mercoledì 22 settembre 2010

No Dal Molin: esperienza negativa e sconfitta da cui imparare


No Dal Molin : una esperienza negativa ed una sconfitta da cui imparare per le future mobilitazioni contro la militarizzazione dei territori e la guerra

Nell’articolo di Giulio Todescan sul numero di Carta del 3/9 settembre 2010, che illustra l’organizzazione del quarto anno del festival autogestito del presidio permanente No Dal Molin, ci sono due passaggi in rilievo che evidenziano i risultati ottenuti dalla mobilitazione di questi anni contro la costruzione della nuova base Usa a Vicenza: la realizzazione del Parco della Pace in un’area che il governo ha sdemanializzato a ‘mo di compensazione, e un ricco “capitale sociale” fatto di nuove relazioni tra singoli,associazioni,gruppi che preannuncia un certo fermento culturale in citta.

Poco, tanto, quello che era possibile? Si è fatto tutto quello che era necessario per impedire la costruzione della base?

Mentre i lavori nel cantiere della base procedono speditamente, Giulio Todescan nel suo articolo, fà intravedere posizioni critiche di parti del movimento contro il presidio permanente, e pone la questione di tutte le questioni: perché il movimento non è riuscito a fermare la base?

Una domanda che richiederebbe una lunga dissertazione e che probabilmente rimanda alla debolezza storica del movimento per la pace nel nostro paese, incapace di darsi gambe proprie, una strategia coerente di lotta alla guerra, e che si è sempre fatto piegare alle logiche manipolarizzatrici ed elettorali della “politica”.

Il ruolo del Pci e della sinistra, all’epoca della lotta contro l’installazione dei Cruise a Comiso, all’inizio degli anni ’80, è stato un ruolo di freno e di ostacolo allo sviluppo del movimento popolare. Una sinistra che tentennò a lungo – tre anni - nel sollecitare una risposta al governo italiano, che il 12 dicembre 1979 decise l’installazione dei missili Usa. Una sinistra che rifiutò caparbiamente la parola d’ordine dell’uscita delle basi USA-NATO dall’Italia e dell’Italia dalla NATO e che si autoproclamò testa pensante di un movimento per la pace vasto e composito, che però doveva corrispondere alla loro visione e ai loro interessi.

La “sinistra radicale” operante a cavallo del nuovo millennio ha partecipato alla mobilitazione contro la base di Vicenza, ma contemporaneamente era nel governo Prodi che ha sancito l’OK alle decisioni e alle scelte del governo USA e ha votato i finanziamenti per le missioni militari della guerra preventiva bushiana.

A Vicenza l’appoggio e i voti a Variati, diventato sindaco , si è rivelata un’operazione a perdere non difficile da prevedere. Errore? Sottovalutazione? Ripiegamento e arretramento localista?

Quello che è certo è che ad un certo punto la “direzione politica” del presidio permanente caratterizzata soprattutto dai centri sociali del nord-est, ha costantemente rifiutato ogni sollecitazione che veniva da realtà come quella del Patto permanente contro la guerra, di rilancio della mobilitazione a livello nazionale. Si è scelto la dimensione locale e i tavoli pseudo istituzionali nella logica dell’accettazione del meno peggio. Un errore grave. Ad un dato momento si è teorizzato coscientemente il ripiegamento locale, la dimensione circoscritta della comunità, il rifiuto di discutere modalità e forme di ripresa del conflitto nel nuovo contesto politico determinato a livello nazionale.

Molti pacifisti e attivisti hanno vissuto questa scelta come una imposizione incomprensibile, una volontà di allontanamento dal luogo simbolo della lotta contro la guerra. Insomma nella città del Palladio e del solipsismo municipalista, qualcuno si è reso cosciente che non bisogna disturbare il manovratore nella lotta contro la base, e qualcun altro si sta ancora chiedendo se è valsa la pena tornare e ritornare più volte a Vicenza per subire infine l’irrisione della concessione del “Parco della pace”vicino alla base di guerra. Quello che è troppo, è fuori di ogni misura.

