martedì 30 settembre 2008

Bombardieri italiani nella missione afghana


Bombardieri italiani nella missione afghana

di Tommaso Di Francesco e Manlio Dinucci *


Il governo invia quattro caccia nel paese centro-asiatico in guerra. «Solo per missioni di osservazione», dice il ministro della difesa Ignazio La Russa. Ma gli aerei vengono da Ghedi sono per definizione destinati all'attacco, sia con armi convenzionali che nucleari
Sarà il 6° Stormo di stanza a Ghedi (Bs) a inviare in Afghanistan i quattro cacciabombardieri Tornado: lo comunica l'aeronautica, precisando che si tratta della versione Ids (Interdiction and strike) del Tornado, «in grado di svolgere missioni di attacco e di ricognizione». Sono dotati del nuovo sistema Reccelite, per «l'acquisizione di target ( l'obiettivo da colpire ) completamente automatizzata». Ma gli aerei, come ha spiegato il ministro della difesa Ignazio La Russa, «serviranno non per bombardare ma per osservare». Se così fosse, perché non usare i Predator A, gli aerei teleguidati che l'aeronautica ha acquistato nel 2004 (durante il governo Berlusconi) e stanziato in Afghanistan per compiti di ricognizione? Perché non usare i quattro Predator B/Reaper, di cui la commissione difesa della Camera ha approvato l'acquisizione lo scorso febbraio (durante il governo Prodi)? I Tornado sono in grado di volare a una velocità superiore a quella del suono, lungo il profilo del terreno a pochi metri da suolo, così da penetrare in profondità nel territorio nemico prima di essere avvistati. Per questo sono destinati all'attacco, con armi sia convenzionali che nucleari. Secondo documenti ufficiali declassificati - resi pubblici nel rapporto U.S. Nuclear Weapons in Europe (febbraio 2005) dal Natural Resources Defense Council - risulta che gli Stati uniti mantengono a Ghedi 40 bombe nucleari (più 50 ad Aviano) e che al loro uso sono destinati i Tornado italiani. Quelle dislocate a Ghedi e ad Aviano sono bombe tattiche B-61 in tre versioni, la cui potenza va da 45 a 170 kiloton (13 volte maggiore di quella della bomba di Hiroshima). Le bombe sono tenute in speciali hangar insieme ai caccia pronti per l'attacco nucleare: F-15 e F-16 statunitensi ad Aviano e i Tornado italiani a Ghedi. La pericolosità di questo arsenale nucleare in Italia consiste nel fatto che il nostro paese viene ad essere agganciato alla strategia nucleare statunitense. Al Pentagono sono in fase di realizzazione armi di nuovo tipo, tra cui bombe nucleari in grado di penetrare nel terreno e distruggere i bunker dei centri di comando, così da «decapitare» il paese nemico con un first strike , un attacco nucleare di sorpresa. La B-61, il tipo di bomba nucleare depositato in Italia, è stata modificata per trasformarla in bomba nucleare penetrante: alla famiglia delle B-61 si è così aggiunta la B61-11 che, secondo i test, può penetrare nel terreno così da creare, con l'esplosione nucleare, un'onda d'urto capace di distruggere obiettivi sotterranei. È quindi probabile che, tra le bombe nucleari depositate a Ghedi e Aviano, vi siano anche B61-11, pronte per l'uso. In tal modo l'Italia viola il Trattato di non-proliferazione delle armi nucleari che, all'articolo 2, stabilisce: «Ciascuno degli Stati militarmente non-nucleari, si impegna a non ricevere da chicchessia armi nucleari o altri congegni nucleari esplosivi, né il controllo su tali armi e congegni esplosivi, direttamente o indirettamente». Ciò è stato confermato il 19 giugno 2008 dalla Federazione degli scienziati americani: nel quadro delle armi nucleari Usa in Europa 2008, si legge che le bombe nucleari, custodite a Ghedi dal 704 Munss statunitense, saranno trasportate in caso di guerra dai «Tornado italiani del 6° Stormo». Gli stessi che il governo Berlusconi invia in Afghanistan: anche senza armi nucleari, essi costituiscono la punta di lancia della nostra aviazione da attacco. Preoccupati, i ministri ombra Pd della difesa e degli esteri, Roberta Pinotti e Piero Fassino, hanno chiesto al governo: «In quale scenario e in quale contesto si colloca l'invio dei Tornado in Afghanistan? Si presuppone un cambio di strategia nella missione? E in questo caso con quali obiettivi e quali impegni per le nostre forze armate?». In attesa della risposta del governo Berlusconi, possiamo dire qualcosa noi. Lo scenario della guerra e della conseguente strage di civili in Afghanistan è lo stesso di quando, nel 2006, il governo Prodi decise la spesa annua di 1 miliardo di euro nel 2007, 2008 e 2009, per finanziare la partecipazione italiana alla missione in Afghanistan e alle altre «missioni internazionali di pace». Resta la stessa la strategia e di conseguenza restano immutati gli impegni delle nostre forze armate, da quando nell'agosto 2003 la Nato ha assunto con un colpo di mano «il ruolo di leadership dell'Isaf, forza con mandato Onu» (senza che in quel momento vi fosse una decisione del Consiglio di sicurezza, che solo dopo ha preso atto del fatto compiuto). Da allora, il quartier generale Isaf è stato inserito nella catena di comando Nato e, di conseguenza, in quella del Pentagono, che mira al controllo dell'Afghanistan: zona di primaria importanza per la sua posizione geostrategica rispetto a Russia e Cina, e per il controllo dei corridoi energetici del Caspio. Il contingente italiano in Afghanistan è inserito nella catena di comando che fa capo al generale Usa David D. McKiernan, già comandante delle forze terrestri che nel 2003 attaccarono e invasero l'Iraq, il quale nel giugno 2008 ha assunto il comando Isaf, prima ricoperto da un altro generale Usa. Il gen. McKiernan, che comanda allo stesso tempo le forze Usa in Afghanistan nel quadro dell'operazione Enduring Freedom, ha posto in chiaro il 16 settembre che gli alleati devono inviare in Afghanistan maggiori forze e rinunciare ai vincoli sul loro uso. Sarà il gen. McKiernan, col suo stato maggiore, a decidere l'impiego dei Tornado italiani, nel quadro della crescente guerra aerea condotta dagli Usa in Afghanistan. Come documenta il Comando centrale, ogni giorno i cacciabombardieri statunitensi e alleati effettuano, in media, circa 80 «missioni di appoggio aereo ravvicinato alle truppe Isaf in Afghanistan». Dalla sola portaerei Lincoln, stazionata nel Golfo, ne sono state compiute 7.100 da aprile ad agosto. A questi aerei si uniranno i Tornado italiani, «non per bombardare ma per osservare».



* Da Il Manifesto del 30 settembre

lunedì 29 settembre 2008

Dichiarazione finale della Assemblea dei movimenti sociali – Forum sociale europeo



2009: Per cambiare l’Europa
Dichiarazione finale della Assemblea dei movimenti sociali – Forum sociale europeo, Malmoe 21 settembre 2008
A livello europeo assistiamo ad un fronte liberista e antisociale in tutti I campi: crisi finanziaria ed economica, aumenti dei prezzi, crisi alimentare, privatizzazione e disgregazione dei servizi pubblici, movimenti contro riforme del lavoro, decisioni della Corte europea di giustizia, smantellamento di una politica agricola comune, rafforzamento della fortezza europa contro I migranti, indebolimento dei diritti democratici e civili e crescente repressione, accordi di cooperazione economica, interventi militari nei conflitti esterni, basi militari…e tutto questo in un mondo dove le disuguaglianze, la povertà e la guerra globale e permanente crescono giorno per giorno. In questo contesto di crisi globale vogliamo riaffermare che esistono alternative per la giustizia globale, la pace, la democrazia e l’ambiente.
Noi, movimenti sociali riuniti a Malmo, ci impegnamo in una agenda commune per condurre la lotta per “un’altra Europa”, un’Europa basata sui diritti delle persone.
1/sulle questioni sociali :
Lanciamo immediatamente una CAMPAGNA EUROPEA COMUNE contro le politiche sociali e del lavoro della UE, in primo luogo per opporci specificamente alla direttiva UE sul l’orario di lavoro e le decisioni UE sul lavoro migrante.
Questa campagna ha diverse tappe (compreso il 6 dicembre a Parigi ) ed include l’obiettivo di una grande mobilitazione a livello europeo il prima possibile
Un secondo passo è quello di costruire un’ampia, inclusiva e strategica conferenza-controvertice di tutti i movimenti sociali a Bruxelles, in marzo.
2/contro la NATO e la guerra: invitiamo ad una grande manifestazione il 4 aprile 2009 a Strasburgo/Kiel, centro delle celebrazioni del 60° della Nato, per dire “stop NATO” e dissolvere questo terrificante strumento di guerra. Nello stesso giorno chiamiamo a manifestare in tutta Europa. Proponiamo al Forum sociale mondiale che si terrà a Belem di proclamare il 4 aprile giornata di mobilitazione internazionale contro la NATO.
3/ contro la crisi climatica, chiamiamo ad una giornata globale di azione sul clima il 6 dicembre, a Poznan, e in tutta Europa, durante il vertice sul clima che si terrà in quella città. Chiamiamo ad una grande mobilitazione internazionale il prossimo anno in occasione degli incontri di Copenaghen sul clima, dicembre 2009.
4/ contro il G8: A luglio 2009, I movimenti sociali della Sardegna e di tutta Italia inviteranno tutti I movimenti a venire in Sardegna dove si terrà il G8, nell’isola La Maddalena, per protestare contro le politiche del G8 e presentare le nostre alternative per la giustizia globale, la pace, la democrazia e l’ambiente.







lunedì 15 settembre 2008

BAMBINI SOLDATO: NUMERI E LUOGHI


Accanto alla progressiva violazione delle più elelmentari leggi di guerra, c'è un elemento nuovo e inquietante. Oggi l'esclusione dei bambini dalla guerra - che è sempre avvenuta in ogni cultura tradizionale- non è più un imperativo: molti bambini sono anche esecutori di atrocità belliche. I bambini sono impiegati come combattenti in oltre ¾ dei conflitti armati del mondo. Non si tratta di giovani adolescenti ma di bambini di 6 anni.

Il reclutamento e l’utilizzo di bambini soldato sono una delle più pesanti violazioni delle norme che regolano i diritti umani nel mondo.
L’Africa è spesso considerata l’epicentro del fenomeno dei bambini soldato: qui sembra esserci un legame quasi endemico tra bambini e guerra.

