lunedì 29 dicembre 2008

MASSACRO A GAZA… UNO SGUARDO SULLE GUERRE URBANE FUTURE




Le centinaia di morti e feriti a Gaza City di queste ultime ore(28 dicembre 2008)non sono solo il risultato dell’ennesima dimostrazione di forza dello Stato d’Israele contro Hamas , ma anche l’effetto della sperimentazione su campo delle tecnologie militari d’avanguardia delle industrie israeliane ed occidentali nel campo della guerra in contesti urbanizzati.


L’attacco massiccio, in una delle zone più densamente popolate del pianeta quando avrà termine diverrà oggetto di studio di arte militare per gli strateghi del complesso militar-industriale mondiale.


I morti e i feriti di Gaza e le distruzioni di infrastrutture civili e militari, ben presto diverranno asettiche cifre catalogate in obbiettivi strategici e tattici raggiunti e danni collaterali, come lo sono divenuti quelle di Mogadiscio, Grozny, Fallujha, Bint Jbeil e tante altre stragi.

Li ritroveremo così nei manuali degli eserciti di tutto il mondo nel capitolo:-“ Guerre Urbane future, come affrontarle?”-

Un capitolo che ogni giorno diventa sempre più voluminoso con l’aumentare della crisi del sogno del Nuovo ordine Mondiale in nome della Globalizzazione Capitalistica, un capitolo su quale esperti o sedicenti tali scrivono col sangue di innocenti la ricetta che dovrebbe fermare la rabbia incontenibile dell’umanità futura dinanzi al baratro in cui il Capitale globalizzatore l’ha gettata.











Negli studi sull’operazione”Gaza dicembre 2008” verrà analizzata l’efficacia degli UAV ( gli aerei senza pilota) nell’acquisizione e distruzione dei bersagli , nell’uso di missili guidati da telecamere capaci di funzionare fino all’impatto sui bersagli o guidati da illuminatori laser trasportati da agenti infiltrati israeliani o da mini robot UAV capaci di appollaiarsi su alberi, davanzali o pali telefonici.


Necessariamente all’offensiva aerea seguirà quella terrestre con carri armati e mezzi degni di guerre da fantascienza. Carri che sembrano fortini medioevali, con torrette telecomandate e blindati capaci di resistere non solo agli RPG ma anche ad esplosioni di mine terrestri.

I carri israeliani Achzarit son divenuti i battistrada per le linee guida delle industrie militari mondiali che si stanno adeguando nel produrre le armi per le prossime Guerre Urbane, quelle che si combatteranno negli anni futuri nelle banlieu delle Megalopoli sovrappopolate dell’Impero.

Dopo le lezioni apprese in Iraq , Afghanistan ed in Libano è un proliferare di soluzioni: quelle occidentali propendono a Kit modulari da aggiungere ai carri armati di serie, mentre gli israeliani si sono orientati nel blindato NAMER equipaggiato con il nuovo motore della Continental Motors o dell’azienda tedesca MTU.












Ma in questo campo anche le industrie italiane stanno facendo progressi grazie alla collaborazione con le omologhe israeliane (ed anch’esse riceveranno un utile contributo dal fiume di sangue che sgorga oggi da Gaza) ma che già adesso hanno sfornato i loro prodotti d’avanguardia come le protezioni aggiuntive e le torrette telecomandate montate sulle autoblinde Puma ed inviate in Afghanistan ma anche , primi al mondo, a far rifornire in volo un velivolo non pilotato a getto come lo Sky-X dell’Alenia Aeronautica: un ottimo passo per le guerre robotiche future , quelle in cui le macchine opportunamente programmate decideranno chi è il nemico del giorno e come e quando colpirlo in qualunque ora del giorno e della notte.



ANTONIO CAMUSO

OSSERVATORIO SUI BALCANI DI BRINDISI

osservatoriobrindisi@libero.it

Brindisi 28 dicembre 2008

domenica 28 dicembre 2008

Fermiamo il massacro di Gaza



DOMANI LUNEDI' 29 DICEMBRE ALLE ORE 17,30
PRESIDIO A LECCE

a sostegno dei diritti del popolo palestinese,
per la sospensione immediata dell'intervento armato israeliano
FERMIAMO IL MASSACRO DEL POPOLO PALESTINESE A GAZA.
ESPRIMIAMO LA PIU' FERMA CONDANNA AL GOVERNO ISRAELIANO.
TROVIAMOCI DOMANI TUTTI IN PIAZZETTA DE PACE
(Via Trinchese angolo con Via F.Cavallotti di fronte
alla scuola elementare Cesare Battisti).


invitiamo TUTTI ad ADERIRE E PARTECIPARE

Cobas
Circolo Iqbal Masiq
Comitato Internaz."Dino Frisullo"
SALENTO NOWAR
Sinistra Critica - Lecce



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CONTRO LA PULIZIA ETNICA E IL TERRORISMO DI STATO ISRAELIANO
FERMIAMO IL MASSACRO DI GAZA!