Forse, in alternativa alla testimonianza antimilitarista e la realpolitik di Variati e co. indicate da Giulio Todescan nel suo articolo, c’era un’altra via, un’altra possibilità, cioè quella dell’apertura di una nuova fase di battaglia politica contro le scelte guerrafondaie del governo italiano capace di mettere in campo reali forze sociali dentro la crisi.

Qualcuno ha fatto notare come la lotta contro la costruzione della base militare ha goduto di un’ampia simpatia tra l’opinione pubblica italiana e che un governo nazionale è stato messo in crisi, così come la giunta comunale di Vicenza è stata mandata a casa. Segno di una forza reale del movimento No Dal Molin e delle mobilitazioni contro la guerra.

Rete Nazionale Disarmiamoli
www.disarmiamoli.org
3381028120 - 3384014989

sabato 18 settembre 2010

Dall'inizio della missione nel 2004 sono morti 30 militari italiani

Con la morte del tenente Alessandro Romani, ucciso oggi a Farah, sale il bilancio delle vittime. Gli ultimi due anni sono stati più cruenti: già 8 nel 2010 e nove l'anno precedente
DA: Repubblica.it


ROMA - Con la morte dell'incursore Alessandro Romani , ucciso questa mattina nella provincia di Farah, sale a trenta il numero dei militari italiani morti in Afghanistan dall'inizio della missione Isaf nel 2004. Di questi, la maggioranza è rimasta vittima di attentati e scontri a fuoco, altri invece sono morti in incidenti, alcuni per malore e uno si è suicidato. Gli ultimi due sono stati gli anni più cruenti per gli italiani: già otto le vittime in questo 2010, furono nove nel 2009.

Il 28 luglio 2 perdono la vita a una ventina chilometri da Herat, a seguito dell'esplosione di un ordigno rudimentale, il primo maresciallo Mauro Gigli e il caporal maggiore Pierdavide De Cillis.

Il 25 luglio 3 muore, forse suicida, un militare italiano. Si sarebbe sparato un colpo di arma da fuoco all'interno del suo ufficio, a Kabul. Sull'episodio indagano i carabinieri della polizia militare.

Il 23 giugno 4 muore a Shindand, nell'ovest dell'Afghanistan, il caporal maggiore scelto Francesco Saverio Positano. Ha perso l'equilibrio ed è caduto da un mezzo blindato, riportando un forte trauma cranico. Apparteneva al 32esimo reggimento genio, della brigata alpina taurinense.

Il 17 maggio 5 un veicolo blindato salta in aria per l'esplosione di un ordigno nella provincia di Herat. Muoiono il sergente Massimiliano Ramadù, 33 anni, e il caporal maggiore Luigi Pascazio, 25 anni. Le vittime appartenevano al 32esimo reggimento genio della brigata taurinense.

Il 26 febbraio 6 viene ucciso Pietro Antonio Colazzo, un funzionario della Aise, l'agenzia di informazione e sicurezza esterna, nel corso di un attentato suicida compiuto dai talebani a Kabul contro due 'guest house'.

Il 15 ottobre 2009 7 il caporal maggiore Rosario Ponziano del quarto reggimento alpini paracadutisti muore in un incidente stradale avvenuto sulla strada che collega Herat e Shindad.

Il 17 settembre 2009 8 sei militari muoiono in un attentato suicida a Kabul, rivendicato dai talebani. Le vittime, del 186esimo reggimento paracadutisti folgore di stanza nella capitale, sono il tenente Antonio Fortunato, il primo caporal maggiore Matteo Mureddu, il primo caporal maggiore Davide Ricchiuto, il primo caporal maggiore Massimiliano Randino, il sergente maggiore Roberto Valente e il primo caporal maggiore Gian Domenico Pistonami.