La Sierra Leone è spesso al centro del dibattito sui bambini soldato, perché in 10 anni di guerra civile, i bambini in combattimento hanno avuto un ruolo di primo piano.
In Angola il 36 % dei bambini ha prestato servizio come soldato o ha seguito le truppe in combattimento.
Le Nazioni Unite stimano che nella guerra in Liberia abbiano combattutto approssimativamente ventimila bambini, circa il 70 % dei soldati attivi nelle varie fazioni.
LRA, Esercito di Resistenza del Signore, è famigerato per essere costituito al 100% da bambini soldato. L’LRA ha rapito oltre 15 mila bambini per farne dei soldati e ha nelle proprie file il combattente armato più giovane al mondo: un bambino di 5 anni. Anche il Sudan fa uso massiccio di bambini soldato.
Le stime parlano di almeno 100 mila bambini, che prestano servizio su entrambi i fronti di una guerra civile che dura da 20 anni. I bambini di stada sono il bersaglio privilegiato del reclutamento.
Nella provincia di Wahda il 22% della popolazione scolstica tra i 6 e 14 anni è stato reclutato dall’esercito sudanese o nelle milizie filo governative. Il sodato più giovane ha 9 anni.

Il Medio Oriente è un’altra area dove i bambini sono diventati parte integrante del conflitto. I bambini sono coinvolti in combattimenti di Algeria, Azerbaijan, Egitto, Iran, Iraq, Libano, Tagikistan, Yemen. I bambini al di sotto di 15 anni qui prestano servizio all’interno di gruppi islamici radicali.
Gli adolescenti sono al centro al conflitto anche in Palestina e costituiscono il 70% dei partecipanti all’Intifada.


In America, a partire dagli anni novanta, i bambini soldato sono stati impiegati in Colombia, Equador, El Slavador, Guatemala, Messico (Chapas), Nicaragua, Paraguay e Perù.
La pratica dei bambini soldato è diffusissima anche in Asia: in Cambogia, Timor Est, India, Indonesia, Laos, Myanmar, Nepal, Pakistan, Nuova Guinea, Filippine, Sri Lanka.
Solo nel Myanmar si stima ci siano più di 75 mila bambini soldato - uno dei numeri più alti del mondo! - attivi sia nell’esercito statale sia nei gruppi etnici armati che si oppongono al regime.
L’80 % dei conflitti cui prendono parte dei bambini vedono nelle proprie file combattenti sotto i 15 anni.

Le condizioni in cui si trovano molti bambini del mondo sono disperate,la globalizzazione ha escluso molti e disgregato tradizioni e società tradizionali. Quasi ¼ della popolazione giovanile mondiale vive con meno di un dollaro al giorno.

Almeno 250 milioni di bambini vive per strada. I bambini disperati ed esclusi costituiscono un’enorme riserva per l’economia illegale, il crimine organizzato i conflitti armati. La stra grande maggioranza dei bambini soldato viene dai settori più miserabili, meno acculturati e più emarginati della società. I bambini reclutati a forza provengono abitualmente da alcuni gruppi a rischio: bambini di strada, bambini delle campagne, rifugiati e altri esuli. Chi sceglie di arruolarsi spontaneamente proviene spesso dagli stessi gruppi, spinto dalla povertà, dall’alienazione e dalla propaganda.

Le condizioni strutturali che si accompagnano ai conflitti armati possono costringere i bambini ad arruolarsi anche ai fini della difesa personale.
Circondati dalla violenza, si sentono più al sicuro in un gruppo combattente e con un’arma in mano. In Africa per esempio, l’80% dei bambini soldato ha assistito a un’azione armata intorno alla porpria casa, il 70% ha visto distruggere la propria abitazione, il 60% ha perso la propria famiglia in guerra.


Molti bambini hanno fatto esperienza diretta o sono stati testimoni oculari delle peggiori violenze: massacri, esecuzioni sommarie, torture, violenza sessuale.
La vendetta perciò è uno stimolo abbastanza forte per unirsi alla lotta. Spesso i bambini soldato sono sopravvissuti al massacro della loro stessa famiglia.


“ Mi sono arruolato nell’esercito quando avevo 14 anni, perché ero convinto che il solo modo di riavere i miei genitori o di impedire che le cose andassero avanti in quel modo fosse far parte dell’esercito dell’esercito e ammazzare chi era responsabile dell’uccisione dei miei genitori.
Ma, vedi, la cosa più inquietante è che, una volta che mi sono arruolato e ho cominciato a combattere, mi sono ritorvato ad ammazzare genitori di altri bambini e dunque a creare una spirale di vendetta… I. 14 anni

Un fenomeno che coinvolge anche le bambine

Il problema dei bambini soldato scavalca i confini di genere.
Benchè la maggior parte dei bambini soldato sono maschi, anche le ragazze rappresentano un numero significativo.
Circa il 30 % delle forze armate mondiali che impiegano bambini soldato hanno nelle proprie file delle bambine.

“ Avevo un’amica, Juanita, che si era messa nei guai… Eravamo amiche da prima di entrare nell’esercito e dividevamo la stessa tenda. Il comandante mi ha detto che non importava se era mia amica. Aveva commesso un errore e bisognava ammazzarla.. .Ho chiuso gli occhi e ho fatto fuoco, ma non l’ho colpita. Così ho sparato un’altra volta. La fosa era lì accanto. Ho dovuto seppellirla e ricoprirla di terra. I comandante ha detto. “ Ottimo lavoro. Anche se ti sei messa a piangere hai fatto un ottimo lavoro. Lo dovrai fare tatne altre colte, e dovrai imparare a non piangere”.
A.17 anni,“ Corpo Ausiliario Femminile” del gruppo ribelle LURD, Liberia

http://www.sositalia.it/Sos-Informa/Focus/Focus-Bambini-Soldato/Pages/Bambini-Soldato-Numeri-E-Luoghi.aspx

sabato 13 settembre 2008

Dichiarazione di Le Feyt: la pace in Iraq è possibile


Noi sottoscritti amici dell’Iraq in Francia, Belgio, Regno Unito, Italia, Spagna, Portogallo, Stati Uniti d’America, Egitto, Svezia e Iraq ci siamo organizzati nella Rete Internazionale Anti-Occupazione, International Anti-Occupation Network (IAON) e dal 25 al 27 agosto 2008 ci siamo riuniti a Le Feyt, in Francia, dove abbiamo adottato la seguente posizione e dichiarazione che riflette il nostro impegno per una vera cessazione dell’occupazione e per una pace sostenibile e duratura in Iraq.



L’occupazione statunitense dell’Iraq è illegittima e non può essere resa legale. Tutto ciò che è derivato dall’occupazione è illegale e illegittimo e non può essere legittimato. Questi fatti sono incontrovertibili. Cosa ne consegue?

La pace, la stabilità e la democrazia in Iraq sono impossibili sotto l’occupazione. L’occupazione straniera si oppone per natura agli interessi del popolo occupato, come dimostrano i sei milioni di iracheni sfollati sia all’interno del paese che all’estero, gli assassini premeditati di accademici e professionisti iracheni e la distruzione della loro cultura, nonché più di un milione di morti.

La propaganda a Occidente cerca di rendere accettabile l’assurdità che l’invasore e il distruttore dell’Iraq possa anche svolgere il ruolo di suo protettore. I comodi timori di un “vuoto di sicurezza” – usati per perpetuare l’occupazione – ignorano il fatto che l’esercito iracheno non ha mai capitolato e costituisce la spina dorsale della resistenza armata irachena. Quella spina dorsale è impegnata esclusivamente a difendere il popolo iracheno e la sovranità dell’Iraq. Analogamente, le previsioni di una guerra civile ignorano il fatto che la popolazione irachena respinge in massa, per numero e per interesse, l’occupazione e continuerà a farlo.

In Iraq il popolo iracheno resiste all’occupazione con tutti i mezzi, in conformità con la legge internazionale1. Solo alla resistenza popolare può essere riconosciuto il ruolo di espressione e di difesa degli interessi e della volontà del popolo iracheno. Finora gli Stati Uniti hanno ingnorato questa realtà, e sperano che un’intensificazione delle azioni diplomatiche, dopo l’intensificazione delle azioni militari che ha efficacemente prodotto una pulizia etnica, possa salvaguardare un governo imposto al paese con la forza. Indipendentemente da chi vincerà le prossime elezioni presidenziali americane, gli Stati Uniti non potranno mai conseguire i loro obiettivi imperiali e le forze che impongono all’Iraq sono contrarie all’interesse del popolo iracheno.

Alcuni a Occidente continuano a giustificare la negazione della sovranità popolare etichettandola come “guerra al terrore”, criminalizzando non solo la resistenza2 ma anche l’assistenza umanitaria a un popolo assediato. In base al diritto internazionale la resistenza irachena costituisce un movimento di liberazione nazionale. Il riconoscimento della resistenza irachena è dunque un diritto, non un’opzione3. La comunità internazionale ha il diritto di ritirare il riconoscimento del governo iracheno imposto dagli Stati Uniti e di riconoscere la resistenza irachena.

È evidente che l’Iraq non potrà ritrovare la stabilità, l’unità e l’integrità territoriale perdute finché non sarà garantita la sua sovranità. È anche evidente che l’occupazione statunitense non può sfuggire alle proprie responsabilità tentando di addossare la colpa ai vicini dell’Iraq. Un patto di non-aggressione, sviluppo e cooperazione tra un Iraq liberato e i suoi vicini prossimi è l’ovvio mezzo con cui conseguire questa stabilità4. Grazie alla sua posizione geopolitica e alle sue risorse naturali, un Iraq libero, democratico e pacifico è fondamentale per il benessere e lo sviluppo dei suoi vicini. Tutti i vicini dell’Iraq dovrebbero riconoscere che la stabilità dell’Iraq è nel loro interesse, e impegnarsi a non interferire nei suoi affari interni.

Se la comunità internazionale e gli Stati Uniti sono interessati alla pace, alla stabilità e alla democrazia in Iraq devono accettare che solo la resistenza irachena – armata, civile e politica – può conseguirle salvaguardando gli interessi del popolo iracheno. La prima richiesta della resistenza irachena è il ritiro incondizionato di tutte le forze straniere che occupano illegalmente l’Iraq – comprese le società mercenarie – e la smobilitazione di tutte le forze armate insediate dall’occupazione.

Il movimento contro l’occupazione dell’Iraq – in tutte le sue espressioni – a difesa del popolo iracheno è la sola forza in grado di assicurare la democrazia in Iraq. Nell’ambito di questo movimento è stato concordato che al momento del ritiro statunitense venga formato un governo temporaneo con due incarichi precisi: preparare il terreno per elezioni democratiche e ricostruire l’esercito nazionale. Al completamento di questi compiti il governo temporaneo verrà sciolto lasciando le decisioni sui risarcimenti di guerra, lo sviluppo e la ricostruzione a un governo iracheno sovrano e democraticamente eletto in uno Stato composto da tutti i suoi cittadini senza discriminazioni religiose, etniche, confessionali o sessuali.

Tutte le leggi, i contratti, i trattati e gli accordi firmati sotto occupazione sono nulli. In base al diritto internazionale e alla volontà del popolo iracheno, la sovranità totale del petrolio iracheno e di tutte le risorse naturali, culturali e materiali spetta al popolo iracheno e a tutte le sue generazioni passate, presenti e future. Nell’ambito del movimento contro l’occupazione dell’Iraq tutti concordano che l’Iraq debba vendere il proprio petrolio sul mercato internazionale a tutti gli Stati che non siano in guerra con l’Iraq e in linea con gli obblighi dell’Iraq in quanto membro dell’OPEC.

