, occidentale e nel Corno d’Africa.

Oltre al Comando terrestre di Vicenza e a quello navale di Napoli, Africom ha attivato un quartier generale delle forze aeree a Ramstein (AFAFRICA) e un comando delle forze del Corpo dei Marines a Boeblingen (MARFORAF). Sempre in Germania, a Stoccarda, ha sede il quartier generale di Africom, destinato però ad essere trasferito nel Sud Europa. A contendersi Africom la base navale Usa di Rota-Cadice in Spagna e ancora una volta la Naval Station di Napoli-Capodichino.

Antonio Mazzeo


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Si chiama AfriCom la nuova servitù militare


Martedì - nello stesso giorno in cui è arrivato a Roma il generale David Petraeus, capo del Comando centrale che conduce la guerra in Afghanistan - è giunto a Vicenza il gen. William Ward, capo dell'appena costituito Comando Africa (AfriCom), per presenziare, alla caserma Ederle, alla «cerimonia di trasformazione» della Forza tattica statunitense nel Sud Europa (Setaf). Essa diviene la prima componente dello U.S. Army Africa (Esercito Usa per l'Africa), dipendente dall'AfriCom. Opererà quindi da Vicenza un nuovo comando militare, denominato «Setaf/U.S. Army Africa», il cui compito sarà quello di pianificare e condurre le operazioni in Africa, ma che resterà disponibile anche per quelle Nato.
La Squadra di combattimento 173a brigata aviotrasportata, di stanza a Vicenza, resterà sotto il Comando europeo degli Stati uniti. La dislocazione a Vicenza del comando delle forze terrestri AfriCom comporta un potenziamento della presenza militare statunitense. Il nuovo comando certamente userà, per le operazioni in Africa, la 173a brigata aviotrasportata. Poiché essa è una «unità modulare», formata da sei battaglioni, potrà incorporare altri reparti per tali operazioni. Crescerà quindi la necessità di raddoppiare la base Usa di Vicenza, da cui oggi partono truppe per l'Afghanistan e l'Iraq. Aumenterà di conseguenza la militarizzazione del territorio.
Lo stesso avverrà a Napoli, dove viene dislocato il comando delle forze navali AfriCom. Poiché le navi da guerra usate per le operazioni in Africa vengono fornite dal comando delle forze navali Usa in Europa, il cui quartier generale è a Napoli, ciò comporta un potenziamento anche di questo comando. Lo dimostra il fatto che l'ammiraglio Mark Fitzgerald ? comandante delle forze navali Usa in Europa e, allo stesso tempo, comandante della forza congiunta alleata ? è stato nominato anche comandante della componente navale dell'AfriCom. Ciò provocherà una ulteriore militarizzazione del territorio.
Contrariamente a quanto affermato dal ministro degli esteri Franco Frattini, il col. Marcus De Oliveira, capo del personale Setaf, ha comunicato che la presenza dei due nuovi comandi comporterà aumenti di personale militare: quello Setaf di Vicenza salirà a circa 300, mentre quello delle forze navali a Napoli, già «allargato per includere la componente AfriCom», sarà portato a circa 650 unità. Il ruolo dei due nuovi comandi però deve essere valutato non tanto in base al numero di «addetti», ma alla consistenza delle forze che essi possono mobilitare.
È inoltre prevedibile che l'appena costituito Corpo dei marines per l'Africa, il cui comando è attualmente a Boeblingen in Germania, opererà da Napoli. Anche la 17a forza aerea, messa a disposizione dell'AfriCom, opererà non dalla base tedesca di Ramstein, ma soprattutto da Aviano, Sigonella e altre basi in Italia. Supporteranno l'AfriCom anche la base di Camp Darby, che fornirà i materiali per le operazioni, e quella di Sigonella, da cui già opera una forza speciale per missioni segrete in Africa. Le unità AfriCom, durante le missioni, saranno collegate ai comandi tramite la rete di comunicazioni e intelligence di Sigonella, che verrà potenziata con l'installazione a Niscemi di una stazione terrestre del Muos, il sistema di telecomunicazioni di nuova generazione.
La dislocazione in Italia dei due comandi AfriCom comporterà quindi una ulteriore militarizzazione del nostro territorio, non solo nelle zone in cui si trovano. Mentre il ministro Frattini, con tono tranquillizzante, assicura che «non ci saranno truppe da combattimento, ma componenti civili».

Manlio Dinucci
11 Dicembre 2008

NUOVO PRESIDENTE USA E SCENARI DI GUERRA PROSSIMI VENTURI


Che cosa cambierà con Barack Obama?

Di Manlio Dinucci





da DISARMIAMOLI.ORG
Una versione ridotta dell'articolo è stata pubblicata da Il Manifesto dell'11 novembre