Il 14 luglio 2009 9 muore in un attentato a 50 chilometri da Farah il caporal maggiore Alessandro Di Lisio, 25 anni. Paracadutista dell'ottavo genio guastatori della Folgore, faceva parte di un team specializzato nella bonifica delle strade.

Il 15 gennaio 2009 muore per arresto cardiocircolatorio Arnaldo Forcucci, maresciallo dell'aeronautica.

Il 21 settembre 2008 muore per un malore a Herat il caporal maggiore Alessandro Caroppo, 23 anni, dell'ottavo reggimento bersaglieri di Caserta.

Il 13 febbraio 2008 10 muore in un attacco il maresciallo Giovanni Pezzulo, 44 anni, del Cimic Group South di Motta di Livenza. L'attentato avviene a una sessantina di chilometri da Kabul, nella valle di Uzeebin, mentre i militari italiani sono impegnati in attività di distribuzione di viveri e vestiario alla popolazione della zona. Rimane ferito il maresciallo Enrico Mercuri.

Il 24 novembre 2007 11 muore in un attentato suicida nei pressi di Kabul il maresciallo capo Daniele Paladini, 35 anni. Altri tre militari rimangono feriti.

Il 4 ottobre 2007 12 muore al Policlinico militare del Celio a Roma l'agente del Sismi Lorenzo D'Auria. Il militare era stato sequestrato il 22 settembre 2007 assieme a un altro sottufficiale del servizio di sicurezza e a un collaboratore afgano, ed era stato gravemente ferito due giorni dopo, durante un'operazione delle forze speciali 13 britanniche per cercare di liberarlo.

Il 26 settembre 2006 14 perdono la vita i caporal maggiori Giorgio Langella, 31 anni, e Vincenzo Cardella 15, in seguito all'esplosione di un ordigno lasciato lungo una strada nei pressi di Kabul. I due militari appartenevano alla 21esima compagnia del secondo reggimento alpini di Cuneo.

Il 20 settembre 2006 16 muore in un incidente stradale, a sud di Kabul, il caporal maggiore Giuseppe Orlando, 28 anni. Faceva parte della 22esima compagnia del secondo reggimento alpini di Cuneo.

Il 2 luglio 2006 17 il tenente colonnello Carlo Liguori, 41 anni, è stroncato da un attacco cardiaco a Herat.

Il 5 maggio 2006 18, in seguito all'esplosione di un ordigno lasciato lungo una strada nei pressi di Kabul, muoiono il tenente Manuel Fiorito, 27 anni, e il maresciallo Luca Polsinelli, 29 anni, entrambi del secondo reggimento alpini. I due soldati si trovavano a bordo di due veicoli blindati "puma", a sud-est della capitale afgana, quando sono stati investiti dall'esplosione.

L'11 ottobre 2005 19 muore il caporal maggiore Michele Sanfilippo, 34 anni. Sanfilippo, effettivo al quarto reggimento genio guastatori di Palermo, viene ferito con un colpo alla testa, partito accidentalmente, nella camerata del battaglione genio a Kabul. Muore poco dopo il ricovero in ospedale.

Il 3 febbraio 2005 20 l'ufficiale di marina Bruno Vianini perde la vita nello schianto di un aereo civile sul quale viaggiava, tra Herat e Kabul. Il capitano di fregata aveva 42 anni.

Il 3 ottobre 2004 il caporal maggiore Giovanni Bruno, 23 anni, del terzo reggimento alpini, è vittima di un incidente stradale mentre si trova a bordo di un mezzo dell'esercito nel territorio di Sorobi, a 70 chilometri da Kabul. Nell'incidente rimangono feriti altri quattro militari.