L’invasione statunitense del 2003 è stata e rimane illegale e le norme internazionali sulla responsabilità degli Stati esigono che gli Stati rifiutino di riconoscere le conseguenze di azioni di Stato illegali5. La responsabilità degli Stati comprende anche il dovere di compensare i danni. Le compensazioni dovrebbero essere pagate da tutti le figure statali e non statali che hanno tratto profitto dalla distruzione e dal saccheggio dell’Iraq.

Il popolo iracheno vuole una pace a lungo termine. Sulla base delle conclusioni di Istanbul del 2005 del Tribunale Mondiale sull’Iraq6 e in riconoscimento dell’enorme sofferenza del popolo iracheno aggredito, i firmatari di questa dichiarazione appoggiano i succitati principi di pace, stabilità e democrazia in Iraq.

La sovranità dell’Iraq è nelle mani del suo popolo impegnato nella resistenza. La pace in Iraq è di facile ottenimento: ritiro incondizionato degli Stati Uniti e riconoscimento della resistenza irachena che per definizione rappresenta la volontà del popolo iracheno.

Facciamo appello a tutte le persone del mondo che amano la pace perché si impegnino a sostenere il popolo iracheno e la sua resistenza. Il futuro della pace, della democrazia e del progresso in Iraq, nella regione e nel mondo dipende da questo.

Membri della Rete Internazionale Ant-Occupazione:7

Abdul Ilah Albayaty, membro del Comitato Esecutivo del Tribunale di Bruxelles, Francia – Iraq
Hana Al Bayaty, Coordinatore dell’“Iniziativa Internazionale Irachena per i Rifugiati”:http://www.3iii.org, Francia – Egitto
Dirk Adriaensens, membro del Comitato Esecutivo del Tribunale di Bruxelles, Belgio
John Catalinotto, International Action Center, USA
Ian Douglas, Coordinatore dell’“Iniziativa Internazionale per Perseguire il Genocidio degli Stati Uniti in Iraq”:http://www.USgenocide.org, UK – Egitto
Max Fuller, Autore di For Iraq, the Salvador Option Become Reality e Crying Wolf, death squads in Iraq, UK
Paola Manduca, Scienziata, New Weapons Committee, Italia
Sigyn Meder, membro dell’“Associazione per la Solidarietà all’Iraq di Stoccolma”:http://www.iraksolidaritet.se, Svezia
Cristina Meneses, membro della sessione portoghese del Tribunale Mondiale sull’Iraq, Portogallo
Mike Powers, membro dell’“Associazione per la Solidarietà all’Iraq di Stoccolma”:http://www.iraksolidaritet.se, Svezia
Manuel Raposo, membro della sessione portoghese del Tribunale Mondiale sull’Iraq, Portogallo
Manuel Talens, scrittore, membro di Cubadebate, Rebelión e Tlaxcala, Spagna
Paloma Valverde, membro della Campagna Spagnola Contro l’Occupazione e per la Sovranità dell’Iraq (CEOSI), Spagna.

27 agosto 2008

Le Feyt, Francia

International figures who join us in our commitment to a true end to the occupation and to a lasting, sustainable peace in Iraq

Ramsey Clark, former U.S. Attorney General, international human rights activist, founder of the International Action Center – USA
Admiral Vishnu Bhagwat, former Chief of Naval Staff — India
Cynthia McKinney, Green Party US Presidential CandidateUSA
Denis Halliday, Former UN Assistant Secretary General & United Nations Humanitarian Coordinator for Iraq 1997-98 – Ireland
Hans von Sponeck, Former UN Assistant Secretary General & United Nations Humanitarian Coordinator for Iraq 1998-2000 – Germany
François Houtart, Director of the Tricontinental Center (Cetri), spiritual father and member of the International Committee of the World Social Forum of Porto Alegre, Executive Secretary of the Alternative World Forum, President of the International League for rights and liberation of people and president of the BRussells Tribunal – Belgium
Socorro Gomes, Chairwoman of WPC – World Peace Council and of Cebrapaz – Brazilian Center of Solidarity with Peoples and Struggle for Peace – Brazil
José Francisco Gallardo Rodríguez, General Major and PhD. in Public Administration – Mexico
Manik Mukherjee, Deputy, International Affairs, Socialist Unity Center of India, General Secretary, International Anti-imperialist and People’s Solidarity Coordinating Committee – India
Eduardo Galeano, Essayist, journalist, historian, and activist – Uruguay
Harold Pinter, Author, Nobel Prize in Literature 2005 – UK
James Petras, Author – USA
Jan Myrdal, Author – Sweden
Michael Parenti, Author – USA
Peter Curman, Author – Sweden
Rosa Regàs, Author – Spain
Santiago Alba Rico, Author, philosopher, member of Rebelion, Spain – Tunisia
William Blum, Author, USA
Issam Chalabi, former Iraqi Oil Minister, Iraq/Jordan
Dr. Omar Al Kubaisy, senior iraqi cardiologist, anti occupation politician and activist on iraq health & medical situation
Dr. Saeed H. Hasan, Former Iraqi Permanent Representative to the United Nations – Iraq
Dr. Saadallah Al-Fathi, former head of the Energy Studies Department at OPEC – Iraq
Salah Omar Al Ali, ex iraqi minister/ex Iraq’s ambassador to UN
Faruq Ziada, Former Iraqi Ambassador
Majid Al Samarai, former Iraqi ambassador
Wajdi A. Mardan, writer and Iraqi Diplomat
Naji Haraj, former Iraqi diplomat, human rights activist
Ridha Al Ridha, President of Iraqi Ja’fari shiits association: Al Ja’faria
Hassan T. Walli Aydinli, President of the Committee for the Defence of the Iraqi Turkmens’ Rights – Belgium-Iraq
Saif Al din Al Douri, Iraqi writer and researcher
Sabah Al-Mukhtar, President of the Arab Lawyers Association – Iraq / UK
Mohammed Younis Alobaidi, Oil Expert, Petroleum Consultancy Group (PCG) Board Member
Prof. Dr. Zuhair Al Sharook, Former President of Mosul University, Iraq
Dr. Abdul Razaq M. Al Dulaimi, Dean of college of communication in Baghdad before the invasion
“Hana Ibrahim”, Chair of Women’s Will Organisation – Iraq
Mohammed Aref, Science writer – Iraq / UK
Muhamad Tareq Al-Deraji, Director of Monitoring net of human rights in Iraq – President of CCERF – Fallujah
Dr. Mousa Al-Hussaini, Iraqi Writer
Buthaina al Nasiri, author and activist, iraq-egypt
Dr. Souad Naji Al-Azzawi, Asst. Prof. Env. Eng. – University of Baghdad – Iraq
Mundher Al-Adhami, Research Fellow at Kings College London – Iraq / UK
Nermeen Al-Mufti, Former co-director of Occupation Watch – Journalist – Iraq
Salam Musafir, Iraqi author and journalist based in Russia
Wafaa’ Al-Natheema, independent journalist, activist, founder of the Institute of Near Eastern & African Studies (INEAS), filmmaker, author of “Untamed Nostalgia – Wild Poems”
Hisham Bustani, Writer and Activist, Secretary – Socialist Thought Forum, Jordan
Nada Kassass, activist, Egypt
Arab Lotfy, artist and activist, Resistance Alliance, Lebanon- Egypt
Dr Sahera Al Abta, Academic,Doctor in biology,Faculty of Sience,Iraq/Amman
Sabah Al-Khozai, Academic & Politician
Yihia Abu Safi, searcher and activist, committies RIGHT TO RETURN palestinian, member of Resistance Alliance-Cairo
Dr. Mahmoud Khalid Almsafir, Ass. Prof. International Economics, Kuala Lumpur, Malaysia
Ghali Hassan, Independent writer living in Syndey, Australia
Yasar Mohammed Salman Hasan, computer science and business management – UK
Abdul Wahab Hamid Rashid, Iraq/Sweden
Asma Darwish Al-Haidari, Economist and Activist – Amman
Dr. Curtis F.J. Doebbler, International Human Rights Lawyer – USA
Karen Parker, Attorney , Association of Humanitarian Lawyers, partners of the BRussells Tribunal – USA
Niloufer Bhagwat, Vice President of Indian Lawyers Association – Mumbai / India
Amy Bartholomew, Law professor – Canada
Jennifer Van Bergen, journalist, author writing about civil liberties, human rights and international law, law lecturer at the Anglo-American University in Prague
Ana Esther Ceceña, Researcher/professor in geopolitics, National Autonomous University of México, Director of the Geopolitics Latinamerican Observatory – Mexico
Ángel Guerra Cabrera, journalist and professor – Cuba
April Hurley, MD, Iraq Peace Team, Baghdad 2003 – California, USA
Azildin Bin Hussain Al Qutamil, Arab Avant Guard-blog – Tunis
Dr. Bert De Belder, Coordinator Intal & Medical Aid For The Third World – Belgium
Carlos Fazio, journalist and academic – Mexico
Carlos Taibo, professor of Political Sciences, Madrid Autonomous University – Spain
Carmen Bohorquez, philosopher, Coordinator of the network of networks In Defense of Humanity – Venezuela
Dr. Chandra Muzaffar, President of JUST International – Malaysia
Claudio Moffa, Professor of History – Italy
Corinne Kumar, Secretary General of El Taller International – Tunesia / India
Dahr Jamail, independent journalist, author: Beyond the Green Zone: Dispatches from an Unembedded Journalist in Occupied Iraq – USA
David Miller, Professor of Sociology at Strathclyde University, co-founder of Spinwatch – UK
Dirk Tuypens, Actor – Belgium
Elias Davidsson, composer, international law scholar and activist for 9/11 truth – Germany
Eric Goeman, coordinator ATTAC – Belgium
Fausto Giudice, Writer, translator, activist, member of Tlaxcala – Italy/France
Felicity Arbuthnot, Journalist – UK
Frank Vercruyssen, Actor, TG Stan – Belgium
Dr. Gideon Polya, scientist, author of Body Count, Global avoidable mortality since 1950, Australia
Gie van den Berghe, professor University of Ghent – Belgium
Gilad Atzmon, Musician, writer, pro-Palestinian activist – UK
Gilberto López y Rivas, anthropologist – Mexico
Prof. Hedvig Ekerwald, Dept of Sociology, Uppsala University – Sweden
Prof. Em. Herman De Ley, Em. Prof. Ghent University, Ex-director of Centre for Islam in Europe – Belgium
Isaac Rosa, Writer – Spain
James E. Jennings, PH.D., President , Conscience International, Inc., a humanitarian aid and human rights organization working primarily in the Middle East; and Executive Director, US Academics for Peace, a group of university professors dedicated to dialogue among civilizations – USA
Jean Pestieau, Professor Emeritus, Catholic Univercity of Louvain (UCL), Belgium
Joachim Guilliard, Journalist, Anti-war movement – Germany
John Saxe-Fernández, Professor of political science, National Autonomous University – México
Jos Hennes, Publisher EPO – Edition House – Belgium
José Reinaldo Carvalho, Journalist, politologue, Relations Internationales, Cebrapaz – Centre Brésilien Pour la Solidarité avec les Peuples et la Lutte pour la Paix – Brazil
Kris Smet, Former Journalist – Belgium
Larry Holmes, Troops Out Now Coalition – USA
LeiLani Dowell, Fight Imperialism, Stand Together – USA
Prof. Dr. Lieven De Cauter, philosopher, K.U. Leuven / Rits, initiator of the BRussells Tribunal – Belgium
Lolo Rico, screenwriter – Spain
Ludo De brabander, Vrede, Peace Organisation – Belgium
Luz Gomez Garcia, Lecturer. Universidad Autonoma de Madrid – Spain
Manlio Dinucci, journalist Il Manifesto – Italy
Marc Vandepitte, philosopher – Belgium
Maria McGavigan, Institute for Marxist Studies, Brussels
Dr Mario Novelli, Lecturer in International Development, University of Amsterdam, Netherlands
Maruja Torres, writer and journalist – Spain
Mary Rizzo, Writer, translator, pro-Palestinian activist, member of Tlaxcala – USA/Italy
Mathias Cederholm, historian University of Lund, member in the Iraq Committe in Malmö, Sweden
Merry Fitzgerald, Europe-Turkmens of Iraq Friendships – Belgium
Michel Chossudovsky, economics professor and director, Centre for Research on Globalization (CRG) – Canada
Michel Collon, author, journalist – Belgium
Miguel Álvarez Gándara, member of SERAPAZ – Mexico
Mohamed Larbi Benotmane, law professor, Mohamed V University (Rabat).
Dr. Nayar López Castellanos, National Autonomous University of México – Mexico
Pascual Serrano, journalist, member of Rebelion – Spain
Paul Vanden Bavière, Former journalist De Standaard, publicist and editor of webzine Uitpers – Belgium
Pedro Monzón, Professor, Coordinator of the Cuban Chapter In Defense of Humanity – Cuba
Dr. Pol De Vos, Public Health Researcher – Peace movement, Belgium
René Naba, journalist, writer – France
Robin Eastman-Abaya, physician and human rights activist – USA
Prof. Rudi Laermans, sociologist, Catholic University of Leuven – Belgium
Sara Flounders, co-director of the International Action Center
Sarah Meyer, Independent researcher living in Sussex – UK
Saul Landau, scholar, author, commentator, and filmmaker on foreign and domestic policy issues, fellow of the Institute for Policy Studies – USA.
Sköld Peter Matthis, ophthalmologist – Sweden
Stephan Galon, ABVV Trade-Union Secretary / Permanent Syndical Centrale Générale FGTB – Belgium
Stéphane Lathion, swiss scholar (Fribourg University) – President of the GRIS (Research Group on Islam in Switzerland).
Stephen Eric Bronner, Professor of political science, Rutgers University – USA
Stevan Kirschbaum, Chair Grievance Committee United Steel Workers 8751 – USA
Steve Gillis, Vice President, United Steel Workers Local 8751 – USA
Teresa Gutierrez, May 1st Coalition for Immigrant and Worker Rights Co-Coordinator and Deputy Secretary General International Migrant Alliance (organizations for ID only) – USA
Dr. Thomas M. Fasy, MD PhD, Clinical Associate Professor, Mount Sinai School of Medicine – USA
Víctor Flores Olea, writer and political scientist – Mexico