«Appena sarò presidente, affronterò la crisi di petto prendendo tutte le misure necessarie per alleggerire la crisi del credito, aiutare le famiglie che lavorano duro, e restituire crescita e prosperità»: così, nella sua prima conferenza stampa, Barack Obama ha ribadito il concetto che, nella campagna elettorale, gli ha guadagnato il favore di «madri e padri che non riescono a dormire perché si chiedono se riusciranno a pagare il mutuo». Negli Stati uniti, ha detto nel discorso della vittoria, «non ci può essere una Wall Street che prospera mentre Main Street (l’uomo della strada) soffre».
Ma che cosa ha generato la crisi? Proprio il tentativo di far vivere «Main Street» al di sopra delle possibilità offerte dall’economia statunitense, incrementando i consumi delle famiglie mentre si riduceva il loro reddito reale. Ciò è stato fatto dando loro ampio accesso al credito. Le banche hanno concesso prestiti e mutui non solo a famiglie il cui reddito calava in assenza di aumenti salariali, ma perfino ai clienti ninjia (no income, no job and assets), ossia a persone sprovviste di reddito, lavoro e patrimonio. I mutui, soprattutto quelli subprime il cui rimborso era in forse, sono stati ceduti dalle banche a società terze, che hanno a loro volta emesso titoli il cui valore era garantito dal rimborso dei mutui. Questi titoli fasulli, inseriti tra quelli validi nelle cosiddette «salsicce finanziarie» garantite dalle agenzie di rating, sono stati venduti in tutto il mondo a investitori sia istituzionali che privati. L’esplosione di questa bolla speculativa ha portato alla crisi globale, alla cui origine vi è la pretesa degli Stati uniti, l’economia più indebitata del mondo, di vivere a credito facendo pagare il resto del mondo.
All’indebitamento delle famiglie, negli Usa, si aggiunge quello pubblico (10mila miliardi di dollari, oltre i due terzi del pil), alimentato da una spesa militare salita a oltre un quarto del bilancio federale. Per le guerre in Iraq e Afghanistan gli Usa hanno speso finora quasi 900 miliardi di dollari. «Missione compiuta», aveva annunciato trionfante il presidente Bush dopo aver invaso l’Iraq nel 2003, ma la resistenza irachena ha inceppato il meccanismo che avrebbe dovuto pompare nell’economia statunitense petrolio a basso costo, compensando il crescente indebitamento. Il debito complessivo statunitense ha così superato i 50mila miliardi di dollari. Per ridurre il debito, gli Usa dovrebbero ridimensionare drasticamente il livello dei loro consumi, a partire da quelli energetici (con una popolazione pari al 5% di quella mondiale, consumano il 25% del petrolio mondiale). Dovrebbero tagliare fortemente la spesa militare, rinunciando alla pretesa di dominare il mondo (alleati compresi) con la forza delle armi.
Ma è questa la via che il nuovo presidente intende seguire? Nel discorso della vittoria afferma che «la vera forza della nostra nazione proviene non dalla forza delle nostre armi, ma dai nostri ideali». Però subito dopo avverte: «Sconfiggeremo coloro che vogliono fare a pezzi il mondo». Annuncia quindi che gli Usa proseguiranno la «guerra globale al terrore». E quando ricorda «i coraggiosi americani che rischiano la loro vita per noi nei deserti dell’Iraq e sulle montagne dell’Afghanistan», indica che non intende rinunciare allo strumento della guerra per controllare zone di interesse strategico per gli Stati uniti. Quando afferma che «è a portata di mano una nuova alba della leadership americana», ribadisce il concetto di un ordine mondiale incentrato sulla leadership statunitense, all'interno del quale ogni paese deve avere un ruolo funzionale agli interessi statunitensi. Da qui la giustificazione dell'impiego delle forze armate statunitensi ovunque nel mondo sorgano fattori di instabilità, che possano mettere in pericolo la stabilità funzionale agli interessi e alla leadership globale degli Stati Uniti d'America.
Il «multilateralismo» che dovrebbe caratterizzare la politica estera dell’amministrazione Obama è stato già avviato da quella Bush. Essa ha invitato il Gruppo dei 20 (di cui fanno parte, oltre ai paesi del G7 e alla Russia, Cina, India, Arabia saudita, Messico e la Ue) a un vertice che si svolgerà il 15 novembre a Washington.














Obama non vi parteciperà, ma incontrerà singolarmente i leader dei paesi del G-20. Scopo principale è far sì che le petromonarchie arabe e la Cina, le cui esportazioni sono dirette in gran parte negli Usa e hanno quindi interesse a sostenerne l’economia, continuino ad acquistare titoli statunitensi. Allo stesso tempo l’amministrazione Bush ha cominciato a lavorare a un piano, che l’amministrazione Obama intende proseguire: diminuire la presenza militare Usa in Iraq, assicurandosi però il controllo del petrolio attraverso alleanze con gruppi di potere, e accrescerla in Afghanistan, coinvolgendo sempre più gli alleati. Così anche l’Italia sarà chiamata a contribuire al «nuovo sogno americano».

mercoledì 29 ottobre 2008

1 Novembre: Giornata NO F-35 (Disoccupiamo le fabbriche di morte)



Tra poco inizieranno a costruire lo stabilimento per assemblare centinaia di cacciabombardieri americani di ultima generazione, gli F35. Forse i lavori cominceranno già nei primi mesi del prossimo anno.

Vogliono costruire questo stabilimento dentro il recinto dell'aeroporto militare di Cameri (installazione di cui ignoriamo il preciso status giuridico).

Nel 2009 questo aeroporto compirà cent'anni: un bell'anniversario, non c'è che dire. Si tratta del principale impianto dell'aeronautica militare dedicato alla logistica ed alla manutenzione di velivoli da guerra. Ma non solo: recentemente è ritornato pienamente operativo, ospitando alcuni Tornado, certo impegnati in operazioni di sostegno alle imprese belliche in corso.

Ed ora, a dieci chilometri scarsi da Novara, vogliono pure far nascere una fabbrica di morte e di devastazione. Con la solita risibile scusa: posti di lavoro e progresso tecnologico.

Ma i posti di lavoro saranno in realtà pochi e maledetti. Ed il progresso tecnologico, ove applicato alle costruzioni militari, non è certo cosa desiderabile, né per la nostra comunità né per il genere umano nel suo complesso.

Per non parlare dell'enormità della spesa prevista: circa un miliardo di dollari solo per costruire lo stabilimento. Soldi prelevati dalle tasche dei contribuenti. Come pure dalle solite tasche verranno prese le somme per acquistare più di cento velivoli, a partire dal 2013, allo scopo di rinnovare il parco cacciabombardieri dell'aeronautica militare italiana. In tutto ci si avvicinerà, molto verosimilmente, alla cifra di venti miliardi di euro.

Tutto ciò mentre si taglia la spesa sociale (per la sola istruzione pubblica un taglio di quasi otto miliardi di euro per i prossimi quattro anni). Tutto ciò mentre il mondo attraversa una gravissima crisi economica.

Ma i nostri governanti non risparmiano molto sulle spese di morte. Solo un minimo di prudenza li fa rinunciare, almeno per il momento, all'acquisto immediato di un prototipo di F35 da utilizzare per prove e collaudi. Una piccola rinuncia dettata dalla tragicità della congiuntura economica, che però non blocca le intenzioni belliciste e di riarmo delle forze militari italiane.

Ma noi continueremo ad opporci con determinazione al progetto di costruzione e di acquisto degli F35: per difendere la nostra terra da devastazioni ed inquinamento, per difendere le nostre coscienze che non si vogliono rendere complici di bombardamenti e di assassinii più o meno tecnologicamente avanzati.

È per questo che ci troveremo a far festa ed a gridare il nostro no alla fabbrica degli F35. Ci ritroveremo proprio nel periodo in cui si incontrano i militaristi, che quest'anno preannunciano sontuosi festeggiamenti a novant'anni dalla “vittoria”, cioè dalla fine di quello schifosissimo macello che è stata la Prima Guerra Mondiale.

Noi ci troveremo a Novara, il primo novembre di questo triste 2008.