E´ partito sabato mattina l´attacco dell´esercito di occupazione israeliano sulla inerme popolazione civile palestinese già stremata da un lungo embargo che ha reso insufficienti e privi di strumenti adeguati gli ospedali della Striscia di Gaza. A poche ore dai primi raid aerei israeliani sulla Striscia si contano già 155 morti e 270 feriti gravissimi, un bilancio destinato purtroppo a crescere. Tra le vittime, dicono i mezzi d´informazione ufficiale, tante donne e tanti bambini, i cui corpi stanno arrivando a brandelli negli ospedali; secondo le fonti sanitarie di Gaza occorrerà trasferire i feriti più gravi in Egitto e non c´è un sufficiente numero di elicotteri per trasportarli.

I morti e i feriti di Gaza sono l´ennesima testimonianza della pulizia etnica che lo Stato israeliano da 60 anni sta portando avanti attraverso una guerra di occupazione, di apartheid, di violenza militare sull´intera popolazione palestinese. Il pretesto dell´attacco "difensivo" dai missili qassam, che il primo ministro Olmert si è affrettato a propinare questa mattina ai ministri degli esteri di tutto il mondo, vuole distogliere l´attenzione dell´opinione pubblica mondiale dal fatto che a Gaza un milione e mezzo di persone sta rischiando la morte da quasi due anni di embargo, che ogni giorno produce vittime.

Complici del terrorismo di Stato israeliano, l´appoggio militare statunitense e il silenzio dei governi europei, che lasciano che in Medio Oriente prosegua a compiersi indisturbato il tentativo di cancellare la Palestina dalle cartine geografiche, e con essa il suo popolo. E´ ormai evidente come alla condanna da parte della comunità internazionale dei crimini del nazifascismo non si accompagni ugualmente la condanna della storia e dell´attualità del progetto aberrante di cancellare il popolo palestinese.

NON C´E´ TEMPO DA PERDERE!!! FERMATE IL MASSACRO DI GAZA!!!

CLICCA QUI per leggere l'appello direttamente sul sito
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E' aggressione genocida, ma i giornali la chiamano offensiva



di Giulietto Chiesa – Megachip

Il Golia israeliano ha dimostrato ancor una volta come intende trattare il Davide palestinese: massacrandolo. Bilancio dell'aggressione: oltre 400 morti tra la popolazione civile, oltre mille feriti. Caccia e missili contro kalashnikov. Raffinatezze tecnologiche contro povera gente inerme. Adesso si sentirà il solito coro: ma Hamas tirava i razzi su Israele. Probabile, anzi vero. Bilancio dei razzi palestinesi: un morto. Si dirà che la contabilità dei morti è cosa miserabile. Ma andatelo a spiegare alle mamme che hanno perso i loro figli nel bombardamento del Golia aggressore. Andatelo a spiegare ai palestinesi che si sono visti portare vie le loro terre e che adesso non possono neanche più vederle perchè sono dietro a un muro. Ma, per noi europei, civilizzati e (ancora per poco) vincitori, esiste solo un muro, quello di Berlino, da ricordare fino alla nausea. Si dirà che Hamas è organizzazione terrorista. Ma aveva vinto le elezioni. Bisogna spiegarselo. Si dirà - per spiegarselo - che i palestinesi sono cattivi e antidemocratici, mentre gli israeliani sono buoni e democratici. Cioè si fara del razzismo. Dello sporco, intollerabile razzismo.

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Un'aggressione premeditata

di Gilbert Achcar*

Il micidiale assalto compiuto da Israele contro Gaza era talmente premeditato da esser stato annunciato in anticipo ieri mattina su diversi quotidiani arabi. L'informazione più precisa è stata fornita dal giornale nazionalista palestinese e arabo al-Quds al-Arabi (Gerusalemme araba), pubblicato a Londra. Scrivendo a partire da Ramallah, in Cisgiordania, Walid Awad, corrispondente del quotidiano a Ramallah, in Cisgiordania, riferiva di aver appreso «da un'attendibile fonte diplomatica araba che il generale Omar Suleiman, capo dei servizi segreti egiziani, ha informato certe capitali arabe che Israele avrebbe lanciato un'offensiva limitata contro la Striscia di Gaza». Un'offensiva per far pressione sul movimento Hamas e obbligarlo a accettare una tregua senza condizioni. La fonte ha aggiunto che il generale Suleiman ha insistito presso la ministra israeliana degli affari esteri, Tzipi Livni, sulla necessità di non provocare vittime fra i civili durante l'operazione militare per evitare che foto di innocenti non vengano utilizzate per eccitare la piazza araba».