Endorsing Organisations

All India Anti-imperialist Forum – India
BRussells Tribunal – Belgium
CEOSI – Spain
Conscience InternationalUSA
El Taller International – Tunesia
INTAL – Belgium
International Action CenterUSA
International Anti-imperialist and People’s Solidarity Coordinating Committee
The Iraq Solidarity Association in Stockholm (IrakSolidaritet) – Sweden
Medical Aid For The Third World – Belgium
Muslim Peacemaker Teams – Iraq
Palestine Think Tank (Free Minds for a Free Palestine)
Tlaxcala, The Translators’ (Global) Network for Linguistic Diversity
US Academics for PeaceUSA
World Courts of Women

We encourage the international peace movement, civil society and politicians to follow their example

Note

1 Il diritto all’autodeterminazione, all’indipendenza nazionale, all’integrità territoriale, all’unità e alla sovranità nazionale senza interferenze esterne è stata affermato molte volte da vari organi delle Nazioni Unite, compreso il Consiglio di Sicurezza, l’Assemblea Generale e la Commissione per i Diritti Umani delle Nazioni Unite, la Commissione del Diritto Internazionale e il Tribunale Internazionale. Il principio dell’autodeterminazione prevede che ove questo diritto venga soffocato con l’uso della forza si possa ricorrere all’uso della forza per contrastare questa azione e conseguire l’autodeterminazione.

La Commissione per i Diritti Umani ha ripetutamente riaffermato la legittimità della lotta contro l’occupazione con tutti i mezzi disponibili, compresa la lotta armata (Risoluzione della Commissione per i Diritti Umani N. 3 XXXV, 21 febbraio 1979 e Risoluzione della Commissione per i Diritti Umani N. 1989/19, 6 marzo 1989). Esplicitamente, la Risoluzione dell’Assemblea Generale 37/43, adottata il 3 dicembre 1982 “Riafferma la legittimità della lotta dei popoli per l’indipendenza, l’integrità territoriale, l’unità nazionale e la liberazione dalla dominazione coloniale e straniera e dall’occupazione straniera con tutti i mezzi disponibili, compresa la lotta armata”. (Si vedano anche le Risoluzioni dell’Assemblea Generale 1514, 3070, 3103, 3246, 3328, 3382, 3421, 3481, 31/91, 32/42 and 32/154).

2 L’Articolo 1(4) del 1° Protocollo Aggiuntivo alle Convenzioni di Ginevra del 1977 considera le lotte per l’autodeterminazione come situazioni di conflitto armato internazionale. La Dichiarazione di Ginevra sul Terrorismo afferma: “Come ripetutamente riconosciuto dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, i popoli che combattono contro la dominazione coloniale e l’occupazione straniera e contro regimi razzisti nell’esercizio del proprio diritto all’autodeterminazione hanno il diritto di usare la forza per conseguire i loro obiettivi nel contesto del diritto umanitario internazionale. Questi usi legittimi della forza non devono essere confusi con atti di terrorismo internazionale”.

3 I movimenti di liberazione nazionale sono riconosciuti come conseguenza del diritto all’autodeterminazione. Nell’esercizio del loro diritto all’autodeterminazione, i popoli sottoposti a dominazione coloniale o straniera hanno il diritto di “lottare… e chiedere e ricevere appoggio, in conformità con i principi della Carta” e con la Dichiarazione relativa ai Principi del Diritto Internazionale concernente le Relazioni Amichevoli e la Cooperazione tra gli Stati. È in questi termini che l’Articolo 7 della Definizione di Aggressione (Risoluzione dell’Assemblea Generale 3314 (XXIX) del 14 dicembre 1974) riconosce la legittimità della lotta dei popoli sottoposti a dominazione coloniale o straniera. Il riconoscimento da parte delle Nazioni Unite della legittimità della lotta dei popoli sottoposti a dominazione coloniale e straniera o a occupazione è in linea con la generale proibizione dell’uso della forza sancito dalla Carta delle Nazioni Unite poiché uno Stato che ne sottopone un altro a una dominazione coloniale o straniera con l’uso della forza commette un atto illegittimo secondo la definizione del diritto internazionale, e il popolo sottoposto alla dominazione, nell’esercizio del proprio intrinseco diritto all’autodifesa, può combattere per difendere e conseguire il proprio diritto all’autodeterminazione.

4 La Dichiarazione relativa ai Principi del Diritto Internazionale concernente le Relazioni Amichevoli e la Cooperazione tra gli Stati (Risoluzione dell’Assemblea Generale 2625 (XXV)) cita il principio secondo il quale “Ogni Stato ha il dovere di astenersi, nelle sue relazioni internazionali, dal ricorrere alla minaccia o all’uso della forza, sia contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di qualsiasi Stato, sia in qualunque altra maniera incompatibile con i fini delle Nazioni Unite ”. Singolarmente e collettivamente, l’Iraq e i i paesi vicini si impegnerebbero ad astenersi dall’uso della forza o dalla minaccia dell’uso della forza e da tutte le forme di interferenza negli affari di altri Stati. Singolarmente e collettivamente, l’Iraq e i paesi vicini si impegnerebbero anche nella cooperazione e nello sviluppo sulla base della negoziazione, dell’arbitraggio e del reciproco vantaggio.

5 L’Articolo 41(2) del Progetto di Articoli sulla Responsabilità degli Stati per Atti Internazionalmente Illeciti della Commissione per il Diritto Internazionale, che rappresenta la norma del diritto internazionale consuetudinario (adottata dalla Risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite 56/83 del 28 gennaio 2002, “Responsabilità degli Stati per Atti Internazionalmente Illeciti”), impedisce agli Stati di trarre vantaggio dai propri atti illeciti: “Nessuno Stato riconoscerà come legittima una situazione creata da una grave violazione [di un obbligo derivante da una norma perentoria del diritto internazionale]”; Sezione III, Risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite 36/103 del 14 dicembre 1962, “Dichiarazione sull’Inammissibilità dell’Intervento e dell’Interferenza negli Affari Interni degli Stati”.

6 Dichiarazione della Giuria di Coscienza del Tribunale Mondiale sull’Iraq, Istanbul, 23-27 giugno 2005.

7 L’International Anti-Occupation Network, Rete Internazionale Contro l’Occupazione, è una coalizione di gruppi solidali al popolo iracheno, in appoggio alla sovranità dell’Iraq e contro l’occupazione statunitense dell’Iraq. È stata fondata nell’aprile del 2006 al seminario internazionale sulle uccisioni mirate degli accademici e dei medici iracheni.