Programma:

Alle ore 14.00, in centro città (Piazza Cavour), comincia il presidio comunicativo e di protesta, con:

Il teatro dell'oppresso
Laboratori e trucco per bambini
Giocolieri @ Writers
mostra Luoghi dei Resistenti

Al parco pubblico di corso Trieste angolo via Bovio, nel quartiere di Sant'Agabio, faremo festa con il concerto:

Ore 19.00 - Novara Hip Hop con: TERZO GRADO e GORAMAN
Ore: 21.00 - ASSALTI FRONTALI


Disoccupiamo le fabbriche di morte.

Liberiamo le città e le campagne dalle sconcezze del militarismo.
Assemblea Permanente NO F35

sabato 25 ottobre 2008

Ok Usa, a Sigonella la sorveglianza Nato



ARMI
Ok Usa, a Sigonella la sorveglianza Nato
La Russa in visita a Washington
Manlio Dinucci

Il ministro della difesa Ignazio La Russa è raggiante: torna dalla visita ufficiale negli Stati uniti con due esaltanti risultati. Anzitutto, «il segretario alla difesa Robert Gates ha espresso assoluta disponibilità a scegliere Sigonella per il sistema Ags, e non la base offerta dai tedeschi». Era stato lo stesso La Russa, lo scorso giugno, a proporre a Gates la candidatura di Sigonella come base del nuovo sistema Nato di sorveglianza Ags (Alliance Ground Surveillance).
Che cos'è l'Ags? Si continua a ripetere che è «un sistema per la sorveglianza del territorio degli stati membri della Nato». In realtà, esso servirà a sorvegliare non il territorio dei paesi dell'Alleanza atlantica, ma il «terreno», fornendo importanti informazioni «prima e durante le operazioni Nato» in altri paesi. Si tratta dunque di un sistema finalizzato non alla difesa del territorio dell'Alleanza, ma al potenziamento della sua capacità offensiva «fuori area». Esso sarà «uno strumento chiave per rendere più incisiva la Forza di risposta della Nato (Nrf)», pronta a essere proiettata «per qualsiasi missione in qualsiasi parte del mondo». Ciò sarà reso possibile da vari tipi di piattaforme aeree e stazioni di controllo terrestri, sia fisse che mobili, con cui si potranno «prendere di mira veicoli in movimento».


Verrà così potenziata la funzione di Sigonella quale base della strategia offensiva Usa/Nato. Nella U.S. Naval Air Station Sigonella, in continua espansione, vi è il centro logistico delle forze navali del Comando europeo degli Stati uniti; vi è uno dei due principali siti del sistema Gbs, gestito da tutti i settori delle forze armate Usa; vi è l'unico sistema mobile C4I (Command, Control, Communications, Computers and Intelligence) delle forze armate Usa in Europa. E tra poco, da qui, decolleranno i Global Hawks, gli aerei Usa senza pilota che localizzano gli obiettivi da colpire. Nella «dépendance» di Niscemi, dove già sono in funzione 41 antenne Usa, sarà installata una delle quattro stazioni terrestri del Muos (Mobile User Objective System), il sistema della U.S. Navy che collegherà - con comunicazioni radio, video e trasmissione dati ad altissima frequenza - le forze navali, aeree e terrestri mentre sono in movimento, in qualsiasi parte del mondo si trovino.
Proponendo che sia l'Italia a ospitare il sistema Ags della Nato, La Russa ha posto due «condizioni»: che fosse scelta Sigonella e che il costo fosse «sostenibile». Su questo c'è da dubitare: la Nato stessa lo definisce «uno dei più costosi programmi di acquisizione intrapresi dall'Alleanza», che comporta una spesa di almeno 4 miliardi di euro. Verrà realizzato da un «consorzio transatlantico» di industrie militari, comprendente la Northrop Grumman, General Dynamics, Eads, Thales e Galileo Avionica, che nel 2005 ha ricevuto un primo contratto di 23 milioni di euro. Ulteriori impegni sono stati assunti per conto dell'Italia dal governo Prodi, nel 2006. Ma qui La Russa tira fuori l'altro asso dalla manica: al Pentagono ha firmato un memorandum d'intesa, in base al quale «ciascun governo fornisce all'industria dell'altro paese l'accesso al proprio mercato della difesa». Si prospettano dunque affari d'oro per le industrie militari dei due paesi, già impegnate in programmi congiunti come quello del caccia F-35 dal costo di 300 miliardi di dollari. Essi saranno sostenuti dai rispetti stati, che destineranno altro denaro pubblico alla spesa militare. Così la nostra spesa militare procapite, già al quinto posto nel mondo, salirà ancora. I soldi non mancheranno: basterà fare altri tagli alla scuola e all'università.

il manifesto
24 Ottobre 2008

domenica 19 ottobre 2008

BRINDISI: Base Onu e diritti calpestati



Base ONU di Brindisi: I diritti dei lavoratori? Calpestati!

(Da una notizia del Quotidiano di Brindisi , Lecce e Taranto del 16/10/08)


Recita così il comunicato della UIL di Brindisi inviato agli organi di stampa dopo la denuncia all’ispettorato del lavoro della città per presunte violazioni dei diritti sindacali e delle norme che regolano le contribuzioni previdenziali. L’ONU come ormai da prassi da quando si è installata a Brindisi si è trincerata dietro l’inviolabilità del suo territorio, negando l’accesso agli ispettori del lavoro e a quelli della previdenza sociale.

“ Il comunicato Uil continua dicendo “ Si continua a lavorare in nero nella Base ONU di Brindisi e mentre dai media e l’ONU vengono messe in evidenza il ruolo dell’Organizzazione nelle attività umanitarie,… dall’altro vengono calpestati i diritti dei lavoratori.”


Il commento dell’Osservatorio sui Balcani di Brindisi

E’ una notizia che a noi non stupisce avendo sin dal 1994 espresso forti perplessità sulle modalità e gli accordi con i quali lo Stato italiano espropriava il futuro dell’aeroporto di Brindisi (e di parte dell’economia cittadina) consentendo che gran parte di esso divenisse un grande magazzino ONU senza contropartite reali in fatto di ricadute economiche e permettendo che al buco nero della extraterritorialità dell’allora base USAF di San Vito dei Normanni si aggiungesse quella dell’ONU.