(17 settembre 2010)

Sangue italiano in Afghanistan

I talebani alzano il tiro, attentati e violenze alla vigilia del voto

DA: Corriere.com
Uno o più colpi di kalashnikov durante un blitz per catturare quattro “insorti” che, poco prima, avevano piazzato una bomba lungo una strada. È morto così, nella provincia di Farah, il tenente Alessandro Romani, 36 anni, romano, ufficiale del 9/o reggimento d’assalto paracadutisti Col Moschin della Folgore.


Un nuovo lutto che cade alla vigilia di una giornata considerata cruciale per via del voto per le elezioni legislative, e caratterizzata da una quantità di incidenti in tutto l’Afghanistan. Il tenente Romani - celibe, con molte missioni in prima linea alle spalle - è stato ucciso nel distretto di Bakwa, nella parte orientale della provincia ad altissimo rischio di Farah, ad un anno esatto dalla strage di Kabul, in cui vennero uccisi altri sei parà della Folgore. Tutto è cominciato quando un aereo senza pilota Predator dell’Aeronautica militare italiana ha avvistato quattro persone intente a posizionare una bomba sotto l’asfalto, lungo la strada che collega Farah a Delaram. Sempre il Predator ha poi seguito gli attentatori e ha segnalato il luogo dove questi si erano rifugiati. A questo punto è scattata l’operazione affidata alla Task force 45, composta dagli uomini delle Forze speciali italiane. Il team di incursori del 9/o Col Moschin della Folgore è partito da Farah a bordo di un elicottero Ch 47, scortato da due elicotteri d’attacco Mangusta. Dopo poco è atterrato nelle vicinanze della casa dove si erano nascosti gli insorti. Durante l’incursione, però, due dei commandos italiani sono stati centrati da un numero imprecisato di colpi di arma da fuoco. Li hanno soccorsi e portati via, all’ospedale militare da campo di Farah. Le loro condizioni, in un primo momento, non sono apparse gravi. Il tenente Romani è stato poi sottoposto ad un intervento chirurgico durante il quale, però, ci sono state complicazioni. La notizia della sua morte è arrivata inattesa al quartier generale italiano di Herat. L’altro ferito, un militare di truppa del Col Moschin, sembra sia ormai fuori pericolo. Sull’operazione non si conoscono, per il momento, altri particolari. Ignota pure la sorte dei talebani: quello che è certo è che i due elicotteri Mangusta hanno scaricato contro il loro rifugio l’enorme potenziale di fuoco di cui sono dotati. «Sono tornati scarichi», ha detto una fonte, e questo rende l’idea di che inferno possa essere stato.Una giornata, quella di ieri, caldissima ovunque. Scoppi di ordigni a Herat, rapimento di un candidato ad Adraskan, attentati a camion carichi di schede elettorali a Shindand. In questo caso è intervenuto uno dei team di «reazione rapida» italiani predisposti per garantire la sicurezza dell’atteso appuntamento elettorale.
I talebani, alla vigilia del voto per il rinnovo del parlamento, hanno compiuto numerosi attacchi contro le forze della coalizione e la polizia afghana.

mercoledì 15 settembre 2010

Italia: quinto esportatore di armi, contratti record col Sud del mondo


DI GIORGIO BERETTA (UNIMONDO.ORG)

L’Italia si è attestata anche nel 2009 tra i cinque maggiori fornitori internazionali di armamenti convenzionali e le sue esportazioni sono state dirette principalmente ai Paesi in via di sviluppo.

Lo si apprende dal rapporto “Conventional Arms Transfers to Developing Nations 2002-2009” redatto da Richard F. Grimmett che è stato consegnato venerdì scorso al Congresso degli Stati Uniti d'America. I contratti siglati dalle ditte italiane ammontano infatti nel 2009 – secondo il rapporto – a 2,7 miliardi di dollari, dei quali ben 2,4 miliardi (cioè quasi il 90%) sono stati stipulatii con nazioni in via di sviluppo: una cifra, quest’ultima, mai raggiunta negli ultimi otto anni che il rapporto prende in esame a dimostrazione del fatto che le esportazioni italiane di armamenti sono sempre più rivolte verso i paesi del Sud del mondo.