Questo scenario allestito in anticipo è stato messo in atto il giorno stesso della comparsa dell'articolo: accampando il solito pretesto - i lanci di razzi a partire da Gaza, che sono essi stessi tiri di rappresaglia, e così via - l'aviazione israeliana ha ferocemente attaccato Gaza, concentrando il fuoco sulle forze di sicurezza interne dirette dal governo di Hamas, conformemente alla domanda del capo dei servizi segreti egiziani, più desideroso di attenuare la reazione dell'opinione pubblica nel suo paese che di salvare vite umane palestinesi.

La collusione con Israele da parte degli «Arabi dell'America», come li chiama «la piazza araba», cioè le monarchie petrolifere del Golfo, la monarchia giordana e l'Egitto, è così venuta alla luce.

Il generale egiziano mette a punto insieme a Tzipi Livni lo scenario della carneficina offerto da Israele ai palestinesi in questo periodo di feste e di regali, mentre a Washington si fa il bilancio dei doni offerti dalle monarchie arabe al suo omologo americano, Condoleezza Rice: gioielli per diverse centinaia di milioni di dollari, fra cui una collana del costo stimato a 170.000 dollari, una parure di rubini e diamanti di 165.000 dollari da parte del re saudita Abdallah e una parure di smeraldi e diamanti del costo stimato a 147.000 dollari da parte del re giordano Abdallah II (Associated Press, 22 décembre). Dei regali tanto più stravaganti - scandalosi per le popolazioni dei paesi in questione - in quanto quei sovrani sapevano bene che Condoleezza Rice avrebbe potuto sfoggiarli solo durante il suo mandato di segretaria di Stato e che, conformemente alla legge americana, sono proprietà pubblica, e verranno riposti in un deposito del governo alla fine del mandato dell'amministrazione uscente.












Se gli «Arabi dell'America» si comportano in maniera così poco discreta nelle loro servili effusioni verso Washington mentre l'amministrazione Bush è la più odiata della storia dalla «piazza araba» - le popolazioni arabe non sognano altro che offrire un solo tipo di regalo a George Bush e ai membri della sua squadra aborrita: scarpe in faccia, seguendo l'esempio del giornalista iracheno Muntazar al-Zeidi diventato eroe nazionale di tutte le popolazioni arabe - si può immaginare in che modo si comporteranno dopo l'investitura di Barack Hussein Obama: senza ritegno alcuno, con molta probabilità.

Il cambiamento d'amministrazione a Washington, benché non faccia presagire un cambiamento sostanziale della politica statunitense in Medioriente, a giudicare dalla composizione della nuova squadra, porterà sicuramente una ripulitura di facciata: un passaggio dall'imperialismo dal volto orrendo e islamofobo all'imperialismo dal volto umano, nero e islamofilo. È il senso del gran discorso che Obama ha previsto di pronunciare, in direzione del mondo musulmano, dopo essere entrato in carica. L'America, i cui interessi in Medioriente sono stati messi in pericolo dalla goffaggine dell'amministrazione Bush, ha bisogno di ridorare il suo blasone presso i musulmani, per rafforzare il suo dominio militare attraverso una egemonia politica. È una delle ragioni principali per le quali il grande capitale americano ha sostenuto Obama, mentre gli elettori e le elettrici si mobilitavano per lui per tutt'altre ragioni.

Il timing dell'operazione israeliana è stato scelto tenendo conto di queste considerazioni: bisognava colpire duro Gaza prima dell'investitura di Obama, per non compromettere immediatamente la sua operazione di relazioni pubbliche. Il successo di questo attacco dovrebbe rendere più agevoli in futuro simili brutali aggressioni contro un nemico che sarà tanto più facile da demonizzare quanto il presidente americano sarà angelicato.

* Analista politico, autore di Scontro tra barbarie e La guerra dei 33 giorni (edizioni Alegre)

Pubblicato su il Manifesto del 28 dicembre 2008

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Incriminate Barak, Livni e Olmert di crimini di guerra![*]






di Michel Warschawski

Lo Stato di Israele deve essere sospeso dalle istituzioni internazionali fino a quando Gaza sarà sotto assedio e l’aviazione e l’artiglieria israeliana continueranno a massacrare la sua popolazione!

140 morti dopo la prima ora dell’attacco criminale israeliano contro la popolazione civile Gaza[†]. «Non è che l’inizio» hanno affermato gli alti responsabili israeliani, ripromettendosi di continuare i bombardamenti della città più popolata per metro quadrato del mondo!



Eravamo una dozzina di militanti palestinesi e israeliani nella sede dell’AIC a Beit Sahour (Cisgiordania), per discutere della crisi dei partiti laici palestinesi quando abbiamo appreso le notizie. Dopo qualche minuto di vero e proprio shock, siamo partiti verso i nostri compiti in una simile situazione di emergenza: Ahmad J. ha contattato i suoi amici di Gaza per avere le ultime novità, Connie e John sono andati nell’ufficio di Gerusalemme per lanciare un appello all’azione al movimento sociale internazionale, Sergio e Guila hanno contattato i mass media internazionali, Ahmad A. è andato a una riunione urgente dei movimenti popolari della zona di Betlemme, Nassar ha convocato le fazioni palestinesi per una riunione d’emergenza; tornando a Gerusalemme, io ho contattato le forze progressiste per organizzare per questa sera una protesta comune delle forze israeliane progressiste davanti alla casa del primo ministro, ma la Coalizione delle Donne per la pace aveva già preso l’iniziativa: ci si ritroverà a Tel Aviv alle 18.00.