Si prega di diffondere questa dichiarazione

Traduzione: Tlaxcala

http://anti-occupation.org/home/dichiarazione-di-le-feyt-la-pace-in-iraq-e-possibile



giovedì 4 settembre 2008

Per capire e non dimenticare: breve storia del Kurdistan


16 gennaio 2006 - Margherita Casillo
http://www.peacelink.it/conflitti/a/14329.html

Per Kurdistan si intende un'area vasta circa 450.000kmq, abitata dalla popolazione di etnia curda, ma divisa tra Turchia, Iraq ,Siria ed Iran. La maggior parte del Kurdistan è situata all'interno dei confini turchi per un'area di circa 230.000kmq (30% del territorio turco).
È un territorio strategicamente rilevante per la ricchezza di petrolio e le risorse idriche, ma si trova in una situazione di sottosviluppo a causa dell'assenza di un'unità politico-amministrativa. Il 75% del petrolio iracheno proviene dal Kurdistan, gli unici giacimenti della Turchia ed i più importanti della Siria si trovano in Kurdistan, anche nella zona di Kermanshah, territorio iraniano ma abitato da curdi, si produce petrolio.
È il passaggio obbligato di alcune importanti vie di comunicazione, ad esempio tra le repubbliche centroasiatiche, l'Iran e la Turchia e si trova nel cuore di uno dei punti più caldi della politica mondiale. La posizione geopolitica dell'area ha condizionato molto le vicissitudini del popolo curdo, impedendone l'unità politica. Il popolo curdo discende dagli antichi medi, una popolazione di origine indo-iraniana, che dall'Asia Centrale si diresse, intorno al 614 a.C., verso i monti dell'Iran. Le forti limitazioni, imposte dall’impero ottomano all’inizio del XIX, ai privilegi ed all’autonomia degli stati curdi provocarono numerose rivolte che avevano come obiettivo l’unificazione del popolo curdo e la sua autonomia. Quando si affacciarono nel Kurdistan le potenze europee, l’area fu strumentalizzata secondo gli interessi della Gran Bretagna, della Francia, della Germania e della Russia zarista pronte ad indebolire l’impero ottomano. Con la prima Guerra Mondiale, che decretò la fine dei grandi imperi, sembrava possibile la nascita di uno stato curdo. Il trattato do Sévres, firmato il 10 agosto 1920, prevedeva che nell'Anatolia orientale sarebbero stati creati un Kurdistan autonomo, oltre che uno Stato indipendente di Armenia. Questa volta fu l'ostracismo della nascente Repubblica turca, ad impedire la formazione di uno stato curdo autonomo. Il trattato di Losanna, firmato nel 1923 da Gran Bretagna, Francia, Italia, Giappone, Grecia, Romania cancellò il trattato di Sèvres. Fu allora che i territori abitati dalla popolazione di etnia curda vennero spartiti tra Turchia, Siria, Iran ed Iraq.
Così, dal 1921 al 1925, 25 milioni di curdi furono dispersi in 5 nazioni trasformandosi in 5 minoranze.
Gli anni successivi sono dunque indelebilmente segnati da questa originaria divisione.
Il fatto che i curdi siano stati trasformati in 5 diverse minoranze rende inevitabilmente complessa una trattazione univoca della questione e per riuscire a dare un quadro quanto più esaustivo possibile diviene quasi forzato presentare i diversi indipendentismi curdi a seconda dello stato sovrano contro il quale combattono per la propria autonomia; quasi palesandone la disgregazione.

I Curdi in Iraq
In Iraq il movimento autonomista curdo si è organizzato nel Partito Democratico del Kurdistan (KDP) ed ha portato avanti dal 1961 la sua lotta contro il regime di Saddam Hussein, che contro i villaggi kurdi situati nell’area settentrionale dell'Iraq ha adottato tecniche di repressione brutali utilizzando addirittura armi chimiche, causando 100mila morti e 2 milioni e mezzo di profughi.
In seguito alla guerra del Golfo del 1990 e con l’imposizione della "No Fly Zone" sul nord dell'Iraq, la situazione è migliorata, sebbene non di molto.
Dopo l’ultima guerra contro l’Iraq e il varo della nuova Costituzione nell’ottobre del 2005, secondo alcuni preludio alla creazione di un paese democratico, secondo altri molto meno, sembra che sia possibile una maggiore autonomia dell’etnia curda in Iraq, questione che peraltro preoccupa molto Ankara.
I curdi in Irak hanno una lunga storia di opposizione al governo di Saddam Hussein.
Dal 1961 al 1975 la scena è dominata dal Partito Democratico del Kurdistan (PDK) guidato da Mustafa Barzani, un capo tribale morto nel 1979 ed a cui è succeduto il figlio Massoud. A Barzani si è da sempre opposta l’intellghentia di sinistra guidata da Jalal Talabani che nel 1975 ha fondato l’Unione Patriottica del Kurdistan (UPK).
Il futuro dei Curdi Irakeni deve ancora essere scritto, dopo la fine del regime di Saddam.

I Curdi in Iran
In Iran, i Curdi dell'Unione Patriottica del Kurdistan (UPK) combattono contro il regime di Teheran dal 1972, in una guerra che ha causato fino ad oggi circa 17mila morti. I curdi sono circa 6 milioni, musulmani in maggioranza sunniti
Il crollo del potere imperiale, con la rivoluzione Komeinista (1979), e la crisi che ne è seguita prima della stabilizzazione del regime islamico hanno spinto i curdi iraniani riuniti attorno PDKI (Partito democratico del Kurdistan Iraniano) ad una ribellione con l’intento di ottenere l’autonomia (non l’indipendenza).
Come è ovvio il potere sciita ha rifiutato ogni richiesta in tal senso ed ha dato il via ad una dura repressione. Questa guerra Ha cusato in due anni circa 10.000 morti.
In seguito il leader del PDKI, Ghassemlou, si avvicinò a Saddam Hussein che allora era il baluardo dell’occidente contro l’Iran fondamentalista, il quale finanziò la guerriglia curda, strumentalizzando a suo fare la lotta curda, dal momento che l’Iran fu costretto a mantenere un forte contingente di truppe nel nord del paese distogliendole dalla guerra con l’Irak.
L’obiettivo dei dirigenti curdi iraniani è convincere i paesi europei a far pressioni sul potere iraniano affinchè ponga fine allo stato d’assedio (che vede la presenza di 150.000 militari) che soffoca il Kurdistan iraniano.
E molto probabile, ed auspicato da molti, che una stabilizzazione della situazione in Iraq possa portare anche ad un miglioramento delle condizioni curde in Iran ed in Turchia, il paese nel quale è più grande la minoranza curda e nel quale la lotta tra esercito e militanti delle diverse fazioni curde è più duratura e cruenta.

I curdi in Turchia
Con la vittoria in Turchia, nel 1923 di Atatürk, si affermò il principio dell'unitarietà di uno stato turco laicizzato; un'ideologia statale di tal genere non ha fatto che rendere una dicotomia inconciliabile l'esistenza di un'etnia curda nello stato turco, alimentando, quindi, un rapporto tutt'altro che pacifico.
Quando nel 1946 la Turchia decise di percorrere il cammino democratico, si allentò nel paese la repressione militare e nel Kurdistan sorsero per la priva volta scuole e ospedali ed i grandi proprietari kurdi vennero richiamati in patria ed ottennero nuovamente i propri beni. Ma con il colpo di stato del 1960 la giunta golpista turca decise di “chiudere circa 500 curdi in campo di concentramento, esiliarne alcune decine, escludere da ogni amnistia i detenuti curdi, turchizzare tutti i nomi delle località curde”. La nuova Costituzione del ’61 riconosceva ai cittadini le libertà fondamentali, ma considerava un valore assoluto e prioritario l’integrità dello stato, norma che sarà sempre interpretata in maniera estensiva sottraendo al popolo curdo la propria indipendenza. Nella seconda metà degli anni ’60 il movimento nazionalista curdo si organizzò in partiti rivoluzionari, come il Partito Socialista del Kurdistan ed il Partito Democratico del Kurdistan, che si battevano per la democrazia in Turchia e l’auto-determinazione per il popolo curdo. Nel 1971, con il secondo intervento militare, venne istituita la legge marziale in alcune province curde e vennero arrestati e detenuti in condizioni orribili e sottoposti a torture e violenze s migliaia di cittadini, uomini donne e bambini. Negli anni ’80 continuarono gli arresti sistematici e le torture nei confronti della popolazione curda rea di essere tale e di chiedere la propria auto-determinazione.
Gli assunti di base della politica turca nei confronti dei curdi sono i seguenti: non esistono minoranze nazionali in Turchia e comunque i curdi non sono tali; il principio kemalista dell’integrità dello Stato, della Repubblica e del popolo turco è un fondamento incancellabile dalla Costituzione; le forze di sicurezza devono godere della totale impunità per i loro comportamenti nella regione curda, sottoposta allo stato di emergenza, dove sono gestite dal Consiglio di Sicurezza Nazionale, senza alcuna ingerenza parlamentare.
Il movimento di ribellione curdo in Turchia si è sviluppato in due direzioni. L'ala nazionalista, rappresentata dal Partito democratico del Kurdistan, chiedeva l'autonomia, mentre l'ala più estremista, di ispirazione socialista, rivendicava l'indipendenza. Negli anni settanta nasce e si struttura il PKK, il Partito dei Lavoratori Curdi, il cui scopo principale è il riconoscimento della lingua e dei diritti dei curdi. Il suo fondatore e leader è stato Abdullah Öcalan, detto Apo, che in curdo significa zio.

ABDULLAH OCALAN






Il programma del partito fu delineato durante il congresso di fondazione dello stesso, il 27 novembre del 1978. Il suo progetto rivoluzionario prevedeva una prima fase di rivoluzione nazionale, ovvero la creazione di una repubblica marxista curda in territorio turco per arrivare poi all'unificazione dell'intero Kurdistan , ed una seconda fase, di rivoluzione democratica, che prevedeva l'instaurazione di una dittatura del proletariato per eliminare lo sfruttamento latifondista, la struttura sociale basata sui clan e la condizione di inferiorità della donna. Ma la Costituzione turca del 1982vietava l'uso della lingua curda e criminalizzava ogni espressione che affermasse un'identità curda. Da quel momento il PKK ha iniziato la sua lotta armata contro il potere centrale, creando un malessere crescente anche all'interno della stessa popolazione curda e dando l'occasione al governo di bollare la questione curda come un problema di terrorismo. Il governo turco non ha mai accettato di considerare il PKK come un movimento popolare, ma semplicemente come un'organizzazione terroristica che opera con intimidazioni, coercizione e violenza, ed ha sempre cercato di risolvere il problema curdo dal punto di vista socio-economico evitando la questione etnico-nazionale. Le violenze, però continuarono ad oltranza, l'Esercito di liberazione del Kurdistan, emanazione del PKK proseguiva sulla strada degli attentanti ed il governo turco proseguiva sulla strada della condanna e dell’ostracismo. Sebbene molte organizzazioni internazionali ammonivano pubblicamente il governo turco, auspicando una soluzione pacifica della lotta per l’autodeterminazione dei curdi, la vicenda di questo popolo ha assunto un carattere internazionale solo quando, nel 1998, il leader del Pkk Ocalan, che dalla Siria guidava le campagne armate sin dal 1984, fu costretto a fuggire prima a Mosca ed in seguito a Roma. Abdullah Ocalan è stato poi catturato, venduto da funzionari kenioti alla Turchia, il 15 febbraio 1999 in Kenya e condannato a morte. Il conflitto tra le forze governative turche ed il Pkk è di fatto terminato al momento della cattura di Ocalan, ma ancora oggi la questione curda appare irrisolta e la repressione dei curdi nel sud-est del paese continua.
Perquisizioni forzate, distruzione di villaggi, arresti ingiustificati, torture e pene capitali sono il “modo turco di risolvere il problema”. I metodi utilizzati dal governo turco nei confronti dei curdi non possono essere considerati quelli di un paese democratico e fino a quando i diritti fondamentali e le libertà personali, non saranno riconosciuti nei fatti, non solo nominalmente, la Turchia, nonostante i continui sforzi che non sarebbe giusto negare, non potrà mai essere annoverata nella schiera dei paesi democratici.