IL RAPPORTO

Il rapporto predisposto annualmente dal Congressional Research Service (CRS), l'ufficio studi della Library of Congress, la Biblioteca del Congresso, fornisce ai parlamentari degli Stati Uniti i “dati ufficiali e non secretati” sul commercio internazionale di armamenti convenzionali dedicando una specifica attenzione proprio ai trasferimenti ai Paesi in via di sviluppo (Developing Nations): sotto questa denominazione vengono compresi tutti i paesi del mondo tranne gli Stati Uniti, il Canada, tutte le nazioni europee (incluse Russia e Turchia), l’Australia, il Giappone e la Nuova Zelanda.

Il rapporto prende in considerazione tutte le categorie di armamenti convenzionali e tutti i trasferimenti di sistemi militari tra gli stati presentando in una quarantina di tabelle le cifre – riportate principalmente in dollari statunitensi costanti calcolati sull’ultimo anno, ma talvolta anche in valori correnti – sia dei “contratti” (agreements) sia delle “consegne” (deliveries) relativi alle esportazioni di armi. Proprio per queste caratteristiche i dati che vengono presentati nel rapporto si differenziano da quelli forniti da altri istituti di ricerca – come ad esempio il SIPRI di Stoccolma le cui informazioni si concentrano soprattutto sui trasferimenti dei “maggiori sistemi di armamento convenzionali” (“major conventional weapons”).

I MAGGIORI ACQUIRENTI DEL SUD DEL MONDO

Nonostante un certo decremento di ordinativi dovuto alla recessione internazionale “i Paesi in via di sviluppo continuano ad essere il principale destinatario delle esportazioni di armamenti da parte dei paesi produttori” – si legge nel sommario del rapporto. I contratti (agreements) stipulati nel 2009 dalle nazioni in via di sviluppo hanno superato i 45,1 miliardi di dollari (avevano raggiunto i 48,8 miliardi di dollari nel 2008) e rappresentano il 78,4% del commercio internazionale di armamenti che – sempre nel 2009 – si è posizionato sui 57,5 miliardi di dollari, in calo del 8,5% rispetto al 2008 quando aveva superato i 62,8 miliardi di dollari.

Più regolari invece le consegne (deliveries) mondiali di armamenti che nel 2009 si sono stazionate sui 35,1 miliardi di dollari: erano state di 36,7 miliardi nel 2008. Nel 2009 oltre 17 miliardi dollari (cioè il 48,5% del totale) di consegne di materiali militari sono state effettuate verso i Paesi in via di sviluppo: si tratta del valore più basso degli ultimi otto anni che è spiegabile – come afferma il rapporto – anche con la decisione di diverse nazioni di rimandare l’acquisto di armamenti a seguito delle restrizioni di budget messe in atto in considerazione della recessione economica internazionale.

Tra i maggiori acquirenti figurano per quanto riguarda i contratti stipulati nel 2009 innanzitutto il Brasile (7,2 miliardi di dollari), il Venezuela (6,4 miliardi), l'Arabia Saudita (4,3 miliardi), Taiwan (3,8 miliardi), Emirati Arabi Uniti (3,6 miliardi), Iraq (3,3 miliardi) e Egitto (3 miliardi) mentre per quanto riguarda le consegne effettive di armamenti nel 2009 (Tabella 24) i principali destinatari risultano l'Arabia Saudita (2,7 miliardi), la Cina (1,5 miliardi), Corea del Sud (1,4 miliardi), Egitto (1,3 miliardi), India (1,2 miliardi), Israele (1,2 miliardi) e Pakistan (1 miliardo).