Dopo aver organizzato il trasporto dei potenziali manifestanti da Gerusalemme, mi restano due ore prima di partire per Tel Aviv. Le impiego per chiedervi, amici e compagni del movimento sociale internazionale di solidarietà con il popolo palestinese, di reagire immediatamente contro questo nuovo crimine di guerra commesso dal mio governo e dal mio esercito: più che mai il popolo palestinese ha bisogno della vostra mobilitazione, della vostra solidarietà e dei vostri sforzi. Più che mai dovete fare pressione sui vostri governi per imporre sanzioni a Israele e perché sia chiaro che uno Stato che vìola le regole più elementari della legge internazionale deve essere escluso dalla comunità delle nazioni civili.

I dirigenti politici e militari israeliani devono essere trascinati in giudizio in un tribunale internazionale per crimini di guerra! Seguiamo l’esempio dei nostri compagni britannici e diciamo chiaramente che ovunque vogliano andare: Barak, Ashkenazi, Olmert o Livni saranno accolti da un’accusa per i crimini di guerra che hanno commesso nei territori palestinesi occupati!

No all’impunità per i criminali di guerra israeliani!



Michel Warschawski,
Alternative Information Center, Beit Sahour/Gerusalemme

27 dicembre 2008

[*] Tradotto dal francese e tratto dal sito internet dell’AFPS

[†] Ad ora i morti hanno raggiunto il numero di 400.

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Rapporto del Segretario generale ONU sulla situazione in Palestina


L'Assemblea generale dell'ONU ha esaminato il 24 e 25 novembre 2008 il rapporto del Segretario generale sulla situazione in Palestina.

Il Presidente dell'Assemblea, Miguel d'Escoto Brockmann (Nicaragua), ha fatto di questo dibattito una questione di principio. Aprendo la seduta, ha dichiarato: « Io invito la comunità internazionale ad alzare la sua voce contro la punizione collettiva della popolazione di Gaza, una politica che non possiamo tollerare. Noi esigiamo la fine delle violazioni di massa dei Diritti dell'uomo e facciamo appello ad Israele, la Potenza occupante, affinché lasci entrare immediatamente gli aiuti umanitari nella Striscia di Gaza. Questa mattina ho parlato dell'apartheid e di come il comportamento della polizia israeliana nei Territori palestinesi occupati sembri così simile a quello dell'apartheid, ad un'epoca passata, un continente più lontano. Io credo che sia importante che noi, all'ONU, impieghiamo questo termine. Non dobbiamo avere paura di chiamare le cose con il loro nome. Dopotutto, sono le Nazioni Unite che hanno elaborato la Convenzione internazionale contro il crimine dell'apartheid, esplicitando al mondo intero che tali pratiche di discriminazione istituzionale devono essere bandite ogni volta che siano praticate.
Abbiamo ascoltato oggi un rappresentante della società civile sudafricana. Sappiamo che in tutto il mondo organizzazioni della società civile lavorano per difendere i diritti dei Palestinesi e tentano di proteggere la popolazione palestinese che noi, Nazioni Unite, non siamo riusciti a proteggere. Più di 20 anni fa noi, le Nazioni Unite, abbiamo raccolto il testimone della società civile quando abbiamo convenuto che le sanzioni erano necessarie per esercitare una pressione non violenta sul Sud Africa. Oggi, forse, noi, le Nazioni Unite, dobbiamo considerare di seguire l'esempio di una nuova generazione della società civile che fa appello per una analoga campagna di boicottaggio, di disinvestimento e di sanzioni per fare pressione su Israele. Ho assistito a numerose riunioni sui Diritti del popolo palestinese. Sono stupefatto che si continui ad insistere sulla pazienza mentre i nostri fratelli e le nostre sorelle palestinesi sono crocifissi. La pazienza è una virtù nella quale io credo. Ma non c'è alcuna virtù nell'essere pazienti con la sofferenza degli altri. Noi dobbiamo agire con tutto il nostro cuore per mettere fine alle sofferenze del popolo palestinese (.) Tengo ugualmente a ricordare ai miei fratelli e sorelle israeliani che, anche se hanno lo scudo protettore degli Stati Uniti al Consiglio di Sicurezza, nessun atto di intimidazione cambierà la Risoluzione 181, adottata 61 anni fa, che invita alla creazione di due Stati. Vergognosamente, oggi non c'è uno Stato palestinese che noi possiamo celebrare e questa prospettiva appare più lontana che mai. Qualunque siano le spiegazioni, questo fatto centrale porta derisione all'ONU e nuoce gravemente alla sua immagine ed al suo prestigio. Come possiamo continuare così?».