Poesie di combattenti e detenuti politici curdi

Yol ( strada)
Questa notte scura è una grossa toppa
rammendata
sul volto del sole.
Ad ogni alba
strappo le cuciture coi denti.
Ma non bastano tutte le lacrime
per spegnere quest’incendio.
Al fuoco s’addice il fuoco.
Zin A. Lales

Dogus (Rinascita)
I veleni degli occupanti
non giungono a lordare
la caverna della libertà.
Il mio cuore è un sacrario
illuminato dal sole.
Nel mio cuore c’è spazio
per tutto il sole
per tutto il mare
per il mio popolo.
È libertà il monte Cudi
e gli Zagros
sono libere le vette
del Herekol e del Munzur.
Un altare sacro
a tutte le dee
a tutti gl’iddii
è la libertà nel mio cuore.
Le montagne hanno aperto la strada
nelle prigioni
globi di fuoco
dentro di me la vendetta è tempesta
ed oggi
sento la vigilia di un’esplosione improvvisa.
Non vi spaventi il mio grido.
Dentro di me
Sto nascendo di nuovo.
Musa
http://www.peacelink.it/conflitti/a/14329.html

martedì 2 settembre 2008

GIU’ LE MANI DA PUNTA PALASCIA



COMITATO GIU’ LE MANI DA PUNTA PALACIA
Comunicato stampa 17.08.2007
Un gravissimo sfregio ad uno dei luoghi più belli del Salento sta per essere compiuto.
La Marina Militare Italiana, senza aver chiesto l’autorizzazione paesaggistica
prescritta dalla legge (artt. 146 e 147 del Codice Urbani D. Lgs. N. 42/2004), ha
aperto un cantiere a Punta Palacìa (facente pare del costituito Parco regionale Otranto S.M. di Leuca e Bosco di Tricase) ed iniziato i lavori per la realizzazione di alloggi per il personale militare, di un garage per gli automezzi e di due torri di 11 metri di supporto ad antenne radar.
Proprio lì, a Punta Palacìa, il punto più ad est d’Italia, sorge il primo raggio di sole.
E proprio lì presso il faro di Punta Palacìa sabato 18 agosto 2007 alle ore 17:30
inizierà l’iniziativa promossa dal comitato Giù le mani da Punta Palacìa.
L’obiettivo è quello di sensibilizzare l’opinione pubblica e raccogliere altre adesioni all’appello: No allo scempio: Punta Palacìa “arca di pace e non arco di guerra” (da una citazione di Don Tonino Bello).
Al Faro è stata allestita una mostra con foto del territorio di noti fotografi salentinicome Maurizio Buttazzo, Dino Longo, Claudio Longo, Carlo e Fernando Bevilacqua e con video-proiezioni del Fondo Verri, del gruppo ‘Ndronico e di Serena Rosati.
Alle 21:00 all’Orte (litorale Otranto-Santa Maria di Leuca) , presso il sud est Diving importanti artisti come gli Opa Cupa di Cesare dell’Anna, Les Troubleamours, I
venerdì 17, i Sud Est Ensamble, Giuseppe Di Gennaro & Band, P40 e i Dj set Chiara
Spada, Francesco Natali, Simone Fabbroni, e Capitan Uans dedicheranno la loro
musica alla difesa di Punta Palacìa.
Dal tramonto all’alba si alzerà un’unica voce ed una sola immagine: la bellezza della
scogliera incontaminata di Punta Palacìa vuole avere un unico guardiano, il vecchio
Faro.
Il Comitato Giù le mani da Punta Palacìa, supportato in questa richiesta dal Comune
di Otranto e dalla Provincia di Lecce, ha organizzato questa grande manifestazione
per dare voce al territorio e chiedere con forza alla Marina Militare Italiana di
rinunciare al progetto di ampliare la propria base logistica. Alla manifestazione sarà presente anche il sottosegretario all’ambiente Marchetti.
Il delicato equilibrio della scogliera di Punta Palacìa – inclusa a pieno titolo nel Parco Regionale Otranto S.M. di Leuca, istituito con Legge della Regione Puglia n. 30 del 2006 – va difeso ad oltranza non solo per la sua indiscussa bellezza, ma anche per il suo valore simbolico: il dialogo, lo scambio e l’incontro dei popoli e delle culture del mediterraneo.
Fino ad ora il Comune di Otranto e la Provincia di Lecce hanno manifestato
pubblicamente la loro contrarietà al progetto.
Il Comitato Giù le mani da Punta Palacìa ha invitato anche la Regione ad intervenire,
per quanto di sua competenza, per impedire la prosecuzione dei lavori.
A titolo cautelativo e poiché realizzare un’opera senza la necessaria autorizzazione
paesaggistica configurerebbe reato, ai sensi dell’art. 181 del codice Urbani, il
Comitato giù le mani da Punta Palacìa, il Coordinamento Salentino contro la guerra e
le basi militari e Giuristi Democratici Lecce, difesi rispettivamente dagli avvocati
Valentina Stamerra, Francesco Calabro e Marcello Petrelli, hanno presentato un
esposto alla Procura della Repubblica affinchè “verifichi se possano ravvisarsi
estremi di reato e affinché impedisca l’aggravamento di reati eventualmente
commessi, la protrazione delle loro conseguenze ovvero la commissione di ulteriori
reati”. Sostengono le associazioni nell’esposto che: il regime derogatorio previsto
per i procedimenti di localizzazione e costruzione delle opere militari concerne
esclusivamente la disciplina urbanistica ed edilizia, non invece la disciplina in
materia di beni ambientali e paesaggistici; gli artt. 81 d.p.r. n. 616/1977 e il
consequenziale d.p.r. n. 383 del 1994, infatti, esonerano le opere destinate alla difesa militare dai soli obblighi legali previsti nella distinta materia dell’urbanistica e dell’edilizia”. “Tutte le opere militari, pertanto, in quanto opere statali, sono sottoposte alla disciplina propria dettata dalla specifica normativa in materia di beni culturali e ambientali”. “Una esenzione dalle conseguenze così potrebbe essere giustificata soltanto dall’esistenza di “una espressa norma di esonero”, che nel nostro ordinamento giuridico, data la rilevanza accordata ai vincoli paesaggistici dalla Carta Costituzionale, non esiste.
Infine numerosi artisti e uomini di cultura hanno sottoscritto un appello contro lo
sfregio del paesaggio.
Tra questi: Carlo ed Ennio Capasa (stilisti), Stefania Rocca (attrice), Citto Maselli
(regista),Vladimir Luxuria, Roberto Cotroneo (scrittore), Domenico Starnone
(scrittore), Livio Romano (scrittore, Mario De Siati (scrittore), Dino Abbrescia
(attore), Emilio Solfrizzi (attore), Caparezza (musicista), Peppe Servillo
(musicista),Giovanni Albanese (regista), Alessandro Piva (regista), Rocco Papaleo
(attore), Pippo Mezzapesa (regista), Dario Vergassola (comico), Francesco Amato
(regista), Heidrun Schleef (sceneggiatrice), Marco Piccioni (produttore), Nico
Cirasola (regista), La Crus (musicisti), Davide Barletti (regista - Fluid Video Crew ), Folkabbestia (musicisti), Carlo Michele Schirinzi (regista), Leonardo Angelini
(location manager), Daniele Travisi (location manager), Proforma, Luigi Del Prete
(regista), Radiodervish (musicisti), Officina Zoè (musicisti),Dario Muci (musicista),
Salento Orkestra (musicisti), Corrado Punzi (regista ),Gianni De Blasi (regista),
Marzia Quartini (attrice), Federico Mello (scrittore), Biagino Bleve (operatore
culturale), Daniele Cini (regista), Raffaele Vasquez (musicista), Marianne Cotton
(attrice), Manuel Saccu (musicista), Psycosun (musicisti),Francesco Cerasi
(musicista), Fabrizio Brigante (scenografo), Marta Marrone (scenografa),Coolclub,
Vito Palmieri ( regista ), Michele D’Attanasio (direttore della fotografia), Alberto
Masala (poeta) Ippolito Chiarello (attore – Nasca Teatri), Gabriele Benedetti (attore), Piero Rapanà (attore), Fondo Verri, Valentina Sansò (grafica e operatrice culturale), Francesca Sansò (creativa); Cesare dell’Anna (musicista), 11-8 Records (casa discografica indipendente), Opa Cupa (musicisti), I venerdì 17 (musicisti), Les
Troubleamours (musicisti), Punto Est Ensamble (musicisti) Giuseppe di Gennaro &
band ( Musicisti), P40 (musicista), Dino Longo (fotografo), Claudio Longo
(fotografo), Maurizio Buttazzo (fotografo), Carlo Bevilaqua (fotografo), Fernando
Bevilacqua (fotografo), Luigi Marsella (poeta).
Dal tramonto all’alba ci saremo tutti sulla costa otrantina (al Faro di Punta Palacìa
dalle 17:30 al tramonto e all’Orte dal tramonto all’alba) per ricordare che il nostro
territorio è il bene più prezioso e va difeso.
Il Comitato ci tiene a ricordare a tutti coloro che parteciperanno, che i luoghi
che ospitano la manifestazione sono luoghi sacri e che dovrà essere impegno di
tutti rispettarli ed evitare qualsiasi atto che possa danneggiarli.
Comitato Giù le Mani da Punta Palacìa.

Organizzazioni aderenti al comitato sono: Giuristi Democratici, Comitato Giù le mani dalle coste, WWF Lecce, Coppula Tisa, Gruppo speleologico ‘Ndronico, NaeMi Forum Donne Native e Migranti, Salentini uniti con Beppe Grillo, Coordinamento Salentino contro la Guerra e le basi militari, Manifatture Cnos, Arci Terra Rossa, Comitato contro Eolico, Accademia Kronos, Verdi Lecce-Tricase, Rifondazione Comunista, PdCI, UISP Regionale, i Cicloamici, Biblioteca di Sarajevo, Salento Soccorso, Osservatorio ‘Massari’, Sinistra democratica, Fondo Verri, Arci Liberi Cantieri-Muro Leccese, Salento in Vela, Camera a Sud, Libera Associazioni, Nomi e Numeri contro le mafie, Legambiente Circolo di Lecce. Cultura Ambiente, SOS per la vita, Verdi Parabita, Speleo Trekking Salento,Coordinamento regionale Emergency.