I PRINCIPALI ESPORTATORI

Gli Stati Uniti mantengono il primato delle esportazioni mondiali di armamenti: nonostante la consistente riduzione di contratti rispetto al 2008 – anno in cui Washington aveva raggiunto la cifra record dell’ultimo decennio (38,1 miliardi di dollari) – con 22,6 miliardi di dollari gli Usa conservano anche nel 2009 la leadership mondiale in questo particolare settore ma vedono una forte contrazione della propria quota di mercato che si riduce al 39% rispetto al 60,5% del 2008. Un primato dal quale nei prossimi anni gli Stati Uniti difficilmente verranno scalzati se – come riporta il Wall Street Journal – l’amministrazione Obama intende far approvare dal Congresso l’accordo per forniture militari all'Arabia Saudita del valore di 60 miliardi di dollari che rappresenta il più consistente contratto di armamenti mai presentato.

La Russia permane al secondo posto nella graduatoria dei maggiori esportatori: i 10,4 miliardi di dollari di contratti effettuati nel 2009 rappresentano poco più del 18% dello share mondiale. Pur quasi raddoppiando rispetto al 2008 (5,5 miliardi di dollari) segnano però una contrazione sia rispetto al 2007 (quasi 11,2 miliardi) sia, soprattutto rispetto al 2006 quando erano giunti a sfiorare i 16 miliardi di dollari a seguito di accordi per forniture militari soprattutto a India e Cina.

La Cina, inoltre, con 1,7 miliardi di dollari di contratti e 1,8 miliardi di consegne dirette quasi esclusivamente ai Paesi in via di sviluppo mantiene - nonostante un'evidente diminuzione in entrambi i settori - la propria posizione tra i primi sette principali esportatori internazionali di armamenti.

I MAGGIORI FORNITORI EUROPEI

Tra i paesi che resistono al calo internazionale del commercio di armamenti e che anzi riescono ad incrementare le esportazioni nonostante la crisi economica mondiale vanno annoverati soprattutto i quattro principali produttori europei di sistemi militari: Francia, Germania, Italia e Regno Unito.

La Francia, con 7,4 miliardi di dollari di contratti nel 2009 raddoppia il proprio portafoglio d’ordini rispetto all’anno precedente (3,2 miliardi) e, segnando la seconda miglior performance degli ultimi otto anni, giunge a ricoprire quasi il 13% dell’esportazione mondiale di armamenti: il 96% dei contratti francesi del 2009, cioè 7,1 miliardi di dollari, sono stati siglati con i Paesi in via di sviluppo tra cui spiccano soprattutto quelli con nazioni dell’America latina.

Incrementa i propri contratti di sistemi di oltre il 16% tra il 2008 e il 2009 anche la Germania portandoli nell’ultimo anno a 3,7 miliardi di dollari che rappresentano la cifra record dell’ultimo quinquennio e ricoprono il 6,4% dello share internazionale. Ciò che differenzia la Germania rispetto agli altri tre paesi europei – e più generale agli altri maggiori produttori di armamenti – è la destinazione dei sistemi militari che nel 2009 solo per il 2,7% sono diretti ai Paesi in via di sviluppo; ma i 2,8 miliardi di dollari di consegne dell’ultimo anno vedono questi paesi destinatari per oltre il 37,5% degli armamenti tedeschi.

In calo – ma il dato va valutato con attenzione – risultano invece le esportazioni di armamenti dell’Italia: i contratti rilasciati dal nostro paese ammontano nel 2009 a 2,7 miliardi di dollari in netta flessione rispetto alla cifra record di quasi 3,8 miliardi di dollari del 2008. Ciononostante rappresentano la seconda miglior performance degli ultimi otto anni esaminati dal rapporti statunitense e, soprattutto, confermano un tendenziale trend di crescita rispetto ai 494 milioni di dollari del 2002. Si tratta di contratti che – come già detto – posizionano l’Italia al quinto posto tra i principali esportatori mondiali di armamenti davanti a Israele (2,1 miliardi di dollari), Cina (1,7 miliardi) e allo stesso Regno Unito (1,5 miliardi) portando l’Italia a rilevare una quota del 4,7% del commercio internazionale di sistemi militari.