L'ambasciatore Miguel d'Escoto Brockmann è un sacerdote cattolico, teologo della liberazione e membro del Comitato politico del Fronte Sandinista di Liberazione Nazionale (FSLN). Personalità morale riconosciuta, è stato eletto per acclamazione, il 4 giugno 2008, Presidente dell'Assemblea Generale dell'Organizzazione delle Nazioni Unite.

L'Anti-Defamation League (ADL) è stata la prima organizzazione sionista a reagire, chiedendo al Segretario Generale dell'ONU, Ban Ki Moon, di mettere fine a questo « circo » così come alla « cosiddetta giornata di solidarietà con il popolo palestinese ». Infine, ha denunciato il carattere a suo dire « antisemita » delle proposte del Presidente Miguel d'Escoto Brockmann che essa ritiene ispirate da un secolare antigiudaismo cattolico.


altri link
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infopal

domenica 7 dicembre 2008

L’Italia per Africom



da nigrizia.it 04/12/2008
Luciano Bertozzi


Lanciato nell'ottobre 2007, è operativo dal 1 ottobre 2008

Le basi statunitensi di Vicenza e Napoli saranno sede di Africom, anche se il comando generale resta a Stoccarda. Italia sempre più allineata con Washington. Nessun paese africano ha accettato di ospitare il comando, accusato di voler controllare le risorse africane.


Napoli e Vicenza saranno due delle quattro basi che ospiteranno Africom, il comando militare USA che ha giurisdizione sull’Africa. Lo ha affermato il Ministro degli esteri Frattini nel corso di una conferenza stampa con l’ambasciatore statunitense, Spogli. Il nostro paese diverrà quindi una pedina sempre più importante per gli scenari strategici statunitensi.

Nella città partenopea vi sarà il comando navale, a Vicenza quello delle forze di terra. Secondo il Ministro le due componenti di Africom “operano nel quadro della NATO”, affermazioni poco credibili: il comando americano è una struttura interamente del Pentagono. Secondo quanto spiegato da Frattini, pur operando all'interno delle basi statunitense "la componente civile della missione Africom" (non si tratterebbe quindi di militari) lavorerà nel settore NATO.
Africom, la nuova struttura militare nordamericana creata a fine 2007, attualmente ha il quartiere generale a Stoccarda, in Germania: Bush non è riuscito a convincere nessun paese africano ad ospitare le basi. Gli ultimi rifiuti sono arrivati da Libia, Sudafrica e Nigeria, che temono di vedere i paesi del continente coinvolti in terreno di battaglia nella lotta al terrorismo.

Per molti inoltre la creazione di Africom è dovuta al crescente peso del petrolio africano che copre ormai circa un quarto del fabbisogno di Washington, con la prevalenza dei paesi che si affacciano sul golfo di Guinea (Nigeria fra tutti). Il rinnovato interesse di Washington per l’Africa è dovuto anche alla volontà di controllo delle altre risorse naturali che il continente possiede (finora sfruttate solo in parte) e per contrastare la Cina, che sta soppiantando le vecchie potenze coloniali e gli Stati Uniti stessi.


Gli obiettivi dichiarati dal Pentagono

Africom è divenuto operativo dal primo ottobre scorso, la sua area di attività copre tutto il continente ad eccezione dell’Egitto. Il suo compito principale consiste nel “promuovere la stabilità e la sicurezza sul continente, ed aiutare gli eserciti africani a fronteggiare le calamità naturali. Secondo il Pentagono l’obiettivo finale è la promozione di una buona Governance: Africom aiuterà le autorità civili africane nella lotta alla povertà. L’ambasciatore Spogli ha comunque affermato che”gli obiettivi di Africom vertono su prevenzione dei conflitti, promozione della crescita economica controllo dei flussi migratori e prevenzione del terrorismo”. Quest’ultimo è un aspetto preoccupante, viste le violazioni delle libertà fondamentali compiute da Washington in virtù di tale lotta : da Guantanamo alle extraordinary rendition (i sequestri di presunti terroristi inviati in Paesi terzi spesso mediorientali), alla pratica del waterboarding (considerata una tortura) durante gli interrogatori. Le operazioni militari statunitensi in Africa alcune segrete e le esercitazioni sono su base unilaterale e non su base NATO.
Il Congresso di Washington ha stanziato 266 milioni di dollari, 123 milioni in meno di quanto richiesto da Bush. Tale riduzione è stata motivata dalla mancanza di una presenza effettiva in Africa.