AGGIORNAMENTO 30/09/2011
LA SENTENZA DEL TAR SU PUNTA PALASCIA

N. 01665/2011 REG.PROV.COLL.

N. 01795/2007 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia

Lecce - Sezione Prima

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1795 del 2007, integrato da motivi aggiunti, proposto da:

Scaffidi Piervincenzo, Associazione Giuristi Democratici e Comitato Giù le Mani da Punta Palascia, tutti rappresentati e difesi dagli avv.ti Adriano Tolomeo, Valentina Stamerra e Francesca La Forgia, con domicilio eletto presso il primo di essi in Lecce, via Braccio Martello n. 19;

contro

Ministero della Difesa, Ministero per i Beni e le Attività Culturali e Comitato Misto Paritetico ex art. 3 L 898/1976, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliata in Lecce, via F. Rubichi 23;

Regione Puglia, rappresentata e difesa dagli avv.ti Anna Bucci

e Nicola Colaianni, con domicilio eletto presso Regione Puglia Ufficio Regionale Contenzioso in Lecce, viale Aldo Moro;

Provincia di Lecce;

e con l'intervento di

ad adiuvandum:

Provincia di Lecce, rappresentato e difeso dagli avv. Maria Giovanna Capoccia e Francesca Testi, con domicilio eletto presso Maria Giovanna Capoccia in Lecce, Ufficio Legale Amministrazione Provinciale;

Parco Naturale Regionale Costa Otranto Santa Maria di Leuca e Bosco di Tricase, rappresentato e difeso dall'avv. Carlo Barone, con domicilio eletto presso Carlo Serafini in Lecce, via G. D'Annunzio n. 59;

per l'annullamento

di tutti gli atti di formazione ed approvazione del progetto di "ristrutturazione e ampliamento manufatto per usi operativi, realizzazione e potenziamento videosorveglianza con integrazione impianto antiintrusione e costruzione locale per tre automezzi", presso la base militare collocata sulla scogliera di Punta Palascia, nel territorio del Comune di Otranto, e di ogni altro atto presupposto, connesso, collegato e/o consequenziale

Visti il ricorso, i motivi aggiunti ed i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio delle amministrazioni statali intimate;

Viste le memorie difensive rispettivamente prodotte dalle parti costituite;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 maggio 2011 il dott. Massimo Santini e uditi per le parti i difensori Tolomeo, anche in sostituzione di La Forgia Francesca, Stamerra Valentina, Simona Libertini, Gaballo Paolo, in sostituzione di Bucci Anna e Colaianni Nicola, Testi Francesca,e Renna Barbara, in sostituzione di Barone Carlo;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Con il presente gravame vengono impugnati tutti gli atti di formazione ed approvazione del progetto di “ristrutturazione e ampliamento manufatto per usi operativi, realizzazione e potenziamento videosorveglianza con integrazione impianto antiintrusione e costruzione locale per tre automezzi”, progetto da realizzare presso la base militare collocata sulla scogliera di Punta Palascia, nel territorio del Comune di Otranto.

In particolare, si tratterebbe di ampliare il fabbricato esistente (da destinare ad usi operativi ed alloggi, nonché a deposito e ricovero mezzi) nonché di realizzare nuove strutture (tra queste due torri di circa 11 mt di altezza) e di adeguare quelle esistenti (es. recinzione esterna).

2. Tali atti vengono impugnati per violazione dell’art. 147 del decreto legislativo n. 42 del 2004 e del DPR n. 170 del 2005 (trattandosi di zona soggetta a vincolo paesaggistico), carenza di istruttoria e di motivazione, nonché per violazione delle leggi regionali n. 19 del 1997 e n. 30 del 2006 (recante istituzione del Parco naturale “Costa Otranto – Santa Maria di Leuca Bosco Tricase”). Ciò in quanto, pur a fronte del notevole impatto paesaggistico ed ambientale dell’opera di cui in premessa (impatto dovuto sia a massicce opere di sbancamento sia a realizzazione di strutture di notevoli dimensioni), non sarebbero stati acquisite le rispettive autorizzazioni paesaggistiche ed ambientali ad opera delle competenti autorità amministrative.

4. Si costituiva in giudizio l’amministrazione statale per chiedere il rigetto del gravame. In particolare, veniva sollevata eccezione di carenza di legittimazione attiva in capo ai ricorrenti (lo Scaffidi non avrebbe dimostrato infatti un danno economico oppure alla salute, mentre il Comitato di tutela di Punta Palacia sarebbe sorto soltanto in occasione dell’avvio dei lavori, non avrebbe uno stabile collegamento con il territorio e non sarebbe adeguatamente rappresentativo della collettività di riferimento). Si rilevava inoltre che le valutazioni di carattere paesaggistico ed ambientale sarebbero state acquisite all’interno del Comitato misto paritetico della Regione Puglia sin dal 2004. In ogni caso le opere destinate alla difesa nazionale sarebbero esentate dalla valutazione di impatto ambientale e comunque suscettibili di deroga, sul piano delle autorizzazioni paesaggistiche, ai sensi del DPR n. 383 del 1994; il DPCM previsto dal comma 3 dell’art. 147 citato del codice dei beni culturali non è stato peraltro ancora emanato: dunque, tale disposizione sarebbe ancora inoperante. Quanto poi alla legge regionale n. 30 del 2006, recante istituzione del parco naturale “Costa Otranto”, essa sarebbe stata emanata soltanto successivamente alla pubblicazione del bando di gara per l’affidamento dei lavori di che trattasi. La conoscenza dei progetti potrebbe infine recare nocumento alla sicurezza nazionale, trattandosi di interventi sottoposti a segreto militare.

5. Venivano proposti motivi aggiunti, sostanzialmente basati selle medesime censure sopra illustrate, avverso l’ulteriore documentazione progettuale prodotta, dalla amministrazione della difesa, a seguito di specifica ordinanza istruttoria di questa sezione.

6. Alla pubblica udienza del 25 maggio 2011 la causa veniva infine trattenuta per la decisione.

7. Tutto ciò premesso, va preliminarmente disattesa l’eccezione sollevata dalla amministrazione statale in ordine al difetto di legittimazione attiva in capo ai ricorrenti.

7.1. Quanto al ricorrente Scaffidi, si tratta infatti di un operatore turistico (titolare di attività di diving) che, oltre al requisito della vicinitas non altrimenti contestata dalla stessa difesa dell’amministrazione statale, subisce comunque un danno scaturente, ex se, dalla circostanza che qualsiasi opera idonea a compromettere l’assetto paesaggistico possa negativamente (pur se indirettamente) incidere su determinate attività economiche (quelle turistiche, per l’appunto), per loro natura principalmente basate sulla straordinaria bellezza dei luoghi ove le stesse vengono normalmente svolte e dunque sulla loro capacità di attrazione turistica. In altre parole, costituisce una conseguenza logica che la (eventuale) compromissione del paesaggio possa determinare un minore afflusso di turisti nell’area de qua.

7.2. Quanto invece al Comitato “Giù le mani da Punta Palascia”, il collegio ritiene di aderire, in linea generale, a quel dato orientamento che appare tendenzialmente maggioritario e che opportunamente distingue tra la legittimazione ex lege delle associazioni di protezione ambientale di livello nazionale riconosciute e l’esigenza di verificare, in concreto e secondo i principi generali, la legittimazione di tutte le altre associazioni, comitati e organismi di livello locale che si assumano portatori di interessi diffusi di protezione ambientale o storico-culturale (cfr. T.A.R. Puglia Bari, sez. III, 25 febbraio 2008, n. 324).

Come rilevato dalla stessa giurisprudenza, si deve trattare di un accertamento da condurre avendo riguardo ad una pluralità di indici riferiti, in particolare: 1) al perseguimento per statuto di specifici obiettivi di tutela ambientale; 2) alla maggiore o minore risalenza temporale dell’ente; 3) alla sua comprovata sfera o grado di rappresentatività; 4) alle iniziative ed azioni intraprese per la tutela degli interessi di cui l’ente si proclama portatore; 5) all’eventuale consentita partecipazione a procedimenti amministrativi e quindi, in certa misura, al concreto riconoscimento che esso ha ricevuto nello svolgimento dell’azione amministrativa; 6) alla presenza di un’area di azione ricollegabile alla zona in cui è situato l’ambiente od il bene a fruizione collettiva che si assume leso: dunque, un concreto e stabile collegamento con un dato territorio, tale da rendere localizzabile l’interesse esponenziale.

Va da sé che siffatti indici debbono almeno in grande parte essere presenti nelle singole fattispecie.

Ebbene, dalla documentazione versata in atti si rileva, almeno quanto al suddetto Comitato, che: a) esso pone tra i propri specifici obiettivi quello della tutela del paesaggio e dell’ambiente con particolare riferimento al territorio denominato Punta Palascia; b) benchè sia stato costituito in un periodo di tempo prossimo all’inizio del lavori di cui si discute in questa sede, di esso fanno ad ogni modo parte alcuni enti (es. WWF) che invece da molti anni sono preposti al perseguimento di taluni interessi; c) presenta un numero di iscritti (oltre 40) senz’altro sufficiente a denotare quel minimum di adeguata rappresentatività locale; d) ha preso attivamente parte ad importanti incontri istituzionali a livello locale (si veda riunione del 7 dicembre 2007 presso il Comune di Otranto) e persino centrale (presso il Ministero dell’ambiente, in presenza del sottosegretario di Stato) che sebbene non numerosi in termini quantitativi sono senz’altro rilevanti in senso qualitativo, e tanto a testimoniare la considerazione che in breve tempo tale comitato ha acquistato sul piano amministrativo e procedimentale; e) presta la propria attività in relazione ad una specifica porzione del territorio (quello per l’appunto di Punta Palascia) che presenta elementi di forte e stabile collegamento con la sede propria del comitato.

7.3. Per i motivi anzidetti l’eccezione di inammissibilità del ricorso deve dunque essere rigettata.

8.1. Nel merito si rammenta in punto di fatto che, dopo il parere favorevole del 2004 ad opera del COMIPAR (Comitato misto paritetico Stato e Regione di cui all’art. 3 della legge n. 898 del 1976), i lavori venivano iniziati nel mese di giugno 2007. Successivamente, in data 11 luglio 2007 la Soprintendenza statale esprimeva parere di compatibilità paesaggistica dell’intervento de quo. Tale parere veniva tuttavia revocato, in data 24 luglio 2007, sul presupposto che non si era espresso a suo tempo, sui profili paesaggistici, anche il Comune di Otranto. In data 17 agosto 2007 i lavori venivano dunque sospesi da parte della Direzione Lavori del Genio Militare. Seguivano alcune riunioni, tenutesi anche presso il Ministero dell’ambiente, dirette a pervenire ad una soluzione concordata tra i vari enti. Tali incontri non determinavano tuttavia alcun esito positivo.

Da quanto detto deriva pertanto che, in concreto, la suddette autorizzazioni paesaggistiche ed ambientali non sono mai state in effetti rilasciate.

8.2. Ancora in punto di fatto si rileva che l’unico atto di approvazione del progetto (peraltro soltanto di quello esecutivo, non essendovi agli atti traccia di quello definitivo, e tanto anche a seguito di due ordinanze istruttorie di questa sezione) è costituito dalla “relazione approvativa” in data 24 ottobre 2006 della Direzione Generale dei Lavori e del Demanio del Ministero della difesa (cfr. anche relazione riepilogativa del 21 agosto 2007 prodotta in data 22 agosto 2008).

9, Tanto premesso occorre a questo punto stabilire, in via principale, se un’opera destinata alla difesa militare, che pacificamente insiste su un’area soggetta a vincolo paesaggistico ed ambientale, sia soggetta o meno alla disciplina di tutela ed in particolare all’obbligo di ottenere l'autorizzazione paesistica.