Le cose sono andate purtroppo come quindici anni fa denunciavamo: le promesse occupazionali sono divenute fandonie, le ricadute sulle piccole imprese brindisine una farsa , mentre le attività di manutenzione di aziende come le Officine Aeronavali venivano azzerate e spostate in altre città poichè i capannoni da esse utilizzate erano stati requisiti dall’ONU. Al danno si è infine aggiunta la beffa delle violazioni dei diritti sindacali di quei pochi lavoratori che hanno avuto un lavoro da questa organizzazione “caritatevole”…

Riproponiamo in questa occasione uno stralcio di quanto da noi scritto in un articolo comparso nel 2005 sul mensile Guerre e Pace .

Antonio Camuso

Osservatorio sui Balcani di Brindisi

http://www.pugliantagonista.it/osservatorio.htm
Brindisi 17/10/08





BASE ONU DI BRINDISI:

Il bilancio di dieci anni di presenza di una base caratterizzata da molte anomalie.

La scheda:

Dal 1994 sono presenti presso la Mega Base Logistica ONU di Brindisi due strutture dell’organizzazione delle Nazioni Unite: UNLB e il WFP, ma accanto ad esse sono previste o già in attività altre agenzie o strutture ONU.


Il contenzioso con la città: le attese deluse

Sin dal primo momento il Comitato di informazione sulla Base ONU e sulla base NATO di Brindisi, che si opponeva alle anomalie di questa base, si scontrò con il Partito della Guerra che aveva negli enti locali , tra le lobby a carattere massonico e presente trasversalmente nei partiti una presenza agguerrita e che attraverso le campagne di stampa continuò accanitamente a dare del visionari ed allarmisti i contestatori salvo poi non negare l’evidenza della supermilitarizzazione della città quando ci si ritrovò in piena guerra del Kosovo con i missili schierati a difesa della città e un paio di bombe perse da un aeroplano Nato un po’ nervoso sganciate davanti alla centrale elettrica ENEL di Cerano.

Un Partito della Guerra che, pilotando accuratamente i giornali ventilava nel 1994 centinaia di assunzioni di giovani diplomati presso la Base ONU, ricadute sulle piccole aziende della città nei lavori di manutenzione dei mezzi e materiali provenienti da tutte le parti del mondo. Insomma un bell’affare!

Un Partito della Guerra che dovrà render conto alla città l’aver perso l’occasione con la smilitarizzazione dell’Aeroporto della possibilità di trasformarlo nel più grosso aeroporto del Sud per transito merci, viste la grandezza delle sue piste, la contemporanea presenza del porto e l’esistenza di un grande scalo merci aeroportuale mai utilizzato. Un partito della guerra che dovrà render conto che quella decina o poco più di autisti part-time ( questa è la ricaduta occupazionale ONU) assunti presso la Base, non compenseranno il sequestro ONUdegli Hangar delle Officine Aeronavali , con perdita di commesse importanti sia civili che militari, ed oggi le ricadute economiche ( lavori di piccola manutenzione e piccole commesse) sono ridotti al livello del 1995, una vera esiguità e spesso hanno dato a contenziosi legali ai quali le piccole aziende brindisine sono state costrette a rinunciare dovendo affrontare cause internazionali davanti al tribunale di Ginevra competente. Una vera fregatura!

Un partito trasversale che, con la fine della guerra del Kosovo e la partenza degli americani, invece di chiedere la restituzione alla città delle aeree militari dismesse arrivava nei tempi recenti a richiedere che almeno una squadriglia di cacciabombardieri di stanza ad Aviano fosse trasferita a Brindisi, come contropartita economica alla fedeltà atlantica dimostrata in tante occasioni.

Un Partito della Guerra trasversale capace pensare alla guerra mentre parla anche di pace che ha uomini e donne in entrambi gli schieramenti al suo servizio



Il futuro di Brindisi nel Peace-keeping.

La partenza degli americani da San Vito lasciava questa base ad una riconversione agli usi civili ma un contenzioso tra i gruppi di potere di San Vito dei Normanni ( che soffrivano delle mancate ricadute economiche dei militari USA) e quelli di Brindisi,(più propensi ad un uso civile della Base), portava ad un braccio di ferro sul quale si innestavano accordi trasversali che sfociavano nella richiesta bipartisan con il DDL1649 e la richiesta di istituire un centro di peace-keeping (chiamandolo centro di educazione alla pace) sotto il controllo dell’Esercito . Un centro che vedrebbe la presenza di istruttori militari, universitari ed ONG che dovrebbero formare quegli “operatori della sicurezza mondiale”,…( articolo scritto nel 2004)

Quello stesso partito che ha plaudito in questo inizio 2008 all’accordo tra ONU e Stato italiano di regalare all’ONU, invece di restituirla alla società civile( e ai tantissimi progetti di riconversione compreso quello che chiediamo da anni di farne un museo della Guerra Fredda ), una bella parte della ExBase di san Vito dei Normanni per farne un altro enorme deposito ed anche un centro di addestramento al peacekeeping con corsi di “polizia internazionale”. In cambio l’ONU accetterebbe di non aumentare la sua ingombrante presenza nell’aeroporto di Brindisi ( l’Aeroporto del Grande Salento)in cui ultimamente sono stati spesi tantissimi soldi ma che ormai dopo tanti anni di servitù ONU e moltissimi altri di servitù militari ( solo a fine 2008 si spera che l ‘AM lo lasci e transiti effettivamente civile) non ha speranze di recuperare tutte le occasioni perdute per rilanciare il suo ruolo di motore dell’economia cittadina. ( ndr 2008)

Antonio Camuso osservatoriobrindisi@libero.it

Osservatorio sui Balcani di Brindisi

mercoledì 15 ottobre 2008

Bambini soldato, 250mila con il kalashnikov in mano


Mai più un kalashnikov imbracciato da un bambino: è l'istruzione l'unica 'arma utile' ad assicurare un futuro di speranza a 37 milioni di bambini che ancora non possono andare a scuola a causa delle guerre.

Eppure nel 2007 i Paesi in conflitto e instabili hanno speso 17,8 miliardi di dollari in armi, tre volte quanto necessario per garantire l'istruzione primaria ai bambini che li abitano, mentre i Paesi del G8 -Italia compresa- detengono l'84 per cento delle esportazioni di armi nel mondo.

La denuncia arriva dal rapporto di Save the Children, 'Bambini e armi. L'istruzione per combattere la guerra', pubblicato per il lancio della terza edizione della campagna 'Riscriviamo il futuro', che in due anni ha garantito un'istruzione di qualità a 6 milioni di bambini che vivono in nazioni colpite o reduci da conflitti armati, e punta a raggiungere quota 8 milioni entro il 2010.