AFRICOM Commander General William E. Ward

Il ruolo dell’Italia

Il nostro paese sarà sempre più la punta di lancia del formidabile strumento bellico di Washington, grazie alla sua posizione strategica rispetto all’Africa. L’uso della contestatissima base di Vicenza non tiene conto dell’orientamento della popolazione locale, che, in prevalenza, non vuole una presenza muscolare così ingombrante. Difficilmente le due basi saranno utilizzate per rafforzare i diritti umani e le libertà fondamentali, ma di sicuro aumenteranno l’esposizione italiana nella guerra al terrorismo. Roma si allinea alla politica di Washington, senza tutelare i propri interessi: la decisione di ospitare Africom rischia di creare problemi nei rapporti politici ed economici fra il nostro paese e quelli africani, proprio mentre l’Italia ha ridotto al lumicino i fondi della cooperazione allo sviluppo ed è fra gli ultimi contribuenti alle spese per realizzare gli Obiettivi del Millennio.
Il messaggio del governo Berlusconi è quello di ribadire che la sicurezza è data dalla militarizzazione, e non dal garantire dignità umana alle persone. E’ da sottolineare che una scelta così importante non è stata sottoposta ad alcun vaglio parlamentare ed al Consiglio dei Ministri.

L’esclusione dal Parlamento dei partiti di sinistra ha eliminato la lotta alla militarizzazione della nostra politica estera dall’agenda politica. Del resto, come si è visto nelle Camere in occasione dell’iter della legge di bilancio, entrambi gli schieramenti hanno stigmatizzato la politica di tagli, seppure assai limitati, operata alle spese militari.
Popolo delle Libertà e Partito Democratico schierano ex generali e ribadiscono in ogni occasione la necessità di aumentare la spesa per le forze armate. La crisi economica, invece, dovrebbe dare impulso proprio alla ridiscussione dello strumento militare italiano. La riduzione degli stanziamenti per la difesa e soprattutto per nuovi armamenti potrebbe garantire le risorse per tutelare le famiglie in crisi, per erogare sussidi di disoccupazione di livello europeo. Appare quindi difficile che le Camere contrastino la decisione di Frattini.

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AFRICOM: ALTRI MILLE MILITARI USA IN ITALIA
da disarmiamoli.org
Con Africom giungono in Italia altri 1.000 militari USA

E il Pentagono sbugiarda Franco Frattini. Due giorni fa il ministro degli esteri italiano aveva annunciato la concessione agli Stati Uniti dell’utilizzo delle basi di Napoli e Vicenza per l’installazione di due nuovi comandi per le operazioni nel continente africano (Africom), “senza che ciò comporterà l’aumento su base permanente delle truppe Usa in Italia”. Le forze armate statunitensi fanno invece sapere che l’istituzione dei due quartieri generali è già attiva con l’assegnazione a Napoli e Vicenza di 750 militari, a cui se ne affiancheranno presto degli altri.

Intervistato dal quotidiano delle forze armate Usa “Stars and Stripes”, il colonnello Marcus de Oliveira, portavoce del comando dell’esercito statunitense SETAF (Southern European Task Force) con base a Vicenza, ha dichiarato che il personale di stanza nella città veneta “potrebbe aumentare di circa 50 unità, portando così il numero del personale militare operante a 300”.

A Napoli, invece, la Naval Forces Europe è stata ampliata per includere la componente navale di Africom che ha preso il nome di “NAVEUR NAVAF”. “Con uno staff di circa 500 uomini – scrive Stars and Stripes - questo comando potrebbe crescere entro i prossimi due anni di circa 140 unità”. Le finalità del nuovo quartier generale delle forze navali per l’Africa sono state sintetizzate dall’ammiraglio Mark Fitzgerald, comandante di NAVEUR NAVAF. “Focalizzeremo i nostri interventi in Africa costruendo la cooperazione regionale per la sicurezza nel continente”, ha dichiarato Fitzgerald. “Il modello a cui guardiamo è quello che vede attualmente gli stati della regione del Golfo di Guinea operare congiuntamente contro il traffico di droga, l’immigrazione illegale e il traffico di essere umani. La lotta alla pirateria continuerà ad essere un punto centrale per la Us Navy e per Africom”.

Con l’istituzione di NAVEUR NAVAF a Napoli, l’Africa Partnership Station (APS), la forza multinazionale che la Marina degli Stati Uniti ha promosso con i paesi dell’Africa occidentale e centrale, passa sotto il controllo del comando di Napoli. Buona parte delle operazioni di rifornimento munizioni, carburante e materiali logistici delle unità impegnate in esercitazioni in ambito APS continueranno però ad essere coordinate dal “Fleet and Industrial Supply Center” (FISC), il centro logistico delle forze navali degli Stati Uniti istituito a Sigonella il 3 marzo 2005. Nella base siciliana è pure presente uno dei reparti di punta della nuova strategia di penetrazione militare nel continente africano, la “Joint Task Force JTF Aztec Silence”, una forza speciale dotata di aerei P-3c Orion per la conduzione di missioni d’intelligence, sorveglianza terrestre, aerea e navale in Africa settentrionale, occidentale e nel Corno d’Africa.