Ritiene al riguardo il collegio che, come del resto affermato nella sentenza del Consiglio di Stato, sez. IV, 10 novembre 200 , n. 6312, “è necessario immediatamente sgomberare il campo da un equivoco … secondo cui per le opere militari sarebbe vigente un regime derogatorio avuto riguardo ai procedimenti di localizzazione e costruzione; tale conclusione … è esatta se riferita alla disciplina urbanistica ed edilizia, errata se riferita alla disciplina in materia di beni ambientali e paesaggistici; gli artt. 81, d.P.R. n. 616/1977 e il consequenziale d.P.R. n. 383 del 1994, infatti esonerano le opere destinate alla difesa militare dai soli obblighi legali previsti nella distinta materia dell'urbanistica e dell'edilizia (cfr. sul punto le approfondite conclusioni cui è giunto Cons. St., Sez. II, n. 852/99 del 25 ottobre 2000, cui si rinvia …)”.

In effetti, antecedentemente all'entrata in vigore del T.U. n. 490/1999 la giurisprudenza si era divisa circa l’obbligo di acquisire il nulla osta paesistico in merito a siffatte opere statali.

L'art. 156 del menzionato T.U. del 1999 ha poi “chiarito definitivamente che tutte le opere militari, in quanto statali, sono sottoposte alla disciplina propria dettata dalla specifica normativa in materia di beni culturali e ambientali; sono state così superate le frammentarie e discordanti precedenti previsioni normative che talora esentavano (art. 15, l. prov. Bolzano n. 516/1970, l. n. 16 del 1985), e talora assoggettavano (art. 6, l. n. 204/1951; art. 5 l. n. 831/1986; art. 17, l. n. 67/1988) la costruzione di opere militari, alloggi e caserme all'obbligo dell'autorizzazione paesistica” (cfr. Cons. Stato, sez. IV, sent. n. 6312 del 2005, cit.)

Parimenti, l'art. 147 d. lgs. n. 42/2004 (Codice dei beni culturali) ha previsto una disciplina speciale per tutte le opere statali, ivi inclusi gli alloggi militari, in forza della quale l'autorizzazione paesistica è rilasciata all'esito di una conferenza di servizi.

Tale disposizione prevede, in particolare, che “qualora la richiesta di autorizzazione prevista dall'articolo 146 riguardi opere da eseguirsi da parte di amministrazioni statali, ivi compresi gli alloggi di servizio per il personale militare, l'autorizzazione viene rilasciata in esito ad una conferenza di servizi indetta ai sensi delle vigenti disposizioni di legge in materia di procedimento amministrativo” (comma 1).

Il successivo comma 2 stabilisce poi che “Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente codice, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministero, d'intesa con il Ministero della difesa e con le altre amministrazioni statali interessate, sono individuate le modalità di valutazione congiunta e preventiva della localizzazione delle opere di difesa nazionale che incidano su immobili o aree sottoposti a tutela paesaggistica”.

Come affermato dalla citata giurisprudenza amministrativa, “dall'esame di tutta la normativa sopra indicata emerge che il legislatore ha bilanciato due valori costituzionali fondamentali (il paesaggio ex art. 9 Cost. e la sicurezza nazionale ex art. 52 Cost.) attraverso l'introduzione di una disciplina derogatoria (comune a tutte le opere statali) rispetto ai normali moduli procedimentali, ma che presuppone sempre l'assoggettamento all'obbligo della autorizzazione paesistica”: si veda in tal senso anche l’indirizzo espresso dalla Cassazione penale (cfr. sez. III, 24 novembre 1995, n. 12570) la quale ha avuto modo di affermare che “anche le opere destinate alla difesa militare … sono soggette alle leggi sulla tutela del paesaggio”, atteso che “la Costituzione attribuisce al paesaggio (art. 9) un valore primario che non può essere sacrificato a quell'altro, di pari dignità, della sicurezza del Paese, (art. 52)”.

Del resto, in questa stessa direzione si colloca la previsione di cui all’art. 18 del DPR n. 170 del 2005 (recante disposizioni in materia di opere militari), a norma del quale “il responsabile per la fase di progettazione … b) verifica, in via generale, la conformità ambientale, Paesistica e territoriale dell'intervento e promuove, ove necessario, l'avvio delle procedure per il rilascio dei pareri da parte dei competenti organi di tutela ambientale e territoriale”.

10. Quanto poi alle ulteriori controdeduzioni formulate, a vario titolo, dalla difesa dell’amministrazione statale, si osserva che:

a) come affermato dallo stesso Consiglio di Stato nella citata sentenza n. 6312 del 2005, “non deve essere sopravvalutato l'art. 2, r.d. 11 luglio 1941, n. 1161 - recante norme sul segreto militare - che vieta … ai funzionari di tutte le amministrazioni statali la divulgazione di notizie aventi comunque interesse militare, nonchè delle notizie riguardanti le fortificazioni, le basi e gli impianti delle FF.AA.; l'ambito oggettivo di siffatta disciplina è diverso da quello proprio della legislazione in materia di beni culturali e del paesaggio e dunque non vi è incompatibilità logica fra le diverse disposizioni”: ed infatti, se da un lato la conoscenza delle strumentazioni e dei mezzi di difesa contemplati all’interno della base deve senz’altro essere tutelata mediante le disposizioni in tema di segreto di Stato, dall’altro lato la visibilità esterna (a chiunque) della struttura, ossia il semplice involucro, non potrebbe dare luogo ad analoghe esigenze di sicurezza nazionale, con conseguente applicazione delle norme di tutela paesaggistica ed ambientale;

b) l’autorizzazione paesaggistica non potrebbe intendersi acquisita all’interno del Comitato misto paritetico di cui all’art. 3 della legge n. 898 del 1976, la quale non annovera funzioni direttamente riconducibili alla tutela del paesaggio alla stessa stregua del richiamato art. 147 del Codice dei beni culturali (disposizione quest’ultima che dunque prevale sulla prima non solo in base al criterio cronologico ma anche in base a quello di specialità). Si vedano in proposito sia le attribuzioni del predetto comitato misto (le quali si riferiscono in generale ai “problemi connessi all'armonizzazione tra i piani di assetto territoriale e di sviluppo economico e sociale della regione e delle aree subregionali ed i programmi delle installazioni militari e delle conseguenti limitazioni”) sia la composizione del medesimo, all’interno del quale non è prevista la presenza di organi (statali oppure regionali) espressamente preposti alla tutela dell’ambiente e del paesaggio;

c) In assenza del DPCM che, ai sensi del comma 3 del citato art. 147 del Codice Urbani, definisca le modalità di valutazione congiunta e preventiva della localizzazione delle opere di difesa nazionale che incidano su aree sottoposte a tutela paesaggistica, deve ritenersi che, incidendo tale disposizione soltanto sul quomodo (ossia su procedimento e modalità operative) con cui garantire l’equilibrio tra i due valori costituzionalmente meritevoli di tutela (paesaggio e sicurezza nazionale) e non anche sull’an, va da sé che l’esigenza di garantire nella sostanza tale contemperamento debba essere sostenuta, caso per caso, mediante il ricorso al modello generale della conferenza di servizi che pure viene espressamente richiamato al comma 1 dell’art. 147 medesimo. Diversamente opinando, troverebbe giustificazione sulla base della mera inerzia della PA la disapplicazione sine die di un principio che, soprattutto dopo la riforma del Titolo V della parte seconda della Costituzione avvenuta con legge costituzionale n. 3 del 2001, deve invece essere integralmente rispettato anche in ossequio al più ampio risalto che, in questa materia, viene ora conferito alle autonomie territoriali e locali (non a caso, il decreto legislativo n. 42 del 2004 ha sancito il passaggio dall’annullamento ministeriale delle autorizzazioni paesaggistiche al parere obbligatorio e preventivo).

11. Concludendo sul punto, “in difetto di una espressa norma di esonero, deve ritenersi necessaria l'autorizzazione paesistica per tutte le opere destinate alla difesa nazionale” (cfr. sez. II, n. 852/99 del 2000 e sez. IV, n. 5312 del 2005 cit.; cfr. in tale direzione anche TAR Liguria, sez. I, 14 gennaio 2008, n. 24).

Lo specifico motivo di censura riguardante la violazione dell’art. 147 del decreto legislativo n. 42 del 2004 e l’art. 18 del DPR n. 170 del 2005 deve dunque trovare accoglimento.

12. Ad analoghe conclusioni deve pervenirsi per la mancata acquisizione della autorizzazione ambientale di cui alla legge regionale n. 30 del 2006, istitutiva del Parco regionale Bosco di Tricase ed al cui interno ricade l’area de qua; legge che prevede, in caso di opere che possano compromettere il paesaggio e gli ambienti naturali tutelati (con particolare riferimento a flora, fauna e rispettivi habitat), il nulla osta dell’ente di gestione dell’ente Parco ai sensi dell’art. 9 della medesima (nulla osta da acquisire verosimilmente nella conferenza di servizi di cui ai punti che precedono).

12.1. In questa direzione, infatti, non solo la normativa appena richiamata non contiene alcuna deroga espressa in favore di siffatte opere, ma il richiamato art. 18 del DPR n. 170 del 2005 prevede proprio che, in caso di progettazione di opere destinate alla difesa militare, il responsabile del procedimento debba sempre preventivamente acquisire i pareri da parte dei competenti organi di tutela ambientale, e tra questi anche gli enti di gestione dei parchi statali o regionali quali quelli di specie.

12.2. Quanto poi alla applicabilità di siffatta normativa di tutela al caso di specie, si rammenta che l’art. 8 della legge regionale n. 19 del 1997 prevede che, dalla data di pubblicazione sul BUR del disegno di legge di istituzione delle aree protette, trovano applicazione le misure di salvaguardia di cui all’art. 6, comma 3, della legge n. 394 del 1991 (e tra queste il divieto di esecuzione di nuove costruzioni e la trasformazione di quelle esistenti). Ora, poiché il disegno di legge di istituzione del parco di cui si discute è stato adottato in data 5 ottobre 2004, dunque ben prima della approvazione del progetto ad opera del Ministero della Difesa (cfr. relazione citata del 24 ottobre 2006), le suddette misure debbano trovare applicazione anche alla vicenda in esame.

12.3. Anche tale motivo di ricorso deve pertanto trovare accoglimento.

13. In conclusione il ricorso è fondato e deve essere accolto.

Data la complessità della vicenda esaminata, sussistono giusti motivi per compensare le spese di lite.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Lecce - Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso n. 1795 del 2007, lo accoglie e per l’effetto annulla gli atti riguardanti la procedura di approvazione del progetto in epigrafe indicato e, in particolare, la Relazione approvativa in data 24 ottobre 2006 della Direzione Generale dei Lavori e del Demanio del Ministero della difesa.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Lecce nelle camere di consiglio dei giorni 25 e 26 maggio 2011 con l'intervento dei magistrati:

Antonio Cavallari, Presidente

Luigi Viola, Consigliere

Massimo Santini, Referendario, Estensore

DEPOSITATA IN SEGRETERIA Il 29/09/2011


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