Destinatari di questi contratti sono per quasi l’89% le nazioni in via di sviluppo: nel 2009 l’Italia ha infatti raggiunto con 2,4 miliardi di dollari la cifra record di contratti con questi paesi quasi quadruplicando (erano di 651 milioni di dollari nel 2006) negli ultimi quattro anni l’entità delle proprie commesse verso il Sud del mondo tanto da posizionare il nostro paese – dopo Stati Uniti, Russia e Francia – come il quarto fornitore mondiale dei Paesi in via di sviluppo con uno share del 5,3% sul totale di forniture a questi paesi.

Tra le zone del Sud del mondo, la quota maggiore di esportazioni di armi italiane nel quadriennio 2006-9 è ricoperta da una delle aree di maggior tensione del pianeta, il Medio Oriente: nel quadriennio con i paesi di questa zona l’Italia ha stipulato contratti per 3,7 miliardi di dollari cioè quasi i tre quarti (il 71%) di tutti i propri contratti internazionali.

Va infine segnalato che i dati del Rapporto al Congresso USA risultano comunque inferiori rispetto a quelli ufficiali presentati lo scorso marzo dalla Presidenza del Consiglio italiana: come abbiamo riportato su Unimondo, secondo la Relazione della Presidenza del Consiglio le autorizzazioni all'esportazione di armamenti rilasciate dal Governo nel 2009 alle aziende del settore ammontano a 4,9 miliardi di euro e nello stesso anno le effettive consegne di soli materiali di armamento hanno superato i 2,2 miliardi di euro. Sebbene tale disparità possa essere spiegata col fatto che le “autorizzazioni” governative italiane ricoprono un ambito più ampio dei “contratti” (agreements) presi in esame dal rapporto statunitense, anche le effettive consegne di materiali militari risultano alquanto sottodimensionate nel rapporto USA che segnala consegne italiane nel 2009 per soli 600 milioni di dollari a fronte dei 2,2 miliardi di euro riportati dalla Relazione governativa italiana.

Tornando all'ambito europeo, risultano in crescita anchei contratti del Regno Unito che – dopo aver toccato nel 2008 la cifra più bassa mai registrata – nel 2009 si attestano sui 1,5 miliardi di dollari. Le commesse stipulate dalle industrie britanniche risultano fortemente altalenanti: si passa infatti dai 988 milioni di dollari del 2002 agli oltre 10,3 miliardi di dollari del 2007 ai 205 milioni di dollari del 2008. Nel quadriennio 2006-9, con contratti per quasi 16,6 miliardi di dollari il Regno Unito si conferma comunque il quarto esportatore mondiale di armamenti convenzionali.

Se i quattro principali produttori europei di armamenti nel loro insieme mantengono pressoché invariata al 23% la propria percentuale sulle esportazioni militari mondiali nei due quadrienni esaminati dal rapporto, ciò che incrementa considerevolmente nell’ultimo biennio è invece l’ammontare di esportazioni verso i Paesi in via di sviluppo: si passa, infatti, dai meno di 7 miliardi di dollari del 2008 che ricoprivano il 14% del totale mondiale verso questi paesi agli oltre 10,6 miliardi di dollari del 2009 che rappresentano il 24% dello share internazionale. Un chiaro segnale che - come evidenzia il rapporto - “i quattro maggiori fornitori europei di armamenti hanno rafforzato la propria posizione competitiva nell’esportazione di sistemi militari attraverso un forte sostegno governativo (government marketing support) alle vendite di armamenti”. Un sostegno che - come si evince dal rapporto - ha contribuito a far sì che “i quattro maggiori fornitori europei di armamenti hanno stipulato contratti con vari Paesi in via di sviluppo sottraendoli agli Stati Uniti”.

giorgio.beretta@unimondo.org


ALTRI LINK
disarmo.org
archiviodisarmo.it