Oltre al Comando terrestre di Vicenza e a quello navale di Napoli, Africom ha attivato un quartier generale delle forze aeree a Ramstein (AFAFRICA) e un comando delle forze del Corpo dei Marines a Boeblingen (MARFORAF). Sempre in Germania, a Stoccarda, ha sede il quartier generale di Africom, destinato però ad essere trasferito nel Sud Europa. A contendersi Africom la base navale Usa di Rota-Cadice in Spagna e ancora una volta la Naval Station di Napoli-Capodichino.

Antonio Mazzeo


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Si chiama AfriCom la nuova servitù militare


Martedì - nello stesso giorno in cui è arrivato a Roma il generale David Petraeus, capo del Comando centrale che conduce la guerra in Afghanistan - è giunto a Vicenza il gen. William Ward, capo dell'appena costituito Comando Africa (AfriCom), per presenziare, alla caserma Ederle, alla «cerimonia di trasformazione» della Forza tattica statunitense nel Sud Europa (Setaf). Essa diviene la prima componente dello U.S. Army Africa (Esercito Usa per l'Africa), dipendente dall'AfriCom. Opererà quindi da Vicenza un nuovo comando militare, denominato «Setaf/U.S. Army Africa», il cui compito sarà quello di pianificare e condurre le operazioni in Africa, ma che resterà disponibile anche per quelle Nato.
La Squadra di combattimento 173a brigata aviotrasportata, di stanza a Vicenza, resterà sotto il Comando europeo degli Stati uniti. La dislocazione a Vicenza del comando delle forze terrestri AfriCom comporta un potenziamento della presenza militare statunitense. Il nuovo comando certamente userà, per le operazioni in Africa, la 173a brigata aviotrasportata. Poiché essa è una «unità modulare», formata da sei battaglioni, potrà incorporare altri reparti per tali operazioni. Crescerà quindi la necessità di raddoppiare la base Usa di Vicenza, da cui oggi partono truppe per l'Afghanistan e l'Iraq. Aumenterà di conseguenza la militarizzazione del territorio.
Lo stesso avverrà a Napoli, dove viene dislocato il comando delle forze navali AfriCom. Poiché le navi da guerra usate per le operazioni in Africa vengono fornite dal comando delle forze navali Usa in Europa, il cui quartier generale è a Napoli, ciò comporta un potenziamento anche di questo comando. Lo dimostra il fatto che l'ammiraglio Mark Fitzgerald ? comandante delle forze navali Usa in Europa e, allo stesso tempo, comandante della forza congiunta alleata ? è stato nominato anche comandante della componente navale dell'AfriCom. Ciò provocherà una ulteriore militarizzazione del territorio.
Contrariamente a quanto affermato dal ministro degli esteri Franco Frattini, il col. Marcus De Oliveira, capo del personale Setaf, ha comunicato che la presenza dei due nuovi comandi comporterà aumenti di personale militare: quello Setaf di Vicenza salirà a circa 300, mentre quello delle forze navali a Napoli, già «allargato per includere la componente AfriCom», sarà portato a circa 650 unità. Il ruolo dei due nuovi comandi però deve essere valutato non tanto in base al numero di «addetti», ma alla consistenza delle forze che essi possono mobilitare.
È inoltre prevedibile che l'appena costituito Corpo dei marines per l'Africa, il cui comando è attualmente a Boeblingen in Germania, opererà da Napoli. Anche la 17a forza aerea, messa a disposizione dell'AfriCom, opererà non dalla base tedesca di Ramstein, ma soprattutto da Aviano, Sigonella e altre basi in Italia. Supporteranno l'AfriCom anche la base di Camp Darby, che fornirà i materiali per le operazioni, e quella di Sigonella, da cui già opera una forza speciale per missioni segrete in Africa. Le unità AfriCom, durante le missioni, saranno collegate ai comandi tramite la rete di comunicazioni e intelligence di Sigonella, che verrà potenziata con l'installazione a Niscemi di una stazione terrestre del Muos, il sistema di telecomunicazioni di nuova generazione.
La dislocazione in Italia dei due comandi AfriCom comporterà quindi una ulteriore militarizzazione del nostro territorio, non solo nelle zone in cui si trovano. Mentre il ministro Frattini, con tono tranquillizzante, assicura che «non ci saranno truppe da combattimento, ma componenti civili».

Manlio Dinucci
11 Dicembre 2008

NUOVO PRESIDENTE USA E SCENARI DI GUERRA PROSSIMI VENTURI


Che cosa cambierà con Barack Obama?