“I Paesi del G8 - ha ammonito Save The Children - 'non possono dare aiuti nell'istruzione e impegnarsi solennemente a garantirla a tutti i bambini, in particolare a quelli nei Paesi in conflitto, e allo stesso tempo esportare armi leggere verso quelle stesse nazioni'. E ha aggiunto: 'Se veramente abbiamo a cuore il futuro dei minori afflitti da guerre, comprese le migliaia di bambini-soldato, bisogna non solo incrementare gli investimenti nell'istruzione, ma affrontare il nodo del commercio indiscriminato di armi leggere”.

Secondo il rapporto dell'organizzazione internazionale, ancora oggi almeno 250.000 minori di cui il 40% bambine sono impiegati come soldati, spie, facchini, cuochi, 'mogli' dei combattenti e arruolati in eserciti non governativi in almeno 24 nazioni e territori. Bambini costretti a commettere violenza ma anche a subirla: negli ultimi anni almeno 2 milioni sono stati uccisi dal fuoco delle armi leggere e 6 milioni feriti, resi disabili o traumatizzati perché obbligati ad assistere a episodi di abusi e violenze.

Poi ci sono i 22 milioni di bambini profughi e sfollati a seguito di guerre, e le 8-10.000 piccole vittime che ogni anno muoiono o rimangono mutilate per l'esplosione degli ordigni, in particolare di tipo 'a grappolo', che restano nascosti nel terreno.
http://www.rainews24.rai.it/notizia.asp?newsid=87089

lunedì 13 ottobre 2008

«Accordo segreto Onu-Nato»,Mosca chiede inchiesta su Ban Ki-moon


MOSCA (10 ottobre) - Mosca chiede all'Onu di aprire un'inchiesta sul segretario generale Ban Ki-moon, che il 23 settembre scorso ha firmato un accordo segreto tra Nazioni Unite e Nato. Accordo in base al quale riconoscerebbe l'Alleanza Atlantica «non come un'organizzazione militare
regionale, ma come un sostituto dell'Onu in tutti gli affari legati alla sicurezza internazionale». Il Cremlino ha così incaricato il rappresentante permanente della Russia alla Nato, Dmitri Rogozin, di lanciare la richiesta.



Intervistato dal quotidiano Izvestia, Rogozin ha detto: «L'accordo ha sollevato l'indignazione non solo della delegazione russa, ma anche di altri membri del consiglio di sicurezza dell'Onu che non sono stati tenuti al corrente». Il rappresentante ha poi tuonato contro Ban Ki-moon, il quale ora «rischia di subire una destituzione. Le sue azioni
sono vergognose».

Rogozin sostiene che l'accordo segreto con le Nazioni Unite «riabilita»
la Nato per i suoi bombardamenti in Serbia durante la guerra del Kosovo
e che Ban Ki-moon lo ha firmato perché «l'Onu condivide il fiasco in
corso in Afghanistan», dove la Nato comanda la forza internazionale di
assistenza alla sicurezza (Isaf) sotto il mandato dell'Onu stessa.
http://www.ilmessaggero.it/articolo.php?id=32571&sez=HOME_NELMONDO

sabato 11 ottobre 2008

«Stiamo perdendo l'Afghanistan»


Nel documento riservato un monito per il futuro presidente
Il rapporto degli 007 americani
«Stiamo perdendo l'Afghanistan»
L'allarme dell'intelligence Usa. Anche in Iraq «la guerra può riesplodere»
WASHINGTON — È un doppio messaggio. Rivolto all'attuale inquilino della Casa Bianca e al futuro presidente. L'Iraq «può esplodere di nuovo», l'Afghanistan è «in caduta libera». L'analisi, severa, è contenuta nella bozza della National Intelligence Estimate (Nie), documento riservato redatto da 16 agenzie di spionaggio Usa e che probabilmente — come ha anticipato ieri il New York Times — sarà presentato dopo le presidenziali di novembre. Il giudizio sulla situazione afghana è allarmante. L'influenza talebana è in crescita, gli attacchi aumentano, il governo centrale è debole e la corruzione «rampante» contribuisce a ridurne l'autorità.
Gli 007 riconoscono i progressi raggiunti ma avvertono che sono compromessi dalla sfida dei trafficanti di eroina, spesso collusi con funzionari governativi. Un'accusa che pochi giorni fa ha coinvolto uno dei fratelli del presidente Karzai. Un ex alto dirigente della Cia, Henry Crumpton, sostiene che i guai derivano da una «mancanza di leadership» che va imputata agli Usa e agli alleati Nato, mai risoluti nello stabilizzare l'Afghanistan. Gli 007 sono preoccupati anche per l'Iraq, nonostante Al Qaeda sia stata colpita con durezza. I successi potrebbero essere vanificati da un riesplodere della violenza etnica (sciiti contro sunniti), dalle tensioni arabi-curdi e da ciò che accadrà alle milizie conosciute come i «figli dell'Iraq». Sunniti, una volta membri della ribellione e spesso al fianco dei militanti jihadisti, hanno cambiato barricata. Contrari alle stragi dei qaedisti perché uccidevano soprattutto musulmani, lusingati e «comprati» dagli americani, hanno rivolto i mitra contro i terroristi. Sono stati loro, piuttosto che l'aumento di truppe, a schiacciare i seguaci di Osama.
Ora però devono passare sotto l'autorità del governo (dove gli sciiti hanno il peso maggiore) e non è detto che Bagdad confermi il loro status. Molti analisti temono che i «figli dell'Iraq» possano cambiare di nuovo alleanza confermando gli avvertimenti del generale David Petreaus («situazione fragile e reversibile»). Il Nie sarà letto con attenzione da John McCain e Barak Obama. Un rapporto a doppia lettura per i candidati. Sul-l'Iraq raffredda il bollettino di vittoria sbandierato da McCain, ma conforta la sua posizione contraria a un rapido ritiro sostenuto invece da Obama. Sull'Afghanistan conferma — come sostiene il democratico — che è necessario intervenire con priorità per non perderlo. Una missione forse impossibile con le soli armi. Per questo il Pentagono — parole del segretario della Difesa Gates — non è contrario all'apertura di un negoziato con i talebani (con Al Qaeda no) a patto che accettino la sovranità del governo afghano.
Guido Olimpio
10 ottobre 2008
http://www.corriere.it/esteri/08_ottobre_10/afghanista_usa_rapporto_007_cb97e4c4-9696-11dd-9911-00144f02aabc.shtml

Se la democrazia diventa inutile


di Ilvo Diamanti







(su Repubblica.it del 1 ottobre 2008)


Il Consiglio di Stato ha bocciato il referendum indetto, domenica prossima, a Vicenza dall'amministrazione comunale, per consultare i cittadini sull'uso dell'area dove è prevista la costruzione di una nuova base Usa. Non una consultazione deliberativa, perché si tratta di una scelta che poggia su negoziati internazionali. Ma un modo per permettere alla popolazione di esprimersi su una decisione che è destinata a produrre effetti rilevanti sulla realtà locale: dal punto di vista dell'ambiente, del territorio, della viabilità, della sicurezza.