Di Manlio Dinucci





da DISARMIAMOLI.ORG
Una versione ridotta dell'articolo è stata pubblicata da Il Manifesto dell'11 novembre

«Appena sarò presidente, affronterò la crisi di petto prendendo tutte le misure necessarie per alleggerire la crisi del credito, aiutare le famiglie che lavorano duro, e restituire crescita e prosperità»: così, nella sua prima conferenza stampa, Barack Obama ha ribadito il concetto che, nella campagna elettorale, gli ha guadagnato il favore di «madri e padri che non riescono a dormire perché si chiedono se riusciranno a pagare il mutuo». Negli Stati uniti, ha detto nel discorso della vittoria, «non ci può essere una Wall Street che prospera mentre Main Street (l’uomo della strada) soffre».
Ma che cosa ha generato la crisi? Proprio il tentativo di far vivere «Main Street» al di sopra delle possibilità offerte dall’economia statunitense, incrementando i consumi delle famiglie mentre si riduceva il loro reddito reale. Ciò è stato fatto dando loro ampio accesso al credito. Le banche hanno concesso prestiti e mutui non solo a famiglie il cui reddito calava in assenza di aumenti salariali, ma perfino ai clienti ninjia (no income, no job and assets), ossia a persone sprovviste di reddito, lavoro e patrimonio. I mutui, soprattutto quelli subprime il cui rimborso era in forse, sono stati ceduti dalle banche a società terze, che hanno a loro volta emesso titoli il cui valore era garantito dal rimborso dei mutui. Questi titoli fasulli, inseriti tra quelli validi nelle cosiddette «salsicce finanziarie» garantite dalle agenzie di rating, sono stati venduti in tutto il mondo a investitori sia istituzionali che privati. L’esplosione di questa bolla speculativa ha portato alla crisi globale, alla cui origine vi è la pretesa degli Stati uniti, l’economia più indebitata del mondo, di vivere a credito facendo pagare il resto del mondo.
All’indebitamento delle famiglie, negli Usa, si aggiunge quello pubblico (10mila miliardi di dollari, oltre i due terzi del pil), alimentato da una spesa militare salita a oltre un quarto del bilancio federale. Per le guerre in Iraq e Afghanistan gli Usa hanno speso finora quasi 900 miliardi di dollari. «Missione compiuta», aveva annunciato trionfante il presidente Bush dopo aver invaso l’Iraq nel 2003, ma la resistenza irachena ha inceppato il meccanismo che avrebbe dovuto pompare nell’economia statunitense petrolio a basso costo, compensando il crescente indebitamento. Il debito complessivo statunitense ha così superato i 50mila miliardi di dollari. Per ridurre il debito, gli Usa dovrebbero ridimensionare drasticamente il livello dei loro consumi, a partire da quelli energetici (con una popolazione pari al 5% di quella mondiale, consumano il 25% del petrolio mondiale). Dovrebbero tagliare fortemente la spesa militare, rinunciando alla pretesa di dominare il mondo (alleati compresi) con la forza delle armi.
Ma è questa la via che il nuovo presidente intende seguire? Nel discorso della vittoria afferma che «la vera forza della nostra nazione proviene non dalla forza delle nostre armi, ma dai nostri ideali». Però subito dopo avverte: «Sconfiggeremo coloro che vogliono fare a pezzi il mondo». Annuncia quindi che gli Usa proseguiranno la «guerra globale al terrore». E quando ricorda «i coraggiosi americani che rischiano la loro vita per noi nei deserti dell’Iraq e sulle montagne dell’Afghanistan», indica che non intende rinunciare allo strumento della guerra per controllare zone di interesse strategico per gli Stati uniti. Quando afferma che «è a portata di mano una nuova alba della leadership americana», ribadisce il concetto di un ordine mondiale incentrato sulla leadership statunitense, all'interno del quale ogni paese deve avere un ruolo funzionale agli interessi statunitensi. Da qui la giustificazione dell'impiego delle forze armate statunitensi ovunque nel mondo sorgano fattori di instabilità, che possano mettere in pericolo la stabilità funzionale agli interessi e alla leadership globale degli Stati Uniti d'America.
Il «multilateralismo» che dovrebbe caratterizzare la politica estera dell’amministrazione Obama è stato già avviato da quella Bush. Essa ha invitato il Gruppo dei 20 (di cui fanno parte, oltre ai paesi del G7 e alla Russia, Cina, India, Arabia saudita, Messico e la Ue) a un vertice che si svolgerà il 15 novembre a Washington.














Obama non vi parteciperà, ma incontrerà singolarmente i leader dei paesi del G-20. Scopo principale è far sì che le petromonarchie arabe e la Cina, le cui esportazioni sono dirette in gran parte negli Usa e hanno quindi interesse a sostenerne l’economia, continuino ad acquistare titoli statunitensi. Allo stesso tempo l’amministrazione Bush ha cominciato a lavorare a un piano, che l’amministrazione Obama intende proseguire: diminuire la presenza militare Usa in Iraq, assicurandosi però il controllo del petrolio attraverso alleanze con gruppi di potere, e accrescerla in Afghanistan, coinvolgendo sempre più gli alleati. Così anche l’Italia sarà chiamata a contribuire al «nuovo sogno americano».