Il Consiglio di Stato ha stabilito che si tratta di un esercizio "inutile", perché si applica a un obiettivo "irrealizzabile". E ha, per questo, bloccato l'iniziativa, tre giorni prima dello svolgimento. Contraddicendo, così, il pronunciamento del Tar, che, al contrario due settimane fa, aveva considerato legittima la consultazione.
Così, Vicenza diventa un caso esemplare, nella sua specificità. Una città dove lo Stato decide che i cittadini non "devono" pronunciarsi, secondo procedure istituzionali, perché, comunque, è stato già deciso. Peraltro, è difficile che, in questo caso, si levino voci indignate, a livello nazionale. (ad eccezione dei "soliti" esponenti della sinistra radicale). Perché su questa materia l'accordo è bipartisan.
La scelta della nuova base Usa nasce, cinque anni fa, da un accordo informale fra Berlusconi e le autorità americane, approvata dall'amministrazione di Vicenza del tempo e coltivata in gran segreto per anni. Così, a doverla gestire è stato il governo Prodi, che, dopo qualche resistenza e molte perplessità, ha, infine, concesso la base agli Usa, nel gennaio 2007. In nome dei buoni rapporti con l'alleato più influente, a livello internazionale. Dunque, destra, sinistra e centro d'accordo. Senza se e senza ma. Cioè: senza ascoltare i cittadini. Senza neppure preoccuparsi di vedere il luogo, il contesto, le condizioni.
Nessun leader politico del centrodestra e del centrosinistra che sia venuto a Vicenza a confrontarsi, a spiegare le ragioni della scelta. Nessun ministro che, negli ultimi due anni, abbia avuto il coraggio di avvicinarsi alla città, per timore di venire fischiato e contestato. Oggi che i fischi e le contestazioni fanno male all'immagine.
Solo il presidente Napolitano, di recente, si è recato a Vicenza. E ha pronunciato parole prudenti ma, in fondo, sagge, esortando affinché la difesa degli interessi locali avvenga nel rispetto di quelli nazionali. Senza, però, negare il diritto dei cittadini a esprimersi. Mentre il Consiglio di Stato ha decretato che il referendum è inutile. La stessa posizione espressa, in modo aperto, dal ministro La Russa. E dai leader di centrodestra. Dal presidente della Regione, Galan. Senza che, peraltro, si siano levate voci dissonanti dal centrosinistra. Né dal Pd né dall'Idv di Antonio di Pietro. D'altra parte, lo stesso Berlusconi, nelle scorse settimane, aveva inviato al sindaco di Vicenza una lettera per invitarlo a desistere. Il referendum è inutile: non fatelo. Tutti d'accordo, da sinistra a destra. Da Roma a Venezia.
Qui, però, non si tratta più del merito: la costruzione di una "nuova" base Usa (non dell'allargamento di quella pre-esistente, come erroneamente si dice) alle porte della città. Ma della possibilità dei cittadini di esprimersi attraverso un referendum. (come ritiene giusto oltre il 60% dei vicentini, interpellati in un sondaggio condotto da Demetra la settimana scorsa).

Il Consiglio di Stato (come le principali forze politiche nazionali) ha negato questa possibilità perché "ha per oggetto un auspicio irrealizzabile... su cui si sono pronunciate sfavorevolmente le autorità competenti". Sostenendo, in questo modo, che l'utilità della democrazia si misura solo a partire dal suo "rendimento" concreto; dall'efficacia dei risultati. (Se così fosse, non si spiegherebbe perché, per quanto faticosamente, regga ancora nel nostro paese).
Come se la democrazia fosse un utensile per realizzare "prodotti" pubblici. Un sistema e un metodo per decidere, come un'impresa qualsiasi (proprio oggi che il mercato non sembra più di moda). Dimenticando che la democrazia ha valore in sé. E' un valore in sé. Le procedure mediante cui si realizza "servono" come fonte di legittimazione perché garantiscono riconoscimento alle istituzioni e consenso alle autorità.
La democrazia "serve" perché istituzionalizza il dissenso sociale, perché sostituisce la mediazione e la partecipazione allo scontro. La democrazia diretta, peraltro, offre un sostegno importante alla democrazia rappresentativa. Nel caso concreto, la prospettiva del referendum ha incanalato i comitati e i movimenti contrari alla base americana dentro alle logiche e alle regole del confronto istituzionale. Ha istituzionalizzato il dissenso. Ha isolato e estromesso le frange più estreme e le tentazioni violente.
Due anni di opposizione, manifestazioni e proteste su un terreno così critico si sono svolte senza incidenti, senza strappi. D'altronde, e non a caso, il movimento "No dal Molin" ha partecipato alle elezioni comunali dello scorso aprile, dove ha eletto una rappresentante. Accettando, così, il gioco della democrazia. Trasferendo il confronto dalla piazza alle sedi istituzionali. Sostituendo - e preferendo - la logica della rappresentanza a quella dello scontro.

Per la stessa ragione, il referendum avrebbe offerto all'amministrazione comunale e, in primo luogo, al sindaco Variati uno strumento per "governare" il malessere e le tensioni sociali. Perché, qualsiasi ne fosse stato l'esito, avrebbe ottenuto una delega a "negoziare". Anche se non vi fosse stato nulla di negoziabile - come accusa il Consiglio di Stato (la cui fiducia nel potere della partecipazione, dunque, della democrazia "sostanziale" appare assai fragile). In quel caso, avrebbe pagato lui, il sindaco, insieme all'amministrazione il prezzo di aver generato aspettative deluse. Ora, invece, la città si ritrova muta. Costretta al silenzio. Perché si è sancito, semplicemente, che, in alcuni casi, in questo caso, nel "suo" caso, la "democrazia è inutile". Che la partecipazione non serve. Che l'ascolto è un vizio. Che è meglio decidere ignorando il dissenso. Dichiarando preventivamente "illegittima" la semplice possibilità di farlo emergere.
Ma la democrazia ha una funzione terapeutica, prima che pratica e strumentale. Serve a curare la frustrazione nei rapporti sociali e politici. A evitare che degeneri.
Quando diventa inutile allora è lecito avere paura.

(fonte: http://www.repubblica.it/2007/02/rubriche/bussole/democrazia-inutile/democrazia-inutile.html)

Omissioni e segreti della stazione MUOS di Niscemi destinata alle guerre stellari USA

di Antonio Mazzeo - Megachip

Le istituzioni siciliane di fronte all'allarme ambientale rappresentato dall'installazione a Niscemi della stazione terrestre del sistema di telecomunicazione satellitare MUOS. I lavori per ospitare i nuovi radar sono però iniziati segretamente il 19 febbraio 2008, senza che l'allora governo di centrosinistra rendesse pubblica la concessione dell'isola per le Guerre Stellari delle forze armate degli Stati Uniti d'America. E la stazione MUOS sorgerà all'interno di un'importante riserva naturale…

Sembra preoccupare perfino la Regione Siciliana l'installazione a Niscemi della stazione di controllo terrestre del Mobile User Objective System MUOS, il sofisticato sistema di comunicazione satellitare ad altissima frequenza (UHF) delle forze armate USA che integrerà comandi, centri d'intelligence, radar, cacciabombardieri, missili da crociera, velivoli senza pilota, ecc.. L'8 ottobre, durante la seduta del Consiglio regionale, l'assessore al turismo e ambiente, Giuseppe Sorbello, ha sollecitato il Consiglio siciliano per la protezione del patrimonio naturale (CRPPN) a fornire “chiarimenti e un supplemento di istruttoria in relazione al progetto MUOS, per l'installazione di un sistema di comunicazione per utenti mobili da allocare nella riserva naturale di Niscemi”. “Data la possibilità di problematiche legate all'elettromagnetismo”, l'assessore Sorbello ha invitato il CRPPN ad “approfondire i pareri già rilasciati da altri enti prima del completamento dell'iter approvativi”. In particolare, il CRPPN dovrà richiedere al Comune di Niscemi (che ha già rilasciato il nulla osta alla valutazione di incidenza), di “esplicitare chiaramente se in sede di rilascio del nulla osta abbia tenuto nella dovuta considerazione la problematica riguardante le emissioni elettromagnetiche previste in progetto”. Nella stessa seduta, il Consiglio regionale ha pure inviato all'Arpa Sicilia (l'Agenzia Regionale Protezione Ambiente), gli elaborati e le relazioni di progetto, “per una istruttoria integrativa in particolare sulle emissioni elettromagnetiche previste e sulle eventuali refluenze che queste possono avere in contrasto con la biocenosi presente”.

Se con la richiesta di approfondimento dell'Assessorato all'ambiente, le associazioni che si battono contro i dilaganti processi di militarizzazione della Sicilia segnano un punto a favore, la seduta del Consiglio regionale ha reso pubblici alcuni elementi inquietanti. Il primo riguarda la decisione d'installare la potente stazione UHF all'interno della Riserva Naturale Orientata “Sughereta” di Niscemi. Istituita nel luglio 1997, essa rappresenta assieme al Bosco di Santo Pietro (Caltagirone), il residuo di quella che un tempo era la più grande sughereta della Sicilia centro-meridionale. La riserva si estende per quasi 3.000 ettari ed ospita una fauna diversificata che annovera gatti selvatici, volpi, ghiri, picchi rossi maggiori ed upupe. Non poco in una delle zone della Sicilia dove impera l'abusivismo edilizio e sorgono alcuni tra i più devastanti complessi petroliferi nazionali.

Le carte in possesso dell'assessorato regionale rivelano inoltre che l'amministrazione comunale di Niscemi era da tempo a conoscenza del progetto MUOS, al punto di averne valutato – non si sa come – la compatibilità ambientale. Ciononostante i cittadini di Niscemi e dei vicini comuni di Gela e Caltagirone non sono mai stati informati dell'esistenza del pericolassimo programma militare, un segreto inespugnabile anche per il Parlamento italiano, mai chiamato a valutarne scopi e impatti geostrategici.

Lavori al via ben otto mesi fa

Mentre però la Regione siciliana chiede ulteriori approfondimenti sulla “futura” stazione MUOS, le autorità militari statunitensi hanno iniziato da tempo a Niscemi i lavori per ospitare tre grandi antenne radar circolari con un diametro di 18,4 metri e due torri radio alte 149 metri, e realizzare una centrale di comando, depositi carburanti e strade di collegamento (valore complessivo superiore ai 43 milioni di dollari). Le prime opere di movimentazione terra e di predisposizione delle piattaforme per l'impianto MUOS hanno infatti preso il via lo scorso 19 febbraio, dopo una breve cerimonia a cui partecipò, tra gli altri, il direttore del Mobile User Obiective Program della Us Navy, Wayne Curls. Secondo quanto riportato in una nota “interna” dell'U.S. Naval Computer and Telecommunication Station Sicily” (NavComtelsta – Ncts, il comando che coordina le attività dell'esistente stazione di telecomunicazione navale di Niscemi), nel corso della sua visita, Wayne Curls ha descritto le enormi potenzialità del sistema MUOS. “Quando il sistema sarà pienamente implementato – ha dichiarato – i sistemi di Guerra avranno la completa capacità di comunicazione per rispondere a tutte le richieste di missione in qualsiasi parte del mondo”. Sempre secondo NavComtelsta, “inizialmente i lavori saranno eseguito dai contractors e la nuova infrastruttura comporterà un piccolo aumento nel sito del personale della Marina Usa. La realizzazione della stazione è prevista entro tre anni. I lanci dei satelliti saranno eseguiti entro il 2010, così il sistema sarà MUOS sarà online nel 2011”.

Lavori a pieno regime, dunque, e dal 19 febbraio 2008, data in cui presidente del consiglio era ancora Prodi e ministro della difesa Parisi. Il governo di centrosinistra aveva concluso la sua effimera legislatura senza rispondere alle interrogazioni di alcuni parlamentari di Rifondazione Comunista e Verdi che avevano chiesto conferma delle indiscrezioni stampa sul piano d'installazione in Sicilia del nuovo sistema satellitare. Più grave ancora l'omissione del comandante dei reparti dell'Aeronautica militare italiana di stanza a Sigonella, Antonio Di Fiore, che nel corso di un'ispezione parlamentare a Sigonella del deputato Cannavò (Prc), il 31 marzo 2008, aveva smentito con fermezza la realizzabilità del MUOS. “Anche volendo – aveva dichiarato Di Fiore – la stazione radar non si potrebbe realizzare a Sigonella perché la gestione non è compatibile col volume di traffico civile gestito dal radar militare esistente nel vicino aeroporto di Catania-Fontanarossa”. L'alto ufficiale ovviamente preferì sorvolare sul fatto che da più di un mese erano stati avviati i lavori MUOS nella vicina Niscemi, località prescelta in sostituzione di Sigonella proprio per ridurre l'interferenza delle onde elettromagnetiche sui sistemi di bordo degli aerei, ma soprattutto per “evitare” che le emissioni potessero avviare la detonazione degli ordigni presenti nella grande stazione aeronavale, come accertato nel 2006 da uno studio delle società statunitensi AGI - Analytical Graphics, Inc., e Maxim Systems.

Di contro nessuno se l'è sentita a valutare i possibili effetti delle onde elettromagnetiche sulle popolazioni che vivono nei pressi dell'installazione di Niscemi. Le ricerche in materia non mancano, anche se sono ancora troppo poche quelle relative all'emissione dei sistemi radar e di telecomunicazione militare. Sufficienti però a delineare scenari estremamente preoccupanti. Fra tutte, spiccano le risultante dell'inchiesta su “Gli effetti associati all'esposizione umana nella Waianae Coast ai campi di radiofrequenza” dell'installazione militare LF (bassa frequenza) di Wahiana, realizzata nel 1999 dagli oncologi statunitensi Maskarinec, Cooper e Swygert per conto del Dipartimento alla Salute dello stato delle Hawaii. La base militare di Wahiana è di proprietà della Marina Usa e può essere considerata come una “sorella” della stazione di Niscemi, anche perché destinata ad ospitare un secondo terminal terrestre del sistema MUOS. Ebbene, lo studio dei ricercatori si è incentrato sulla popolazione infantile della Waianae Coast, evidenziando ben 12 casi di leucemia nel periodo 1979-1990. Sette di questi casi (tutti accaduti negli anni 1982-84), sono stati definiti “inusuali in termini di sesso, età e tipo di leucemia”. I rischi di esposizione sono stati definiti altissimi per i bambini residenti in un raggio di 2,8 miglia intorno ai trasmettitori.

Una selva di antenne ad altissimo costo energetico

Attualmente a Niscemi sono installate una quarantina di antenne di trasmissione HF (alta frequenza) ed una LF. Quest'ultimo impianto trasmette su una frequenza di 39,9-45,5 kHz, contribuendo alle comunicazioni supersegrete delle forze di superficie, sottomarine, aeree e terrestri e dei centri C4I (Command, Control, Computer, Communications and Intelligence) di Stati Uniti ed alleati NATO. A partire dalla fine degli anni '90, le stazione di Niscemi, Aguada (Portorico), Keflavik (Islanda) e Awase (Giappone) sono state dotate del sistema di trasmissione LF “AN/FRT-95”, che ha consentito alle forze armate Usa di accrescere la copertura nelle regioni del Nord Atlantico e del Nord Pacifico. Il trasmettitore AN/FRT-95A opera tra i 24 ed i 160 kHz con una potenza compresa tra i 280 kW e i 500 kW, ma il sistema permette l'estendere in caso di necessità sino ai 2,000 kW.

A seguito della chiusura della stazione di Keflavik, nel dicembre 2006 sono state assegnate a NavComtelsta - Niscemi tutte le funzioni di collegamento in bassa frequenza con i sottomarini strategici operanti nella regione atlantica. L'impianto terrestre MUOS sarà in VHF-UHF (Very High Frequency ed Ultra High Frequency), con frequenze che raggiungeranno valori compresi tra i 244 e i 380 MHz. Le onde radio VHF-UHF attraversano la ionosfera senza venire riflesse e per questo vengono usate per le trasmissioni extraspaziali con i satelliti artificiali. Esse possono anche essere usate per trasmissioni terrestri oltre l'orizzonte utilizzando le irregolarità della troposfera (la parte bassa dell'atmosfera). Queste irregolarità riflettono le onde in tutte le direzioni, consentendo ai segnali UHF di disperdersi su vaste aree geografiche.

Se è ignoto l'impatto su salute dell'uomo e ambiente delle onde elettromagnetiche della stazione di Niscemi, amministratori e cittadini dovrebbero comunque allarmarsi per gli additivi ed altri prodotti nocivi contenuti nelle spropositate quantità di gasolio divorate dagli impianti di telecomunicazione della base. Stando ai dati forniti dal Pentagono, nel solo periodo compreso tra il 2003 e il 2005 il “Sito di Trasmissione” di Niscemi è stato rifornito di 2.100.000 litri di gasolio (tipologia DF2), pari ad un consumo di 700.000 litri l'anno. Di per sé il dato non dice molto se non lo si compara con il consumo di altre infrastrutture militari Usa in Italia, ben differenti per grandezza e funzioni dalla “minuscola” stazione di Niscemi. A Sigonella, ad esempio, nello stesso periodo sono stati consumati 10.400.000 litri di gasolio; 9.100.000 di litri il consumo a Camp Darby (Livorno); 18.000.000 ad Aviano (Pordenone). Che Niscemi sia una stazione del tutto “anomala” dal punto di vista energetico, traspare dalla verifica dei consumi di altre importanti installazioni di telecomunicazione che gli Stati Uniti possiedono in Italia. Il potente impianto di generazione elettrica per i sistemi radar di Napoli-Capodichino, ad esempio, ha richiesto appena 550.000 litri di gasolio DF2. La stazione Usa-Nato dell'isola di Tavolara, in Sardegna, anch'essa utilizzata per le comunicazioni LF con i sottomarini, ha divorato 300.000 litri, quantità sette volte inferiore a quella di Niscemi.
Ma chi controlla la dispersione dei prodotti di combustione nell'atmosfera, nel suolo e nell'acqua dell'onnivoro impianto siciliano?